Ahsoka su Disney+ – Viva Dave Filoni e le spade laser di Diego Castelli
Con Ahsoka, il creatore delle Clone Wars sembra voler chiudere un cerchio lungo 15 anni
Per parlare di Ahsoka, la nuova serie a marchio Star Wars disponibile su Disney+, si potrebbe partire da molti punti diversi, perché parliamo di un mondo narrativo molto vasto e di un personaggio che tanti fan amano da tempo, da ben prima che venisse interpretato da Rosario Dawson.
E visto che è difficile trovare una base di partenza “oggettivamente” migliore delle altre, tanto vale andare sull’emozione soggettiva. Quindi mi permetterò di iniziare con una considerazione molto semplice e molto personale: come tanti e tante sono fan di Guerre Stellari ormai da parecchio, ma all’interno di quel mondo ho una predilezione per tutto quello che riguarda i jedi, la Forza, i Maestri e gli Apprendisti. E questo perché, in fondo, sono da sempre amante del fantasy e della magia, e i jedi quello sono, versioni lucasiane dei maghi e dei cavalieri da fantasy medievale.
Al contrario, tutto quello che riguarda i combattimenti in orbita, fra navicelle nello spazio, mi è sempre interessato meno.
Inutile dire, dunque, che una serie come Ahsoka l’aspettavo con una certa ansia: perché dopo The Mandalorian, The Book of Boba Fett e Andor (serie molto diverse fra loro, ma nessuna focalizzata sui jedi), finalmente posso seguire una protagonista che appena la guardi storto tira fuori le spade laser.
Ahhhh, che soddisfazione…
Per parlare di Ahsoka è necessario dare qualche informazione che non c’entra con la serie in sé, ma con quello che è venuto prima, perché il personaggio non nasce con questa serie ma nemmeno con le sue apparizioni in The Mandalorian.
Vale però la pena dire subito che Ahsoka non ha “bisogno” di una grande conoscenza pregressa di tutti ma proprio tutti i prodotti che hanno già visto sullo schermo la (non più) giovane aspirante jedi. L’ha dichiarato Dave Filoni, creatore dello show, ma mi sento di confermarlo pure io dopo aver visto i primi due episodi: la sceneggiatura, rischiando qualche didascalismo ma cavandosela comunque benissimo da questo punto di vista, piazza sapientemente un buon numero di informazioni di contesto che ci servono a inserire Ahsoka (nel senso della protagonista ma anche della serie nel suo complesso) nell’ormai stratificato puzzle di Star Wars, dando alla maggior parte degli spettatori la possibilità di godersi la storia senza essere esperti di lungo corso.
Poi certo, chi volesse percepire a pelle tutto il peso nostalgico dell’operazione, dovrebbe mettere in conto uno o più recuperoni.
Ahsoka viene da lontano. Dal 2008, quando nacque il mondo delle Clone Wars, le Guerre dei Cloni che, prima come film e poi come serie animati, raccontarono un po’ di dettagli su quanto avvenuto fra gli Episodi II e III della (seconda) trilogia cinematografica di George Lucas.
Stiamo parlando della guerra fra la Repubblica e i separatisti, che in realtà serviva come paravento alle macchinazioni del futuro Imperatore per sovvertire l’ordine democratico e, appunto, arrivare all’Impero Galattico che sarà poi il Nemico con la N maiuscola da sconfiggere nella trilogia originale di Guerre Stellari.
In quella guerra, in cui Anakin Skywalker (che poi diventerà Darth Vader) è un jedi giovane ma già esperto e molto utile alla causa della Repubblica, il mitico maestro Yoda decide di affidargli una padawan che lo aiuti a responsabilizzarsi, lui che da apprendista è sempre stato un po’ una testa calda.
Quella giovane allieva è Ahsoka Tano.
In Clone Wars, Ahsoka costruisce con Anakin un rapporto simile a quello che Anakin aveva costruito col suo maestro Obi Wan Kenobi: lui è quello esperto e più o meno saggio, lei la ragazzina piena di talento ma allergica alla disciplina.
Questo riassunto sta già diventando lungo, ma era per sottolineare che chi ha seguito Clone Wars prima, e poi Star Wars Rebels (altra serie animata di nuovo prodotta da Dave Filoni), conosce Ahsoka da quindici anni. Non solo, l’ha vista letteralmente crescere, sia in termini narrativi che anagrafici, perché la Ahsoka che si vede in Rebels è già più grande rispetto a quella vista in Clone Wars, prima dell’ulteriore invecchiamento a cui assistiamo con la serie live action interamente dedicata a lei.
E non c’è solo Ahsoka, naturalmente: per chi ha seguito i vecchi franchise, numerosi personaggi della nuova serie sono vecchie conoscenze, da Sabine Wren (ex apprendista di Ahsoka, interpretata da Natasha Liu Bordizzo) a Hera Syndulla (Mary Elizabeth Winstead), passando per l’androide Huyang (con la voce del nostro adorabile David Tennant).
Questi primi due episodi di Ahsoka, in sé e per sé, possono piacere o meno.
Come detto più sopra, il ritorno alle spade laser e ai jedi (anche se magari ex, oppure traviati, oppure mancati) è una boccata d’aria fresca in un universo seriale che finora era rimasto molto legato ad altri lati di Star Wars, e l’equilibrio fra le varie componenti – un po’ si combatte, un po’ di complotta, un po’ si fa fan service – mi sembra abbastanza preciso e svelto da non annoiare mai.
Al netto dell’intrattenimento nudo e crudo, però, mi sembra più interessante notare il posizionamento che Ahsoka cerca di avere all’interno della saga più complessiva di Star Wars, un posizionamento che la mette in qualche modo a metà strada fra The Mandalorian e Andor, e che le permette di compiere una missione già presa in carico da Clone Wars a suo tempo.
Come abbiamo avuto modo di dirci nei mesi e anni scorsi, The Mandalorian è stata la versione western di Star Wars, ma anche quella che più ha mantenuto viva la sua anima ironica, pucciosa e pupazzosa (in primo luogo per la presenza di Grogu).
The Book of Boba Fett si è inserita più o meno nello stesso solco, semplicemente con risultati meno robusti.
Andor, dal canto suo, è forse il singolo pezzo di Star Wars che più è riuscito a imprimere alla saga una direzione più matura, sia in senso propriamente drammatico, sia nell’accezione più politica del termine. La versione di Star Wars più realistica, improvvisamente vera, sanguigna, dolorosa e polverosa, là dove la creatura di Lucas, per molti anni, era stata “proprio fantasy”.
Ahsoka, come detto, sembra stare a metà strada: non rinuncia all’ironia e anche a un certa dose di tamarraggine (Ahsoka è una guerriera con uno stile preciso e un carisma evidente, e molto più del protagonista di Andor si presta a essere rappresentata come una che arriva a risolvere problemi), ma allo stesso tempo ci dà ancora una volta una versione terrena e concreta del mondo di Star Wars, più moderna e “vissuta” di tante altre parti della saga.
Soprattutto, con Ahsoka Dave Filoni sembra voler riproporre lo stesso lavoro di inspessimento e ampliamento del materiale originale, già compiuto con Clone Wars e Rebels.
All’epoca, le due serie animate servirono a rifinire certe spigolosità della trilogia prequel, se non a riempire direttamente di contenuto quelli che a molti parevano veri e propri buchi.
Per esempio, vi ricordate Darth Maul, l’apprendista di Palpatine che in Episodio I appariva come un sith tanto stiloso e visivamente memorabile, quanto poco approfondito a livello narrativo?
Ecco, a seconda che abbiate visto o meno Clone Wars e Rebels, il personaggio di Maul ha uno spessore completamente differente.
In più, Rebels servì anche come ampliamento letteralmente spaziale della saga, mostrandoci aree della Galassia e della Ribellione che non erano state trattate dai film, e che così potevano darci l’idea di un conflitto e di un’epica molto più vasta rispetto a quella a cui si poteva pensare guardando gli Episodi cinematografici, in cui il destino di un’intera Galassia e di centinaia di popoli pareva nelle mani di 5-6 sparuti personaggi (in parte era così, ma insomma, ci siamo capiti).
Ahsoka assolve una funzione simile. Non tanto in termini di allargamento dello sguardo, quanto di sua specificazione: fra le (molte) critiche ricevute dalla terza e per ora ultima trilogia cinematografica, c’era anche quella di aver messo sul piatto una “nuova Repubblica”, subito minacciata da una recrudescenza imperiale che, in quattro e quattr’otto, sembra capace di ribaltare di nuovo la democrazia, togliendoci il lieto fine di Episodio VI e dando l’impressione di voler riproporre formule già trite e ritrite.
Ed è qui che Dave Filoni si triggera: i primi due episodi di Ahsoka, in modo molto esplicito, ci mostrano i primi anni della nuova Repubblica come anni difficili, in cui c’è da ricostruire una democrazia, in cui lo smaltimento dei residui fisici dell’Impero è lavoro lungo e complesso, in cui gli stessi funzionari che compongono la nuova formazione politica sono ex funzionari dell’Impero stesso.
Di nuovo, come con Andor, è il passaggio da un’età fanciullesca in cui sconfiggere il capo dei cattivi dà il via a un’era di pace e prosperità (Episodio VI), a una vita adulta in cui no, non è scomparsa la gente che diceva “Quando c’era lui le navicelle arrivavano in orario”, né sono scomparse tutte le tensioni, le complicazioni, le violenze, che una società complessa, addirittura galattica, porta con sé.
Il fatto che il cattivo dichiarato di questa serie sia il Grand’ammiraglio Thrawn (altra vecchia conoscenza degli show animati) non cambia l’idea di base: dare a Star Wars una specificazione più precisa, più coerente, e anche adatta a un pubblico più smaliziato e fisicamente più adulto.
La valutazione complessiva la daremo alla fine, perché Ahsoka ha esordito con una trama molto semplice e in quella semplicità potrebbe anche trovare qualche inciampo e faciloneria (per esempio, ho storto il naso di fronte al fatto che per trovare Thrown bisognasse recupare la solita mappa-millenaria-e-indecifrabile-nascosta-in-un-tempio-sperduto).
Però l’inizio è confortante, visivamente ricco, finalmente (per quanto mi riguarda) spostando sul fronte jedi, e con una protagonista, non l’avevo ancora detto, davvero azzeccata: una trasposizione live action di un personaggio animato è un po’ più semplice se quello stesso personaggio viene mostrato in una versione diversa (in questo caso più adulta), ma ciò non toglie che Rosario Dawson sia un casting azzeccatissimo: buca lo schermo con irrisoria facilità, consegnandoci un’Ahsoka somigliante eppure cresciuta, forte ma non indistruttibile, come dev’essere una donna (ma considerando che è una togruta e non un’umana si potrà dire “donna”?) che in gioventù ha abbandonato la strada che aveva scelto di intraprendere, per poi fallire anche come insegnante.
Insomma, una protagonista complessa per una serie complessa.
Però con le spade laser, evvai.