Good Omens 2 – Un gustoso ponte verso… di Diego Castelli
Il seguito di Good Omens ha una storia più piccina dell’originale, ma la solita ironia e due protagonisti da amare e basta
SPOILER SU TUTTA LA SECONDA STAGIONE
Sono passati più di quattro anni dalla prima stagione di Good Omens, arrivata su Prime Video il 31 maggio del 2019. Davvero una vita fa, se consideriamo quello che c’è stato in mezzo, non solo nel mondo seriale.
E a dirla tutta non stavamo nemmeno “aspettando” la seconda stagione: tratta dall’omonimo romanzo di Neil Gaiman e Terry Pratchett datato 1990 (pubblicato in italiano come Buona Apocalisse a Tutti), Good Omens era una storia fatta e finita che, in mancanza di seguiti letterali, non suggeriva la produzione di seguiti televisivi.
La scelta di dare via libera a una seconda stagione, dunque, poteva anche suscitare qualche dubbio e timore, anche e soprattutto in chi aveva amato la prima.
Tuttavia, la presenza dello stesso Neil Gaiman alla sceneggiatura (il buon Terry Pratchett aveva già verificato l’esistenza o meno del paradiso nel 2015, anche se non ci ha fatto sapere nulla), unito alla imprescindibile riconferma dei protagonisti Michael Sheen e David Tennant, ci ha rassicurato quanto meno sul fatto che sarebbe venuta fuori una cosa dignitosa.
In più, e questo è un dettaglio da specificare meglio nelle prossime righe, gli stessi Gaiman e Pratchett avevano sempre messo in conto un seguito, poi mai realizzato su carta, e Gaiman ha fatto sapere che la seconda stagione che noi abbiamo appena visto non è “quel” seguito, bensì un ponte fra la prima storia e quello che avrebbe dovuto essere il secondo romanzo.
A giudicare da come finisce questo secondo ciclo di episodi, ora quel seguito lo vorremmo proprio vedere.
Chi sta leggendo la recensione con spoiler dichiarati della seconda stagione di una serie, tendenzialmente l’ha già vista, ma facciamo le cose per bene. Facciamo quindi un piccolo passo indietro.
Good Omens racconta la storia di Aziraphale e Crowley, un angelo e un diavolo (interpretati rispettivamente da Sheen e Tennant) che si conoscono praticamente dalla nascita dell’universo, e che nei millenni hanno maturato una strana e improbabile amicizia condita da una certa passione per la Terra, che nella prima stagione cercano di salvare dall’imminente Armageddon, sabotando segretamente i piani di guerra di Paradiso e Inferno.
Se nella prima stagione c’era un intero pianeta da proteggere, a muovere la trama della seconda è un evento più piccolo e stravagante: nel negozio di libri di Aziraphale si presenta l’arcangelo Gabriele (Jon Hamm), uno degli arcangeli più importanti del Paradiso, che però mostra di non avere alcuna memoria di sé.
La sua scomparsa dal piano di sopra getta scompiglio sia lì che agli inferi e i nostri protagonisti, da tempo malvisti dai rispettivi gruppi per via della loro passione fin troppo evidente per la Terra, devono provare a capirci qualcosa cercando al contempo di non far arrabbiare nessuno.
Considerando che si passa da un possibile Giudizio Universale a un arcangelo nascosto in una libreria, è abbastanza evidente che la seconda stagione di Good Omens ha abbassato un po’ il tiro rispetto alla prima, per lo meno in termini di portata cosmica.
In questo senso, però, dobbiamo recuperare quello che dicevamo all’inizio sulla stagione intesa come ponte per il futuro: una volta compreso il motivo della discesa di Gabriel sulla Terra, scopriamo anche che l’Arcangelo ha perso il suo posto nell’elite del Paradiso, e va quindi sostituito.
A prendere le decisioni, in questo caso, è il Metatron, un angelo appartenente soprattutto alla tradizione ebraica, che è classicamente consideraro il braccio destro di Dio: dopo aver visto che, durante la crisi della sparizione di Gabriel, Aziraphale si è comportato in modo retto e intelligente, pur con qualche goffaggine, Metatron affida a lui il posto di Gabriel, presagendogli un imminente, importantissimo evento che coinvolge il Paradiso, ovvero il “Secondo Avvento”.
Dobbiamo dunque immaginare che in un’ipotetica terza stagione avremo a che fare con un potenziale, nuovo Gesù, e francamente non vedo l’ora.
A parte la dimensione ridotta della trama della seconda stagione (che mi sento di considerare un “difetto”) tutto il resto gira comunque a meraviglia.
Quello fra Michael Sheen e David Tennant è ormai un sodalizio formidabile, che peraltro abbiamo anche avuto modo di apprezzare negli anni della pandemia con Staged, in cui i loro ruoli erano in qualche modo ribaltati rispetto a Good Omens: incazzoso e spiccio Sheen, più ondivago e ingenuo Tennant.
I due confermano una grande forma fatta di tempi comici perfetti, cura maniacale di ogni movimento e postura sulla scena, e tutto quello che potete considerare quando vi immaginare dei bravi attori.
Ma oltre al loro carisma non mancano le idee, già nella prima scena: agli albori del mondo, quando Crowley era ancora un angelo, assitiamo al primo incontro fra i due protagonisti, in cui i giudizi sulla fabbrica dell’Universo mostrano già il futuro dei due personaggi. Aziraphale è lì solo per fare la volontà dell’Onnipotente, mentre Crowley, che ha appena scoperto che i trilioni di stelle da lui creati serviranno solo a far sognare dei piccoli umani su un piccolo pianeta, si permette di mettere in dubbio l’intelligenza del progetto di Dio, di fatto mettendo le basi per la propria caduta verso l’Inferno.
Nel resto dei sei episodi, la seconda stagione di Good Omens racconta dei problemi di Gabriel, della sua ricerca da parte di angeli e demoni, dei rapporti che Aziraphale e Crowley intrattengono con gli umani loro vicini, e c’è anche spazio per numerosi flashback con i quali raccontare lo sviluppo del rapporto fra i due protagonisti nel corso dei secoli.
In ognuno di questi elementi è ben visibile la fertile immaginazione di Neil Gaiman, che trasforma tanto gli angeli quanto i diavoli in burocrati non troppo svegli e poco avvezzi alle cose concrete della Terra, e ci regala molti momenti di divertimento che riguardano quasi sempre uno scostamento della nostra percezione e del nostro punto di vista. Vediamo le cose di casa nostra attraverso lo sguardo di creature che non ci conoscono e magari un tantino ci disprezzano, con un frizzante effetto di straniamento (c’è per esempio il tormentone delle bevande calde nelle tazzine, che le creature non-umane non sanno proprio come approcciare).
In tutto questo, la gestione degli attori è sempre impeccabile, sia che si tratti di rappresentare la goffaggine angelica alle prese con il mondo fisico, sia che si parli dell’arroganza (inevitabilmente ridicola, per noi umani che la guardiamo dal basso) di un popolo divino che avrà pure costruito l’universo, ma poi mostra difficoltà lavorative e relazionali non tanto diverse da quelle degli umani.
D’altronde da qualche parte saremo pure venuti fuori…
Si tratta dunque di un viaggio breve ma gustoso, appena un po’ ridimensionato dalla portata più circoscritta della trama, ma comunque pieno di belle invenzioni e trovate intelligenti, che preparano bene il terreno per una terza stagione che, se ci sarà, promette faville.
E però non possiamo che chiudere con il solito argomento, perché all’apparenza anche Good Omens e Neil Gaiman piegano il capo di fronte agli ordini del politically correct, con un bacio fra Aziraphale e Crowley che sancisce un amore finora solo suggerito, e qui peraltro rovinato dalla decisione di Aziraphale di seguire Metatron in Paradiso, lasciando la Terra.
La questione, però, è più complessa di così.
L'”amicizia” (a questo punto devo usare le virgolette) fra Aziraphale e Crowley è fin da subito controversa e teoricamente proibita, e la sua eccezionalità (nel senso proprio di eccezione) è uno dei temi fondamentali della storia, un punto di incontro umano fra due eserciti altrimenti incompatibili.
Sul fatto che fosse, o potesse essere, un’amicizia non puramente platonica, o comunque non umanamente intesa, è un tema sollevato già a suo tempo, dopo l’uscita del libro, che presentava il rapporto fra i due in modo volutamente (e velatamente) ambiguo.
Nel corso degli anni si sono sprecate le fan faction con esplicite storie d’amore fra i due (bisogna anche dire che il popolo delle fan fiction, spesso assai giovane, tende a essere abbastanza romantico&arrapato), e negli ultimi tre decenni molte persone hanno chiesto proprio a Gaiman di chiarire la questione.
A queste domande così esplicite circa una materia narrativa volutamente più sfumata, Gaiman aveva sempre risposto in maniera molto intelligente: sì, quella fra Aziraphale e Crowley è a tutti gli effetti una storia d’amore, ma bisogna considerare che non si tratta di due maschi umani, bensì di due creature soprannaturali che, casualmente, hanno tratti estetici che noi attribuiamo tradizionalmente agli uomini.
Associare al loro rapporto i tratti dell’Amore con la A maiuscola aveva dunque senso, mentre ne aveva meno incasellarli nella specifica cornice dell’amore gay fra maschi.
Intanto gli anni sono passati, la cultura e l’opinione pubblica hanno subito degli smottamenti, e un sacco di gente che lotta contro le etichette e le definizioni in nome della fluidità non vede l’ora di piazzare etichette e definizioni che possano posizionare bandierine su porzioni di territorio.
In questo senso, se effettivamente, e da trent’anni, il rapporto fra Aziraphale e Crowley è descrivibile come “amore”, ho trovato una scelta un po’ sciatta quella di esplicitarlo con un bacio con cui Crowley cerca di convincere Aziraphale a non partire. Un atto che, aggiungiamo, arriva alla fine di una stagione dove l’elemento femmineo nel comportamento di Aziraphale è sembrato più marcato e più esplicito rispetto alla prima.
Intendiamoci, la costruzione del loro rapporto continua a essere intensa ed emozionante, come struggente è il momento dell’addio, in cui la “carriera” arriva a mettersi in mezzo al romanticismo, secondo uno schema molto umano.
Ugualmente, che sia Crowley, un demone, a esprimere in modo fisico il suo sentimento, è coerente con… beh, con la stessa idea di diavolo infernale che possiamo aver maturato in anni di catechismo.
Tuttavia, a me la spiegazione iniziale di Gaiman piaceva di più. Mi piaceva, insomma, che l’amore proibito fra queste due creature, durato milioni di anni, andasse al di là dei singoli modi in cui gli esseri umani lo possono concepire ed esprimere. Un amore, insomma, puro, soprannaturale per l’appunto, che vive di presenza reciproca e di scelta di comunione rispetto a un sistema che lo osteggia. Un amore che quindi, metaforicamente, può contenere tutti gli amori umani.
Nel momento in cui si sceglie di esprimere in modo fisico quell’amore, con un bacio che, in quanto gesto prettamente umano (e rappresentato senza alcuna invenzione accessoria), mi sembra molto lontano da ciò che sappiamo di queste due creature e del loro rapporto con il mondo terreno, due entità divine e al di là della comprensione umana vengono trasformate in due semplicissimi maschi gay.
(Giova notare che nella stagione c’è un altro amore inaspettato, quello fra Gabriel e Belzebù, che però rimangono lontani da effusioni fisiche)
Immagino che un tot di persone esulteranno, e va benissimo, ma a me sembra una forzatura e un tradimento di parole molto sagge pronunciate per tanti anni.
A parte questi inciampi, e magari anche proprio per questi inciampi, che sennò poi è tutto troppo perfettino, Good Omens 2 non si può che consigliare, non fosse altro che per prepararsi al nuovo avvento di Gesù, o come si chiamerà questo nuovo messia di cui il Metatron ha suggerito il ritorno.
Ecco, diciamo che la mia speranza è che, nel caso, non ci vogliano altri quattro anni, perché dopo la prima stagione che parlava di Apocalisse abbiamo avuto pandemie mondiali, guerre alle porte di casa, fiumi di ghiaccio e intere regioni a fuoco.
A me un po’ d’ansia viene, onestamente.