The Witcher 3 seconda parte – Un poco meglio. Però poco. di Diego Castelli
Come era lecito aspettarsi, i tre episodi che salutano Henry Cavill sono più divertenti dei primi cinque, ma siamo lontani dall’eccelenza
SPOILER LIMITATI, MA QUALCOSA C’È
Un mesetto fa, quando parlammo dei primi cinque episodi della terza stagione di The Witcher, arrivarono anche un paio di commenti che, anche se non con queste parole esatte, esprimevano una critica molto precisa: “Che senso ha recensire solo i primi cinque episodi, quando dichiaratamente sono solo una prima parte?”
Naturalmente, e mi scuserete se mi tocca ribadirlo, è una critica che non sta in piedi. In primo luogo perché, se anche gli ultimi tre episodi fossero buoni, cinque episodi mediocri su otto sarebbero comunque un problema. In secondo luogo perché è stata Netflix, in ansia da prestazione e preoccupata che la gente non ne parlasse abbastanza, a venire meno alla sua regola del binge watching, spezzando in maniera forzata una stagione che, con ogni evidenza, non era pensata per essere divisa a quel modo.
Ma non scrivo questa introduzione per fare gne gne gne, la scrivo per sottolineare una cosa diversa: pur in disaccordo con i presupposti di quella critica, io ce l’avevo davvero la speranza che i restanti tre episodi potessero essere migliori. Una speranza legata alla piacevolezza dei miei pomeriggi, ma anche al vero, ultimo saluto a Henry Cavill, di cui ora abbiamo visto davvero tutto nei panni di Geralt di Rivia.
Purtroppo, queste ultime tre puntate sono state sì meglio di quelle che le hanno precedute (non era difficile), ma non possiamo comunque scioglierci nell’entusiasmo.
Un primo motivo per cui questa seconda tranche di episodi è superiore alla prima, è che finalmente succede qualcosa e finalmente la gente si mena, in questa serie fantasy tamarra dove il protagonista è uno spadaccino mutante che dovrebbe uccidere mostri e invece di recente ha soprattutto partecipato a balli nobiliari.
In realtà, però, a menare le mani non è Geralt, o non del tutto. Dopo l’estenuante ragnatela di rapporti politici costruiti un mese fa, nel sesto episodio si comincia a quagliare e, soprattutto, scattano le battaglie, che coinvolgono soldati, maghi (soprattutto maghe) ed elfi raggruppati in diverse fazioni, ognuna con le sue priorità e obiettivi.
Senza entrare nel dettaglio, è un momento abbastanza liberatorio, perché ci sembra di poter sfogare con la violenza e gli effetti speciali un chiacchiericcio che era francamente diventato stucchevole.
E quando il magico trio Geralt-Yennefer-Ciri è costretto a dividersi per cercare di mettere qualche toppa ai numerosi casini esplosi nel continente, ne guadagniamo quel senso di precarietà e di disastro imminente che riesce a smuoverci qualcosa nello stomaco.
Purtroppo, però, anche questi tre episodi mostrano qualche difficoltà in termini di struttura e pesi compositivi.
Per esempio, il sesto è palesemente il più divertente e “roboante” di tutti, ha i crismi da season finale, e invece viene messo per terz’ultimo, lasciando agli ultimi due un ritmo più compassato.
Per la verità, il settimo non è male, è incentrato molto su Ciri e su un viaggio magico-onirico abbastanza gustoso, girato tutto in Marocco per sfruttare un’atmosfera completamente diversa, e soprattutto capace di imprimere un’effettiva accelerazione all’addestramento della giovane, nel senso più ampio del termine.
Ma se già si stava scendendo, l’ottavo e ultimo episodio stagionale, pur in presenza di qualche sorpresa sanguinosa, torna ai ritmi blandi della prima parte di stagione, con tanti dialoghi di dubbio interesse, qualche momento di supposta poesia fin troppo zuccherosa, e un Geralt costretto a combattere battaglie molto meno importanti rispetto alle (poche) affrontate nelle puntate precedenti.
Il tema della presenza fisica di Henry Cavill sullo schermo resta inspiegabilmente importante anche in questa seconda tranche: l’impressione costante è che Geralt si veda troppo poco, e che sia in qualche modo trattenuto dal fare quello che il pubblico vorrebbe vedergli fare.
Intendiamoci, in questi tre episodi ci sono più combattimenti che nei cinque precedenti, e Cavill riesce effettivamente a farci vedere un po’ della sua abilità con la spada. Resta però l’impressione di vederlo poco protagonista della serie che porta il nome del suo personaggio, costantemente sovrastato dalle macchinazioni di palazzo o dalle beghe magiche e psicologiche di Ciri e Yennefer.
In questo senso, il rapporto con i libri pare essere un paradosso.
Come mi hanno assicurato alcuni di voi, più esperti di me dei romanzi, Andrzej Sapkowski è un bravo costruttore di mondi, ma non un grande romanziere in senso stretto, e il terzo e quarto libro (il terzo l’ho effettivamente letto) mostrano gli stessi problemi di intensità visti in questa stagione.
Il paradosso, dunque, è che in un mondo seriale in cui la fedeltà agli originali di carta è spesso un parametro importante per molti spettatori, con The Witcher forse bisognava avere il coraggio di forzare ancora di più la mano, per quel tanto che sarebbe bastato a dare più spazio e più azione in mano a Geralt/Cavill.
La showrunner Lauren Hissrich aveva lasciato intendere che questi ultimi episodi con protagonista Henry Cavill avrebbero potuto e dovuto essere un addio eroico per l’attore.
Ebbene, la missione non sembra granché compiuta, visto che il nostro viene costretto per troppo tempo fuori dallo schermo, e il suo ultimo combattimento, contro gente di nessun valore, sembra più un pre-pensionamento in attesa di veder arrivare Liam Hemsworth.
Di nuovo, la trama almeno in parte bloccata da una certa fedeltà ai romanzi ci ha messo lo zampino, non consentendo a Geralt di vivere un momento di totale entusiasmo che rappresentasse un degno saluto al suo interprete (che anzi durante questi tre episodi subisce pure una sconfitta assai cocente da cui esce vivo solo grazie alla plot armor, al fatto che doveva restare vivo, non certo alla verosimiglianza della scena).
Resta il fatto, però, che Henry Cavill non riesce ad andarsene col botto.
Per una serie in cui il carisma del protagonista era così importante in termini di immersione degli spettatori nella storia, questa impressione di smobilitazione non fa altro che aggiungersi alle altre fragilità della sceneggiatura già affrontate, producendo un sapore complessivamente insipido.
Aggiungeteci pure un Jaskier/Ranuncolo che ha guadagnato una bisessualità, perdendo però qualunque brillantezza e simpatia (con pure l’aggiunta di un taglio di capelli discutibile) ed ecco che abbiamo pure la ciliegina appassita sulla torta di avena.
Non è che The Witcher non abbia più nulla da dare, perché Ciri non ha ancora terminato il suo percorso e perché, se si riuscissero a snellire (di molto) le complicazioni politico-burocratiche, le tensioni fra le varie fazioni avrebbero effettivamente qualcosa da raccontare, anche se il confronto con l’altro grande fantasy politico del recente passato, cioè Game of Thrones, è incredibilmente impietoso da tutti i punti di vista (e anche per questo si chiede a The Witcher di essere più action e caciarone, per distanziarsi).
Anzi, se devo dirvela proprio tutta, sono anche curioso di vedere Liam Hemsworth nei panni di Geralt, perché l’affetto per Cavill ci fa comportare come amanti traditi, ma non è che il fratello di Thor non abbia il cosidetto physique du rôle.
È che siamo stanchi. All’inizio difendevamo The Witcher perché ci piaceva il suo stile, ci entusiasmava il suo protagonista, e ci sembrava, sotto sotto, di avere di fronte il figlio segreto di Hercules e Xena, aggiornato al nuovo millennio.
Ora quel protagonista non c’è più, lo stile si è incartato in qualcosa di diverso (e peggiore) di ciò che aveva dato la fama iniziale allo show, e a pensare a Hercules mi viene la nostalgia di quando lo guardavo andare in giro a fare a cazzotti insieme a Iolao.
Magari riusciranno a risollevare il nostro entusiasmo, ma mi permetto di essere pessimista.