3 Luglio 2023

Hijack su Apple Tv+ – Idris Elba, i terroristi, e un pizzichino-ino di 24 di Diego Castelli

Hijack è un thriller con dirottamento che fa benr il suo mestiere, anche se bisognerebbe stare attenti a fare paragoni troppo azzardati

Pilot

Io il marketing lo capisco, perché ce lo diciamo ogni volta: ormai escono così tante serie (e film, e video brevi in cui una fanciulla discinta ti spiega i segreti dell’universo, ecc ecc), che capisco perfettamente la necessità di spararla sempre grossa giusto per attirare l’attenzione.
La serie più costosa della storia! La nuova Breaking Bad! La serie girata dal cugino preferito di Spielberg!

Poi però bisogna anche stare attenti, perché queste belle operazioni promozionali possono creare aspettative di un certo tipo, e finisce che ti incazzi per motivi che non c’entrano niente col prodotto in sé, e nascono invece dal modo in cui te l’hanno venduto.

Un po’ come succede con Hijack, nuova serie di Apple Tv+ che, poverina, è una serie assolutamente dignitosa, ma per la quale ho speso un intero episodio prima di decidere che dovevo ripulirmi il cervello da quello che l’ufficio marketing mi aveva messo in testa.
Meno male che di episodi ne erano usciti due.

Hijack è creata da George Kay, autore inglese già padre di Lupin e Criminal, e ha per protagonista il buon vecchio Idris Elba, che non credo di dovervi presentare granché.
Come titolo suggerisce (la parola “hijack” significa “dirottare”), la storia è quella di un dirottamento aereo: alcuni criminali, le cui motivazioni ci sono ancora oscure dopo i primi due episodi, prendono possesso di un volo partito da Dubai e diretto verso Londra.

I cattivi sembrano sapere il fatto loro, tanto che riescono a impedire che a terra si scopra subito della loro azione criminale, ma allo stesso tempo non hanno tutto perfettamente sotto controllo: il dirottamento inizia prima del previsto per un banale errore, e non danno sempre l’impressione di avere ben saldo il polso della situazione.

È qui che entra in gioco Sam Nelson (Elba), uno che nella vita fa il negoziatore nei rapporti fra grandi aziende, e che riesce a instaurare con i dirottatori un curioso rapporto di fiducia: contrariamente ai classici eroi hollywoodiani che appena possono menano tutti, Nelson arriva addirittura ad aiutare i terroristi (il cui capo è Neil Maskell, cioè Arby di Utopia), con in testa una consapevolezza precisa: se non li aiuta, finiranno abbattuti da qualche caccia, e lui non potrà tornare a casa dal figlio e dalla ex moglie che ancora ama. Quindi meglio aiutarli (magari con qualche secondo fine) fin tanto che questo consente a tutti di rimanere vivi.

Già questo piccolo twist rispetto alle normali aspettative che abbiamo sulle storie di dirottamento aereo (da Decisione Critica e Flightplan, passando per Air Force One e chissà quanti altri film), basterebbe a destare l’attenzione: un eroe che collabora con i terroristi invece di cercare espressamente di mettergli i bastoni fra le ruote. Che novità, signora mia, fammi vedere come va a finire!

Ma in aggiunta a questo, e in aggiunta al carisma di Idris Elba che comunque non è cosa secondaria, Hijack semplicemente funziona in quanto thriller: con i dirottamenti è relativamente facile creare la suspense, ma “facile” non significa “scontato”. Hijack fa tutte le cose a modo: la costante attesa di qualcosa che deve succedere, l’impressione che se a un terrorista girano i cinque minuti può uccidere qualcuno, la paura che un passeggero emulo di Rambo decida di prendere in mano la situazione, finendo ammazzato o tumefatto.

Quindi insomma, un bel thrillerino facile e senza troppe pretese, ma che fa il suo lavoro, nonostante qualche difettuccio che vedremo fra poco.

Qual è dunque il problema della promozione di cui dicevamo sopra? Semplice, che Apple se l’è venduta come se fosse 24, sottolineando molto (almeno nei comunicati alla stampa) il tema della narrazione in tempo reale, perché Hijack è una miniserie di sette puntate che copre le sette ore di volo dell’aereo dirottato. Non a caso, il sottotitolo italiano è “Sette ore in alta quota”.

E per carità, il motivo dell’accostamento esisterebbe pure, però 24 era una serie capace di creare una marca di stile riconoscibilissima, che attorno al tema del tempo reale fondava l’intera narrazione e ne modificava nel profondo certe procedure e abitudini. 24 fu un esperimento televisivo nobilissimo, che a partire dal suo iconico cronometro divenne uno degli ultimi simboli della capacità della generalista si sperimentare nuove idee e nuovi formati, prima che le cable tv e le piattaforme di streaming si caricassero sulle spalle la quasi totalità del peso della sperimentazione da piccolo schermo.

Hijack non ha nulla di tutto questo, perché il concetto stesso del tempo reale non solo non è rispettato (ci sono ellissi temporali che non hanno alcuna paura di essere tali), ma nemmeno produce un registro stilistico che lo incornici e gli dia personalità.

Vorrei essere molto chiaro: il fatto di non essere abbastanza simile a 24, o di non trovare una sua via per essere innovativa come 24, non è una colpa specifica della serie, che come detto fa il suo e diverte facilmente.

Il problema è quello di una promozione che mi ha costretto a passare il primo episodio non a godermi la storia, che aveva tutti i motivi per essere goduta, ma ad analizzare l’episodio in virtù di un rapporto con un ipotetico “originale” che in realtà non era nemmeno così preso a modello.

E voi direte: “Ma non ti sembra una questione di poco conto? E soprattutto, alla fine non hai citato anche tu 24 nel titolo dell’articolo, per attirarci qui?”
Ok, sarà una cosa un po’ da nerd, ma d’altronde siamo a Serial Minds, mica sulla gazzetta dello sport. E per quanto riguarda il numero avete ragione, però ho scritto “pizzichino-ino”.

Al netto di queste questioni di contesto, bisogna anche dire che, pur in una buona qualità generale, Hijack non fa tutto “alla perfezione”.

Ho trovato alcune situazioni un po’ forzate, molto scritte e quindi troppo evidenti nel mettere in scena le necessità della sceneggiatura prima di quelle di una pur romanzata verosimiglianza.
E soprattutto, in una serie in cui un tizio qualunque, abile solo con le sue parole e suoi sguardi, riesce a diventare amico, confidente e perfino consigliere di un gruppo di feroci criminali, il tizio in questione dovrebbe darci prova di un’intelligenza sopraffina.

Il massimo sarebbe farci immedesimare con i criminali, rimanendo a bocca aperta di fronte all’arguzia dell’eroe, che quindi ci permette di accettare senza grossi problemi il fatto che effettivamente riesce a intortare i cattivi.

Ecco, non avviene esattamente così, perché più che stupiti dall’intelligenza di Sam, siamo sorpresi dalla dabbenaggine dei terroristi, il che fa perdere qualche punto a questi due primi episodi.

Si tratta comunque di un dettaglio non così decisivo, tanto più che l’impressione non è quella di criminali teoricamente geniali ma scritti male, bensì quella di scappati di casa che effettivamente possono essere manipolati. Su questo punto dovremo scoprirne di più, ma intanto la suspense non ne viene troppo danneggiata, regalandoci due episodi che fanno venire voglia di vedere il terzo.

Se qualcosa dovesse cambiare, in meglio o in peggio, ci risentiamo.

Perché seguire Hijack: è un thriller che funziona, con qualche buona idea e un Idris Elba sempre apprezzabile.
Perché mollare Hijack: perché ce l’hanno venduto come “la 24 di Apple”, e bisognerebbe sciacquarsi la bocca prima di parlare di certi campionissimi.



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