The Idol su Sky – La serie che doveva essere orrenda, anche se… di Diego Castelli
Presentata a Cannes e subissata di critiche, la nuova serie di Sam Levinson è più furba di quanto sembri. Però The Weeknd è un cane.
Quando si parla di aspettative in fatto di serie tv, solitamente la dinamica è una sola: ti aspetti la serie della vita, e poi ti ritrovi in mano un calzino bagnato. Più raramente accade il contrario, di aspettarsi una poltiglia di fango e ottenere invece una bella bibita frizzantina.
Oggi invece parliamo di un caso più unico che raro, un caso in cui le stesse aspettative sono oggetto di un parabola emotiva che da sola sembra una serie tv.
Parliamo di The Idol.
Creata per HBO da Sam Levinson, padre di Euphoria, The Idol è già arrivata anche da noi su Sky e NOW, e racconta la storia di un pop star (interpretata da Lily Rose Depp, figlia di Johnny Depp e Vanessa Paradis) che dopo un periodo difficile prova a riprendere possesso del suo trono da cantante-idolatrata-supersexy, mentre nel frattempo si fa coinvolgere in una torbida relazione con Tedros (il cantante Abel Tesfaye, cioè The Weerknd, che è anche co-creatore della serie).
Torbida perché Tedros non è solo un padrone di nightclub maneggione e cocainomane, ma è pure a capo di una qualche strana setta che non fa presagire niente di buono.
Ritornando al tema delle aspettative schizofreniche, la questione è la seguente: di base, se una serie viene da HBO, siamo interessati. Se è creata da Sam Levinson, che con Euphoria ha prodotto un vero e proprio gioiello, siamo ancora più curiosi. Se poi ci metti Lily Rose Depp, personalmente mi permetto di essere ancora più fomentato.
E poi però arriva la doccia fredda: la serie viene presentata con un paio di episodi a Cannes e la risposta della critica è per lo più molto fredda, se non addirittura incazzata. Con toni più o meno accesi, si parla di un soft-porno volgarotto quando va bene, e di una storiella che condona gli abusi quando va male.
Capite quindi che, prima di vedere il pilot, l’interesse si è spostato da una genuina curiosità per la serie, i suoi autori e interpreti, a un “fammi vedere chi ha ragione”.
Il viaggio di Jocelyn, la popstar in ascesa dopo la caduta, inizia con un servizio fotografico e delle prove di ballo in cui la ragazza è completamente al centro dell’attenzione, ma in cui è evidente fin dalle primissime inquadrature che il suo ruolo è prima di tutto quello di merce, di strumento economico prezioso, la cui immagine va costruita, guidata, protetta, sospinta, a seconda dei momenti. La vera Jocelyn è immediatamente annegata in una serie di faccette finte, di maschere buone per una foto, e la sua vera identità non interessa a nessuno.
È un momento strano. Una selva di collaboratori (fra cui ci sono un po’ di note facce cine-seriali come Eli Roth, Hank Azaria, Dan Levy) si affanna intorno a Jocelyn per garantire la sua sicurezza anche nei termini della contemporanea protezione del corpo e dell’intimità (al punto che il suo diritto a spogliarsi viene ostruito da chi è lì a garantire la sua libertà dallo sfruttamento). Allo stesso tempo, è la medesima gente che, quando su internet salta fuori una foto rubata e molto spinta della ragazza, ha come prima priorità quella di sfruttare l’evento per massimizzare ulteriormente la fama della star.
Arriva poi una seconda parte dell’episodio, abbastanza slegata dalla prima. Dopo quella giornata di lavoro, Jocelyn decide di andare con la sua migliore amica e assistente in un locale alla moda, in cui incontra Tedros.
Fra i due scoppia subito la scintilla e poco ci manca che facciano sesso sulle scale.
Il giorno dopo, o giù di lì, Tedros raggiunge Jocelyn a casa sua, fa una capatina in bagno dove ci appare come un grezzone sniffatore, la seduce nuovamente, e inizia con lei un gioco erotico che fa un po’ Cinquanta Sfumature di Grigio, e che sembra l’inizio di una relazione che potrebbe dare nuovo impulso alla creatività di Jocelyn, ma anche farla precipitare in un gorgo oscuro.
Ora io non vorrei mettermi a fare la recensione delle recensioni, però è un fatto che, anche in Italia, le reazioni sono state molto diverse. Un ampio spettro in cui a un estremo c’è la bocciatura della serie in quanto robetta pruriginosa e paracula, e all’altro c’è l’esaltazione di un affresco duro ma efficace sulla decadenza morale dei nostri tempi.
Inutile dire che, pur nelle limitate informazioni offerte da un solo episodio su sei complessivi, per me la verità sta nel mezzo.
Sam Levinson è effettivamente un paraculo. È ossessionato dal corpo femminile, ed è anche grazie a una certa furbizia che riesce a stare in bilico fra l’autore consumato che racconta la mercificazione del corpo, e quello che il corpo effettivamente… lo mercifica.
Allo stesso tempo, è altrettanto vero che con la macchina da presa ci sa fare, che il sesso vende sempre ma devi anche saperlo mettere in scena, e che Lily Rose Depp, anche per merito di Levinson, arriva alla fine di questo episodio che pare una Dea della Sensualità che al confronto Afrodite pare una bidella a fine turno (col massimo rispetto per le bidelle a fine turno).
Quindi è vero che abbiamo un po’ di soft-porno, ma è pure vero che è un bel soft-porno. Il pilot vuole anche avere la funzione di entrarci sotto pelle in maniera istintiva, e tutto sommato ci riesce.
Pure sul fronte narrativo mi pare che ci siano alti e bassi. Soprattutto la prima parte, per quanto non originalissima, riesce a mettere in luce alcuni cortocircuiti dello showbusiness attuale, in cui l’attenzione per tutto ciò che è woke e consapevole si scontra inesorabilmente con logiche di mercato e di profitto che difficilmente possono essere sconfitte da qualche buon proposito.
La seconda parte, invece, appare più debole, con questa deriva da storiella sadomaso che dovrebbe farci vivere la discesa agli inferi, ma che a tratti rischia di superare quella sottile linea di confine che spesso esiste fra l’estremo e il ridicolo.
Parte di questo problema, diciamolo senza paura, è proprio Abel Tesfaye, che da co-creatore della serie ha deciso di tenere per sé il ruolo da Christian Grey (chiamalo pirla…), ma non ne ha minimamente il carisma né le capacità recitative. Anche se restiamo sulla valutazione della semplice carica erotica dei protagonisti, Lily Rose Depp è semplicemente su un altro pianeta rispetto a lui, e questo è inevitabilmente un difetto.
Decisive, dunque, diventano le prossime puntate, molto più di quanto non pensassi a leggere quelle prime recensioni.
Assodato che il pilot mostra il fianco a notevoli rischi, bisogna riconoscergli una forza espressiva palese, una capacità di arrivare al cuore e ai lombi molto prima che al cervello.
Allo stesso tempo, se l’obiettivo è quello di raccontare la caduta di una stella e le contraddizioni del mondo in cui vive, non ci si può accontentare di una storiella erotica che accumuli scene hard per cinque episodi, per poi snocciolare una piccola morale. Che gli piaccia o no, con Euphoria Sam Levinson si è guadagnato la fama di narratore di generazioni, o almeno di pezzi interessanti di esse, e ora non si può tornare indietro.
The Idol sembra riportare al mondo dello spettacolo quel discorso sul corpo e sul sesso come monete di scambio per valori e identità sociale, che Euphoria ha già raccontato con feroce chiarezza, e ora pretendiamo lo stesso livello di approfondimento, anche se le grazie di Lily Rose Depp sono già un’ottima cosa.
L’unico paradosso, nel giudicare una serie come The Idol, potrebbe venire dal desiderio istintivo di difenderla solo per controbattere ad alcune delle recensioni peggiori, quelle con la puzza puritana sotto al naso che la bacchettano come prodotto triviale, irrispettoso delle donne e quant’altro. Prima di sparare le pallottole buoniste, aspettiamo di vedere come verrà messo in scena l’abuso, e poi magari chiediamo a Depp se le fa piacere o meno apparire come una dea seriale del sesso. Perché se a lei non dispiace, non dovrebbe dispiacere a noi.
Ma ne riparleremo.
Perché seguire The Idol: per la capacità di colpire i sensi in modo diretto e passionale, con la promessa di un discorso più articolato.
Perché mollare The Idol: esiste la concreta possibilità che quel discorso più articolato non arrivi. Ah, e poi The Weeknd è un cagnaccio.