Fatal Attraction su Paramount+ – Un’attrazione non così fatale di Diego Castelli
La versione seriale di Attrazione Fatale, pur con due protagonisti sulla carta ottimi, fatica a emozionare come dovrebbe
Già al tempo della notizia della produzione della serie, ma ancora di più dopo aver rivisto il vecchio film su Paramount+, ero abbastanza convinto che Fatal Attraction (in italiano Attrazione Fatale) sarebbe stata una storia facilmente adattabile alla serialità.
Il film di Adrian Lyne, su sceneggiatura di James Dearden, è una delle icone cinematografiche degli anni Ottanta, ma oggi, nonostante una trama che effettivamente non contempla moltissimi elementi, suona un po’ frettoloso: la storia di un uomo che decide di tradire la moglie con una donna che poi si rivelerà molto instabile e pericolosa è teoricamente molto semplice, ma lascia anche spazio per uno scavo psicologico che il film, compresso in poco meno di due ore, non si poteva permettere più di tanto.
Ben venga dunque la serialità.
Non è nemmeno solo questione di durata.
Per quanto il Fatal Attraction originale rimanga un pezzo di storia del cinema, godibile ancora oggi in molti elementi, è pure invecchiato peggio di altri film dell’epoca.
Questo perché l’idea di una donna in carriera e senza famiglia che, frustrata dal suo utero avvizzito, esce di testa per un uomo sposato presentato come l’assoluto buono della situazione (malgrado tradisca la moglie), è semplicemente una cosa che non consideriamo più granché accettabile.
E attenzione, non sto parlando di una semplice (seppure importante) questione di rappresentazione del femminile. Poi certo, siamo nel 2023, e che il protagonista Michael Douglas sia il figaccione che non deve chiedere mai, mentre intorno a lui gravitano donne isteriche che gli danno solo problemi, ci suona semplicistico e abbastanza sessista.
Ma ripeto, non è solo questo: il tema è quello di personaggi a cui basta quasi solo la loro funzione narrativa, in una storia in cui tutto è tagliato con l’accetta, senza le sfumature e l’attenzione per l’interiorità dei personaggi che invece abbiamo imparato ad apprezzare anche grazie all’influenza delle serie tv.
L’obiettivo, dunque, diventa arricchire una dinamica sentimentale, psicologica e perfino criminosa che nel film del 1987 era inscatolata in maniera abbastanza rigida.
Era proprio questa l’intenzione dichiarata di Alexandra Cunningham e Kevin J. Hynes, chiamati ad adattare Fatal Attraction per il piccolo schermo e intenzionati a darle quel respiro di cui oggi sentiamo il bisogno, senza per questo distruggere l’idea iniziale, cioè quella di un uomo tutto sommato normale, che a un certo punto si trova invischiato in una relazione oscura e pericolosa.
Come ulteriore motivo di interesse, da queste parti, c’erano anche le scelte di cast.
A sostituire Michael Douglas nei panni dell’avvocato Dan Gallagher è stato scelto Joshua Jackson, che fra Dawson’s Creek, Fringe e The Affair è uno degli attori più apprezzati su queste pagine.
A ricevere la (non semplice) eredità di Glenn Close nei panni dell’amante di Dan, Alex Forrest, c’è invece Lizzy Caplan, bravissima co-protagonista di Masters of Sex e recentemente rivista in Fleishman is in Trouble.
Chiude il cerchio, nei panni della moglie di Dan, Amanda Peet, chiamata a interpretare un personaggio a cui, come era lecito aspettarsi, viene concesso un po’ più spazio rispetto al film originale, in cui la moglie di Dan aveva poco più che la funzione de “la famiglia legittima che la relazione clandestina mette in pericolo”.
Insomma, tutto perfettamente apparecchiato per l’operazione di svecchiamento, gestita con le persone giuste al posto giusto.
E però, alla fine, qualcosa non torna. Forse anche più di qualcosa.
Come detto, la serie ricostruisce la storia di Dan, avvocato con l’ambizione di diventare giudice, che inizia una storia teoricamente breve e passionale con Alex, una collega conosciuta sul lavoro.
Il tutto condito con alcune sottostorie che nel film non c’erano o erano solo abbozzate, che qui servono ad allargare il quadro e mettere carne al fuoco: in particolare, gli autori decidono di mostrarci anche un secondo piano temporale, di diversi anni nel futuro rispetto alla tresca fra Dan e Alex, in cui l’uomo s’è fatto quindici anni di prigione per l’omicidio di lei, un omicidio che lui sostiene di non aver commesso (vale la pena ricordare, a questo proposito, che nel film è proprio Dan, con colpo finale dato dalla moglie, a uccidere Alex, ma in quello che la pellicola ci racconta come un semplicissimo caso di legittima difesa).
Quello che succede, nonostante tutte le buone intenzioni, è che i primi tre episodi della serie (ma ci aggiungo anche il quarto che ho visto poco prima di scrivere queste righe) sono sorprendentemente lenti.
Se il film ci sembrava un po’ affrettato, specie nella costruzione della passione fra i protagonisti seguita dalla sua trasformazione in incubo, la serie riesce ad avere problemi da entrambi i punti di vista: l’avvicinamento fra Dan e Alex è più progressivo rispetto al cinema, ma senza riuscire ad aggiungere moltissimo in termini di comprensione della vicenda e delle psicologie. Ci sembra più realistico forse, e va bene, ma non per questo più interessante.
Allo stesso tempo, quando è il momento di mostrare l’atteso lato oscuro di Alex, esso ci sembra comparire quasi dal nulla, portandosi dietro lo stesso difetto visto nel film.
A onor del vero, già nell’episodio successivo rivediamo gli stessi eventi dei due precedenti dal punto di vista di Alex, ottenendo un quadro più ampio della vicenda, ma ci resta comunque quella strana sensazione di aver visto le stesse cose del film, semplicemente allungate. E non era questo il senso dell’operazione.
Anche sul fronte politico-culturale della vicenda, peraltro, non si nota quell’aggiornamento così brillante che era lecito aspettarsi.
L’idea di mantenere saldo il concept di un’amante pericolosa e violenta, unendolo a una maggiore attenzione nei riguardi delle sue sensazioni e del suo vissuto, era certamente una sfida ardita, ma semplicemente non sembra essere stata vinta: nei quattro episodi che abbiamo visto, Dan continua a sembrarci il buono da proteggere, mentre Alex la cattiva da combattere.
Questo non esclude la possibilità di ulteriori stravolgimenti nelle prossime puntate, però il fatto che, di nuovo, nelle prime quattro ore la serie sembri solo una versione allungata del film, non è comunque una gran cosa.
Come spesso ci capita di dire da queste parti, va benissimo se il grosso dei tuoi significati sta alla fine e non all’inizio, ma la responsabilità di coinvolgermi e trattenermi fino alla fine è tua.
A complicare ulteriormente le cose c’è anche una questione molto più banale e inattesa: Joshua Jackson e Lizzy Caplan funzionano meno del previsto.
È vero che Caplan aveva dimostrato di essere più sensuale di Jackson, solitamente più bravo a fare il sottone simil-depresso (nella sua carriera non è mai stato un vero e proprio sex symbol, mentre Lizzy Caplan dopo Masters of Sex ce la sognavamo di notte). Però insomma, ci fidavamo comunque della bravura e perfino della stazza, visto che non si pensa spesso al fatto che Joshua Jackson passa agilmente il metro e 85: se deve fare il macho che solleva l’amante di turno in un impeto di passione, dovrebbe venirgli abbastanza bene.
Di nuovo, però, qualcosa non torna.
Sarà la pettinatura discutibile di Jackson, saranno le sue mutandone bianche che mi sembrano un omaggio fin troppo rigoroso agli anni Ottanta, fatto sta che fra i due non sembra esserci la chimica giusta. Ci sono gli sguardi, ci sono i ripensamenti, e ci sono infine gli slanci di passione, ma non ci crediamo fino in fondo.
È un problema anche difficile da definire, visto che la chimica sessuale fra due attori non è cosa che si possa rilevare con un chimicometro, ma è difficile non accorgersi che fra i due le cose non funzionano come dovrebbero.
In altre serie, di altri generi, la mancanza di chimica sessuale fra due interpreti potrebbe essere un problema relativo, ma in una serie che si chiama “Attrazione Fatale”, in cui dobbiamo credere che una donna diventa ossessionata di un uomo al punto di rappresentare un pericolo per lui e la sua famiglia, beh, serve qualcosa in più.
Non è che vada tutto male, in Fatal Attraction, non è che non ci sia del mestiere nella messa in scena o degli elementi di interesse qui e là. Ma se alla fine la trama più interessante è quella del recupero del rapporto fra Dan e la figlia ormai cresciuta, anni dopo la morte di Alex, piuttosto che l’effettiva relazione morbosa e criminale con la stessa Alex, vuol dire che da qualche parte un meccanismo s’è inceppato.
Magari sarebbero bastate solo delle mutande più degne…
Perché seguire Fatal Attraction: l’idea di ri-raccontare la storia di Attrazione Fatale, dandole più respiro e più modernità, ha senso.
Perché mollare Fatal Attraction: la dilatazione e moltiplicazione delle storie ha diluito il brodo, ma non l’ha reso più saporito.