Unstable su Netflix – La famiglia Lowe e tanti adorabili imbecilli di Diego Castelli
In Unstable, Rob Lowe recita accanto al suo vero figlio, ma quello che poteva essere bieco nepotismo si rivela una serie molto piacevole
All’inizio pareva giusto uno specchietto per le allodole, buono per solleticare la curiosità e, magari, nascondere le pecche di una serie altrimenti anonima: Rob Lowe (che amiamo dai tempi di The West Wing, abbiamo amato in Parks and Recreation, e insomma amiamo più o meno sempre) era stato ingaggiato da Netflix per essere il protagonista di una serie incentrata su un padre e un figlio, in cui a recitare accanto al buon Rob ci sarebbe stato l’effettivo frutto dei suoi lombi, John Owen Lowe, attore ventottenne con una carriera piuttosto esigua alle spalle.
La serie è Unstable, è creata proprio dai due Lowe insieme a Victor Fresco, è distribuita da Netflix che ha rilasciato pochi giorni fa gli otto episodi della prima stagione, ed è incentrata sulla figura di Ellis Dragon, un guru della tecnologia e dell’innovazione tipo un Elon Musk meno controverso, che si trova in difficoltà dopo la morte della moglie: non riesce più a concentrarsi sul lavoro, non ha più idee, si comporta in modo strambo e le tenta tutte per ritrovare un equilibrio perduto, la cui scomparsa preoccupa non poco il consiglio di amministrazione della sua società, che potrebbe anche estrometterlo dalla guida dell’azienda.
Per risolvere la sua situazione, la direttrice finanziaria Anna (Sian Clifford) chiama Jackson, il figlio di Ellis che si era allontanato dal padre per fare il musicista e stare lontano dai riflettori. La necessità di aiutare il padre a uscire dai casini riporta Jackson e casa e poi… c’è tutto il resto.
Come detto, l’impressione iniziale era quella di uno strano nepotismo che non potesse portare a granché, e pure il trailer della serie non lasciava pensare a chissà quale innovazione.
Ora non sto per dirvi che c’è un mega-twist inaspettato, perché Unstable è effettivamente una comedy abbastanza tradizionale, con il posto di lavoro (un’azienda di biotecnologie) come setting principale, un obiettivo di fondo dichiarato (impedire che la compagnia passi nelle mani di qualche burocrate senza talento o, peggio, dei ricchi ma stupidissimi gemelli TJ e Chaz) e un po’ di personaggi buffi a incasinare tutto nel mezzo.
La sorpresa, però, è che per una volta la serie è meglio del trailer.
Sarà forse che dei tre-quattro modi principali di fare comicità in tv, quello di Unstable è forse il mio preferito: un gruppo di personaggi ognuno caratterizzato da massimo due elementi portati dall’eccesso, una generale inettitudine alla vita (da non intendersi necessariamente come basso quoziente intellettivo, ma proprio come difficoltà a operare in contesti diversi da quello preferito), e una sceneggiatura fatta di dialoghi rapidi rapidi, in cui le battute e le gag si sussoguano senza soluzione di continuità, in un unico, continuo flusso di minchiate.
Se questo è il genere di comicità prescelto, ci sono pochi attori al mondo precisi come Rob Lowe: un uomo storicamente bello e potenzialmente affascinante, segnato però da una strana forma di candore, di ingenuità, che nei suoi personaggi diventa anche uno stile particolare di comunicazione, un modo tutto suo di costruire l’intonazione delle frasi e il ritmo delle parole, che trasformano quel potenziale fotomodello in uno splendido demente, sempre col sorriso sulle labbra, sempre pronto a vedere il buono in ogni situazione, anche a costo di sembrare psicopatico.
E il figlio, dal canto suo, si rivela tutt’altro che un semplice raccomandato: chiamato a interpretare l’erede timido, allergico ai riflettori, e genericamente più sano di mente e cinico del padre, se ne esce con una specie di versione riveduta e corretta del genitore, a cui assomiglia fisicamente e anche un po’ nello stile recitativo, riuscendo però a trovare una sua strada che gli consenta di essere… una tacca in meno rispetto all’assurdità sbrodolante e logorroica del padre.
Ma in generale è tutta la combriccola a funzionare, perché riesce nel mai troppo scontato obiettivo di farci volere bene a quasi tutti i personaggi.
La nervosa caparbietà di Anna, che deve cercare di gestire le mattate del suo capo e amico, è un sentimento che quasi tutti i secchioni hanno prima o poi provato nei confronti dei compagni più artistoidi (si noti il mio tono da secchione, per l’appunto).
Luna (Rachel Marsh) e Ruby (Emma Ferreira) sono due ricercatrici molto in gamba ma anche assai buffe, che costruiscono con Jackson un triangolo improbabile e molto tenero.
Leslie (il mitico Fred Armisen) è un terapeuta completamente sciroccato che intrattiene con Ellis un’amicizia morbosa e ben oltre qualunque etica professionale.
Si potrebbero fare anche altri esempi, ma il succo è che Unstable riesce a fare, pur senza grandi stravolgimenti rispetto alla tradizione, quello che tutte le comedy provano a portare casa: creare un gruppo di personaggi in cui la comicità nasce in maniera apparentemente spontanea all’interno di un sistema di relazioni che viaggia perennemente sul confine fra puccioso e disfunzionale.
Abituati come siamo, e come internet ci impone, a catalogare tutto quello che vediamo come merda o capolavoro, con poche sfumature in mezzo (ma non eravamo nell’era della non binarietà???), bisogna invece sforzarsi di saper riconoscere i prodotti che, pur senza diventare a tutti i costi dei must-see, consegnano a domicilio otto mezz’ore di frizzante divertimento in compagnia di personaggi adorabili.
Unstable è questa cosa qui, una serie che si presenta con la stuzzicante forma dell’esperimento di casting padre-figlio, e che poi va oltre la semplice curiosità facendoti conoscere un gruppo di personaggi a cui volere bene.
Non c’è molto di più, ma va benissimo così.
Perché seguire Unstable: è una comedy di buon ritmo, dai dialoghi divertenti, e con tanti personaggi simpatici.
Perché mollare Unstable: è quel genere di comicità fra lo stupido e il surreale che può anche non piacere.