History of the World Part II – L’ultima follia di Mel Brooks di Diego Castelli
A quarant’anni di distanza dal primo film, Mel Brooks torna sullo schermo per un’altra, surreale storia dell’umanità
Rimettersi in gioco a 96 anni, quando hai già dimostrato tutto nella vita ma evidentemente hai ancora voglia di raccontare e stupire, dovrebbe essere una fonte d’ispirazione per chiunque, a prescindere dai risultati. Se poi parliamo di Mel Brooks, uno che ha fatto realmente la storia della comicità americana, e che da un ritorno sulle scene avrebbe tutto da perdere, beh, tanto di cappello e massima stima.
Ma d’altronde lui stesso, nel 1981, aveva chiamato la sua parodia della storia mondiale “History of the World Part I”, quindi era comunque in debito con noi della seconda parte.
All’epoca la cosa nacque come una gag interna al film: la sua “Pazza storia del mondo” (questo era il titolo italiano), si chiamava “Parte I”, anche se non c’erano specifici progetti di realizzare una parte 2. Era una citazione sbeffeggiante alla Storia del Mondo di Sir Walter Raleigh, un politico, soldato ed esploratore del Cinquecento inglese che aveva progettato una sua storia del mondo in più volumi, di cui solo il primo vide la luce. Ma la gag stava anche in un trailer finale che annunciava la seconda parte, e in cui si preannunciavano cose pazzarielle, come “Hitler on Ice” o “Jews in Space”, che era una parodia di Star Wars diversi anni prima che Mel Brooks girasse la sua effettiva parodia di Guerre Stellari, ovvero il mitico Balle Spaziali.
Il fatto che History of the World Part II, la serie di Hulu che riprende quel concept e rimette Mel Brooks al comando, inizi proprio con “Hitler on Ice”, è una perfetta chiusura del cerchio, a più di quarant’anni di distanza.
Mel Brooks, come detto, è uno dei grandi vecchi della comicità americana, e alcuni dei suoi film (a partire da Frankenstein Jr.) sono considerati vere pietre miliari del genere parodico. Questo non significa che tutta la sua produzione sia eccezionale, né che non possa contemplare alti e bassi anche all’interno del singolo film.
Anzi, quasi sempre Mel Brooks ha mostrato grande capacità di iniziare al meglio i suoi lungometraggi, e qualche difficoltà in più a tenere desta l’attenzione fino alla fine. Non è un caso che quasi tutti gli spezzoni e i meme tratti da Balle Spaziali, o da Robin Hood Un Uomo in Calzamaglia, appartengano in grandissima parte alla prima, fulminante mezz’ora di pellicola.
Il suo ritorno alla produzione, a distanza di quasi vent’anni dal suo ultimo film da sceneggiatore (The Producers) e di quasi trenta dal suo ultimo film da regista (Dracula Morto e Contento), poneva dunque interessanti questioni sulla tenuta di quel modello di comicità, e sul fatto che quella difficoltà a tenere sempre la barra dritta fino alla fine si sarebbe ripresentata o meno.
Questa nuova History of The World è concepita come quella vecchia, cioè una serie di sketch di durata abbastanza breve, ambientati in vari punti salienti della storia dell’umanità. Alcune storielle sono completamente autoconclusive, altre ritornano nello stesso episodio o negli episodi successivi, così da alternare vari momenti e personaggi, con la possibilità di costruire comunque storie di più ampio respiro.
Accanto a membri fissi del cast (fra cui Ike Barinholtz, Nick Kroll e Pamela Adlon), ci sono poi numerose guest star come Jack Black, Danny DeVito, Taika Waititi.
Mel Brooks funge da produttore e da voce narrante, mentre gli episodi sono scritti da una nutrita schiera di sceneggiatori e sceneggiatrici che, però, hanno cercato di tenere quanto più possibile preservato il lascito del loro nume tutelare.
Una scelta che, senza troppa sorpresa, ha prodotto contemporaneamente genialate totali e complete ciofeche.
È chiaro che, in una serie concepita come una collezione di sketch, magari scritti e interpretati di volta in volta da persone diverse, la forza dello show sia più altalenante rispetto a una qualunque serie costruita come storia unica, sempre con gli stessi personaggi ecc.
Ma nonostante questa consapevolezza, guardare History of The World Part II e cercare di coglierne la qualità complessiva fa un po’ l’effetto di essere sulle montagne russe.
Diciamo che potremmo suddividere gli sketch e le singole battute in tre macro categorie: le gag semplicemente brutte e, di conseguenza, anche mal messe in scena; le buone idee rappresentate in maniera non perfetta (spesso per una gestione discutibile dei tempi, troppo corti o, più spesso, troppo lunghi); e infine le pure genialate che funzionano in tutto e per tutto.
Non saprei fare una percentuale fra le tre, ma certo è che guardare questa serie fa cambiare idea ogni cinque minuti, facendoti passare dalla voglia di bocciarla completamente a quella di portarla in palmo di mano, tutto nel giro di pochi istanti.
Evidentemente, una tale variabilità non può che tradursi in un giudizio complessivo relativamente tiepido, perché siamo abituati a identificare le serie tv di qualità con prodotti che non hanno questi baratri improvvisi e imbarazzanti.
Perché quando si dà spazio a gag che comportano flatulenze, goffi numeri musicali, battute sessuali inutilmente insistite, o sketch che paiono più che altro barzellette di paese, inevitabilmente il voto scende.
Allo stesso tempo, però, sarebbe ingiusto non riconoscere uno sforzo più pregevole su determinate storie, specie nel tentativo di aggiornarle al tempo presente.
Così, una giovane Romanov impegnata in un tutorial di makeup in streaming mentre la famiglia viene massacrata (uno streaming in bianco e nero perché, beh, siamo negli anni Dieci del Novecento), effettivamente funziona.
E funziona lo Shakespeare interpretato da Josh Gad, che scopriamo servirsi di una writers’ room per comporre le sue opere, sempre pronto a prendersi meriti non suoi.
Oppure, ancora, l’improvvisa, adorabile reunion dei protagonisti di Jackass, a partire da un Johnny Knoxville nei panni di un improbabile Rasputin.
Più in generale, la porzione di comicità di Mel Brooks a essersi meglio conservata è quella che contamina i contesti, inserendo oggetti e comportamenti anacronistici in momenti storici a loro alieni, e abbattendo spesso e volentieri la quarta parete, palesando la natura fittizia e attoriale della storia.
Quando poi Danny DeVito, nei panni di papà Romanov, sgancia la battuta sulla crudeltà di Rasputin, dicendo che comunque resta il suo “putin” preferito, capisci che sì, qui in mezzo c’è ancora parte di quella grandezza che Mel Brooks aveva fatto conoscere al mondo, anche nei termini di una ricerca comica che vada a toccare corde ancor più delicate ora che in passato, come genere, etnia, politica, religione.
Per cui insomma, mi sento di conservare un certo affetto per Mel Brooks e i suoi minion, che hanno provato a rimanere fedeli a un certo stile di comicità, sapendo che i tentativi di preservarlo E aggiornarlo avrebbero potuto generare dei mostri.
Il fatto che quei mostri siano stati effettivamente generati – e nemmeno pochi – ci impedisce di piazzare History of The World Part II in una posizione troppo alta della nostra classifica, per la quale sarebbe stato necessario un maggiore lavoro di pulizia e, forse, di autocritica.
Ma già sapete che io sono uno che si intenerisce di fronte alle serie che “almeno ci provano”, e History of The World, capitanata da un 96enne ancora arzillo, evidentemente ci prova. Se riuscite a superare il cringe involontario di alcune scene, può anche andare bene così.
Perché seguire History of The World Part II: è ancora possibile trovarci dentro scampoli genuini della comicità di Mel Brooks.
Perché mollare History of The World Part II: quelle stesse perle di genio sono affiancate da secchi di letame che sporcano il risultato complessivo.