You 4 su Netflix – Dovrei odiarla e invece me la bevo di Diego Castelli
La quarta stagione di You cambia completamente le carte in tavola, senza perdere mordente e senza risolvere strane questioni etiche
In questi giorni mi sono trovato a corto di serie nuove da recensire (a parte cose irrilevanti che ci teniamo da citare solo nel podcast), e quindi mi pare giusto prendermi una paginetta per parlare della (prima metà della) quarta stagione di una serie che da anni mi diverte e insieme mi perplime, soprattutto in riguardo al modo inaspettato in cui è stata accolta dal mondo cultural-mediale complessivo: parliamo di You.
La quarta stagione di You ha debuttato su Netflix pochi giorni fa con i primi cinque episodi (i rimanenti arriveranno a inizio marzo), e ha portato un tale numero di novità nell’architettura della serie, da meritarsi una piccola riflessione, che riprenda anche certe considerazioni stupite che avevamo fatto già ai tempi della prima, che peraltro non era nata su Netflix bensì su Lifetime, un normale canale lineare americano).
Chi bazzica queste pagine o segue il podcast da più tempo ha già incontrato queste considerazioni, quindi cercherò di non dilungarmi, e fallirò.
Il succo è che non ho mai capito come mai nessuno abbia cercato di far chiudere You.
Debuttata a settembre 2018, quando già infiammava il fuoco del MeToo e, più in generale, cominciava ad avvertirsi l’esigenza di una nuova sensibilità e di nuovi paradigmi nei confronti del ruolo delle donne nella società, della loro rappresentazione sui media, delle parole e delle immagini più o meno adatte a raccontare gli abusi e i veri e propri crimini subiti da milioni di donne in tutto il mondo, You arrivava a raccontarci la vita di uno stalker e assassino di donne, che raccontava la sua storia in prima persona e finiva col farci parteggiare per lui.
Wait, what?
Detta così è un po’ brutale, e chi non ha visto la serie potrebbe pensare a un’apologia di reato.
La questione naturalmente è più sfumata, non è che parteggiamo nel senso che la serie ci porta a pensare che le azioni di Joe Goldberg (interpretato dall’ex Gossip Girl Penn Badgley) siano giustificate o addirittura buone.
Allo stesso tempo, la storia è raccontata dal suo esclusivo punto di vista, e la sua voce narrante continua ad autogiustificarsi in un delirio psicotico che sì, è riconoscibile in quanto tale, ma è anche a suo modo fascinoso e figlio di un romanticismo malato d’altri tempi.
Sono poi le stesse dinamiche del thriller che ci portano a sperare continuamente che si salvi, in modo non diverso da come un film su un gruppo di ladri, tendenzialmente, ci porta a sperare che i suddetti sfuggano alla polizia.
Per questo mi sono sempre stupito che, nel mondo iper-sensibile di oggi (e uso volutamente un accrescitivo parzialmente canzonatorio), una serie come You non venisse attaccata da tutte le parti, con l’accusa di traviare le giovani menti e fargli credere che sia figo essere uno stalker assassino.
Un’accusa che avrei comunque contestato sulla base di tutt’altri ragionamenti, ma che invece non c’è proprio stata, lasciandomi con un certo stupore.
Siamo andati avanti così per tre stagioni, con Joe sempre pazzoide (a un certo punto affiancato dalla moglie Love, poi morta alla fine della terza) e nessuna polemica accessoria.
Intanto, la serie continuava a mostrare quelle che, al netto di qualunque considerazione etica, erano le sue migliori armi narrative e televisive: un ritmo incalzante, un certo gusto per l’esagerazione che non finiva mai nel pacchiano, un’attenzione ai cliffhanger di fine episodio che, con maestria generalista applicata al binge watching, obbligavano a premere play sul prossimo episodio appena finito il precedente.
Arrivati alla quarta stagione, ecco un ulteriore rilancio, che cambia diverse premesse, ribalta la prospettiva, e trasforma You in qualcosa di completamente diverso, che naturalmente può piacere o non piacere, ma che rappresenta il risultato di una scelta pienamente consapevole.
Una scelta che, per quanto detto sopra, non posso non pensare legata anche a una specie di fuga dalle possibili sabbie mobili schivate finora, anche se i potenziali problemi etici non solo non sono spariti, ma potenzialmente sono pure aumentati.
Per dirla semplice, in questa stagione Joe passa da predatore a preda.
Dopo essersi spacciato per morto alla fine della terza stagione, Joe si trasferisce a Londra (quarto cambio di setting su quattro stagioni), acquisisce una nuova identità, e si trova invischiato in un mistero misterioso che quasi cambia il genere della serie.
Se il finale della terza stagione ci aveva lasciato un protagonista desideroso di non mollare il suo nuovo, malatissimo amore, bastano pochi minuti della quarta per rendersi conto che quella nuova ossessione è stata in qualche modo accantonata per iniziare una nuova vita come professore di letteratura.
Ma quindi Joe (col nuovo nome di Jonathan) è riuscito a superare i suoi robusti problemi psichiatrici?
In realtà no, perché le vecchie pulsioni esistono ancora e minacciano semplicemente di cambiare oggetto di ossessione (come è sempre stato). Solo che Joe, inaspettatamente, si trova a essere preso di mira da un altro stalker assassino, che lo trasforma nell’oggetto di un’ossessione terza che lascia una scia di sangue sulla quale il protagonista deve indagare, anche e soprattutto per non venire accusato di omicidio e per vedere distrutta la sua copertura.
Ecco dunque che una serie con protagonista un uomo malato capace di uccidere donne innocenti, diventa una serie in cui un tizio “innocente” (con le virgolette) deve combattere contro un misterioso nemico.
Dal punto di vista narrativo e di genere, è come passare da Dahmer a una specie di incrocio fra Dexter e Dieci Piccoli Indiani, con il nostro impegnato ad applicare le sue skills da stalker alla risoluzione di un enigma che lo vede contrapposto a una mandria di ricconi annoiati.
Perché questo è uno dei nuovi e più robusti temi: arrivato in Inghilterra per vestire i panni dello sconosciuto professore, Joe/Jonathan finisce in un giro di ricchi figli di papà fra cui, molto probabilmente, si nasconde un assassino, con il risultato di suonare, alle nostre orecchie come alle sue, come quello intelligente, empatico, colto, razionale, immerso in un ambiente di schiocchi ragazzini mai cresciuti e particolarmente fastidiosi.
Siamo dunque arrivati a un nuovo, sorprendente paradosso.
La serie che sembrava fuggita dalle sue origini, per raccontare una storia potenzialmente meno problematica, ha trasformato il suo protagonista criminale in uno a cui… finisci col volere ancora più bene, perché come fai a non schierarti dalla parte del poveraccio che deve salvarsi dagli stronzi pieni di soldi?
La mia iniziale perplessità, dunque, non è stata risolta: ancora oggi non riesco a spiegarmi come sia possibile che You non venga attaccata da tutte le parti, negli stessi giorni in cui dovrei sentirmi in colpa per giocare a Hogwarts Legacy per colpa delle idee dell’autrice dei libri da cui è tratto, anche se Hogwarts Legacy è, alla prova dei fatti, uno dei videogiochi più inclusivi su cui abbia mai messo mano.
Scusate la parentesi personale, torno subito all’oggetto dell’articolo per rispondere a una domanda un filo importante che finora non ho considerato: ma sta quarta stagione funziona o no?
Beh, devo dire di sì. Il cambio è vistoso, bisogna fare un paio di salti mortali, ma se consideriamo che You ha sempre funzionato per il “come”, prima ancora che per il “cosa”, ci ritroviamo immersi in una storia che sarà pure molto diversa dal passato, ma allo stesso tempo conserva proprio quella capacità di intrattenere di cui dicevamo sopra.
Vedere Joe improvvisamente catapultato nel ruolo di preda garantisce una boccata d’aria fresca a una storia che poteva cominciare a risultare ripetitiva, e il fatto che questo nuovo pezzo di thriller venga raccontato con lo stesso gusto per il ritmo, la suspense e i cliffhanger delle prime stagioni, ci permette di sentirci pienamente dentro You, anche se You nel frattempo è molto cambiata.
In tutto questo, diversi commentatori soprattutto americani hanno già visto la restante parte di stagione, promettendo che gli episodi che devono ancora arrivare sono pure meglio di questi, soprattutto per la capacità di non addormentarsi sul mistero del “chi è stato?” (che anzi viene rivelato già in questa prima parte), riuscendo a rilanciare nuovamente.
Non è mia abitudine riferire di commenti terzi su episodi che io non ho visto, ma visto che parliamo di una serie che ha esplicitamente cercato di rilanciarsi e aggiornarsi, sapere che ci sarà un ulteriore tentativo fra un mese, mi incuriosisce ulteriomente.
Che poi funzioni o no, ce lo diremo a marzo.
PS Vale la pena piazzare qui una nota di colore non così banale: nel suo podcast Podcrushed, Penn Badgley ha dichiarato di voler ridurre, se non eliminare del tutto, le sue scene di sesso e romanticismo troppo spinto, cosa di cui ha parlato anche con Sera Gamble (la showrunner di You) che ha risposto positivamente alla sua richiesta riducendo moltissimo questo tipo di scene nella quarta stagione, rispetto a quanto previsto all’inizio.
Badgley dice di aver trovato sempre piuttosto inquietante questo aspetto di Hollywood, e cita l’importanza data alla fedeltà nel matrimonio con sua moglie come uno dei motivi che l’hanno spinto a fare questa richiesta.
Naturalmente, questa posizione dell’attore è del tutto legittima, al netto delle opinioni diverse che si può avere sull’argomento. Certo, non posso fare a meno di tornare all’inizio del discorso: interpreti una serie con protagonista una pazzo assassino e maniaco che passa pure per fascinoso, ma il problema è limonare sul set con le colleghe.
Non tutto mi torna, ma non sarò certo io ad andare da Penn Badgley a dirgli che deve girare delle scene di sesso. Se ha trovato un accordo con la produzione che lo fa stare sereno senza danneggiare la serie, è una win win.