Dear Edward su Apple TV+ – Qualità e tanta pesantezza di Diego Castelli
Il nuovo drama dal creatore di Parenthood ha la forza produttiva e creativa di tutte le serie Apple, ma è anche una mazzata sulla nuca
A un certo punto, un aereo cade.
Se ti concentri sui passeggeri, se ne fai sopravvivere un po’, e se li fai cadere su un’isola apparentemente deserta ma piena di segreti, ottieni Lost.
Se invece quei passeggeri li ammazzi tutti tranne uno, un ragazzino che perde tutta la famiglia, e ti concentri su quelli che sono rimasti, parenti e amici improvvisamente colpiti dalla tragedia, ottieni Dear Edward, la nuova serie di Apple TV+.
La serie è creata da Jason Katims (già produttore di Friday Night Lights e creatore di Parenthood) a partire dall’omonimo romanzo di Ann Napolitano, che al tempo dell’uscita del suo libro disse di essersi ispirata al vero disastro dell’Afriqiyah Airways Flight 771, che nel 2010 cadde dal cielo uccidendo tutti i passeggeri tranne un bambino di 9 anni.
Napolitano dichiarò che il pensiero di quel bambino rimasto solo la ispirò a scrivere una storia in cui, in qualche modo, potesse trovare la strada per far sì che quel bambino stesse di nuovo bene.
Ovviamente, anche se il titolo potrebbe far pensare diversamente, Edward non è l’unico e solo centro della storia. Certo, il ragazzino interpretato da Colin O’Brien diventa subito un caso nazionale, e la sua è la storia potenzialmente più potente fra tutte quelle raccontate, ma non è la sola.
Dear Edward è una serie che parla di lutto ma anche di sopravvivenza, intesa come sopravvivenza di chi su quell’aereo non c’era e deve fare i conti con un realtà nuova e inaspettata, del tutto non richiesta: la realtà, per l’appunto, di chi è sopravvissuto, senza motivo e senza richiesta, ma solo per casualità, perché a volte il mondo va così.
Fra questi personaggi troviamo Lacey (Taylor Schilling), la zia di Edward che da anni prova ad avere un bambino senza riuscirci, e che ora ne riceve uno fatto e finito in eredità dalla sorella defunta; Dee Dee (Connie Britton) che perde un marito di cui, pian piano, scopre una specie di vita alternativa losangelina; Linda (Amy Forsyth), a cui muore un fidanzato di cui è incinta, senza che nessuno dei rispettivi genitori ancora lo sappia; Adriana (Anna Uzele), che perde la nonna deputata al congresso, dovendo ragionare sulla possibilità di seguire le sue orme ed entrare in politica; Isaac (Stefan Holdbrook), un ghanese venditore di bagni chimici che nello schianto saluta una sorella aspirante attrice che lo lascia con una nipotina da tirare su.
Le loro storie, inframmezzate a flashback che ricostruiscono anche la vita pre-incidente dei personaggi deceduti e in particolare della famiglia di Edward, formano un mosaico segnato dall’ansia del prima e del dopo, un continuo rimpallare fra mondi inevitabilmente diversi se non opposti, tutti segnati dal tentativo, difficile e impegnativo, di tirare a campare.
Ci sono (credo) due modi diversi di approcciare l’esperienza di Dear Edward, per lo meno in relazione ai primi tre episodi.
Da una parte, c’è una qualità poco discutibile delle interpretazioni, della scrittura e della messa in scena, che nel primo episodio ci colpiscono con la forza emotiva dell’incidente, e nei due successivi cominciano a esplorare, lentamente da con determinazione, le conseguenze psicologiche per i personaggi coinvolti.
Il primo episodio, che ci avvicina allo schianto e poi ce lo fa vivere passo passo, lavora espressamente per accumulo, mostrandoci tante storie e ricordi e tensioni familiari, che al momento dell’incidente collassano uno sull’altro in un montaggio molto rapido in cui, nel più classico dei “ho visto la vita passarmi davanti agli occhi”, percepiamo l’enorme quantità di questioni irrisolte che la tabula rasa della Morte lascerà in eredità ai sopravvissuti.
Gli altri due episodi poi, in piena coerenza e con incedere preciso, cominciano a srotolare proprio quella storia, la storia di persone la cui vita diventa soprattutto un tentativo di gestire questioni che possono essere assorbite, gestire, metabolizzate faticosamente, ma forse mai davvero “chiuse”.
E fin qui, tutto bene, tutto coerente con l’idea che da mesi ci stiamo facendo di una Apple TV+ capace di portare sul piccolo schermo serie importanti, di peso, realizzate con cura, preferendo quasi sempre la qualità alla quantità.
Poi però c’è anche un altro tema, sicuramente più soggettivo, ma che si fa fatica a non sollevare.
Questi tre episodi sono pesanti. Raccontano una storia tosta, mettono in campo emozioni oscure, e lo fanno per tre ore a cui si arriva alla fine boccheggiando.
Parte di quella stessa qualità di cui parlavamo a proposito del primo episodio, potrebbe anche essere vista da un’altra angolazione, e quel montaggio forsennato di storie e tensioni diventa anche un urlo prolungato la cui funzione è inondarci il cervello di angoscia.
Il fatto che ci riesca è ovviamente un pregio, missione compiuta, però nel complesso di tre episodi a un certo punto ti verrebbe pure la tentazione di dire “raga, anche meno”.
La mia perplessità non riguarda il fatto che qualunque drama debba diventare dramedy: se vuoi fare un drama e basta, fallo. Al massimo, può rimanermi il dubbio che a un certo punto io non riesca a starti dietro per la troppa ansia che mi metti (e il fatto che io mi beva The Last of Us come se non ci fosse un domani, vi fa capire quanto questo discorso sia comunque scivoloso e personale).
Nel complesso, e per le ragioni fin qui esposte, Dear Edward si merita ulteriore attenzione, ma anche una parziale sospensione del giudizio.
Non ci sono grossi dubbi sul fatto che siamo di fronte all’ennesima serie di Apple Tv+ dotata di ottimi mezzi e professionalità, capace di costruire un’impalcatura narrativa ed emotiva efficace. E non ho dubbi che saprà esplorare in modo profondo le psicologie dei suoi personaggi.
Ma visto che il Villa ci aveva visto (molto più di me) un tentativo di Apple di fare This Is Us, ecco, la mia impressione è che Dear Edward corra il rischio di prenderci a ceffoni, senza però mai riuscire a darci anche una vera carezza. Che arriverà, è chiaro che arriverà, anche rileggendo le parole dell’autrice del romanzo. Spero solo di non arrivarci troppo affaticato.
Perché seguire Dear Edward: una nuova serie “grossa” di Apple TV+, con tutti i crismi del drama scritto e messo in scena come si deve.
Perché mollare Dear Edward: la storia ispira una pesantezza generale che nei primi episodi non è quasi mai bilanciata da niente altro, e la paura è che diventi “troppo” da qui alla fine.