Kaleidoscope – Su Netflix un esperimento riuscito solo a metà di Diego Castelli
Kaleidoscope è una serie i cui episodi possono essere visti in qualunque ordine. Cioè, più o meno…
Sarà che ormai sono un vecchio pelato che le ha viste tutte, o sarà che, volente o nolente, sono un reazionario a cui piacciono le storie ben raccontate, con un capo e una coda, fatto sta che quando una serie o un film vogliono assolutamente vendermi una “formula”, prima ancora di una “storia”, io magari mi incuriosisco, ma non posso che provare anche un po’ di sospetto.
Sì Kaleidoscope, sto parlando con te.
Kaleidoscope è la nuova miniserie di Netflix, creata da Eric Garcia e rilasciata il primo gennaio scorso, che prima ancora di presentare la propria trama si vende con una promessa precisa e molto particolare: gli otto episodi di cui è composta possono essere visti in qualunque ordine.
Uella, attenzione, che cosa ardita, che esperimento mirabile, che coraggio nello schiaffeggiare le nostre stanche meningi il giorno dopo il cenone.
Ma è vero che gli episodi si possono guardare in qualunque ordine?
Ehm… oddio… insomma…
Kaleidoscope, anticipata da una sorta di trailerino tutto grafico che spiega il giochino degli episodi, gira intorno a un super furto da 7 miliardi di dollari che una banda di rapinatori guidata da Giancarlo Esposito (il buon vecchio Gus Fring di Breaking Bad e Better Call Saul) vuole organizzare nei minimi dettagli. La vittima designata è Roger Salas (Rufus Sewell), uno che ha costruito un caveau apparentemente impenetrabile, ma che forse così impenetrabile non è.
Gli episodi, otto in tutto, non hanno un numero, ma sono associati a un colore. Ogni puntata è dedicata a un momento diverso nella storia di questo furto: abbiamo quindi la rapina vera e propria, ma anche la sua preparazione pochi giorni prima, così come il seguito mesi dopo e anche la storia di quanto accaduto vent’anni prima, perché in Kaleidoscope i personaggi (o parte di essi) non sono legati fra loro solo dal furto, ma anche da relazioni problematiche che affondano le radici in un passato lontano (e non dirò altro su questa faccenda).
Nel titolo dell’articolo ho detto che l’esperimento funziona solo per metà, il che significa che comunque una metà che funziona effettivamente c’è.
La divisione della storia in blocchi ben differenziati e legati a diversi momenti storici consente di costruire dei nuclei narrativi sempre connessi all’evento-furto ma relativamente autoconclusivi, godibili di per sé, in cui si cerca di costruire una suspense e un ritmo che prescindano il più possibile dalla visione passata di altri episodi.
Allo stesso tempo, la scrittura si impegna per dare una cornice e una comprensibilità ai singoli blocchi, riuscendo a fornire più volte le stesse informazioni di contesto (i nomi dei personaggi, certe loro dinamiche di base) senza per questo risultare esageratamente ripetitiva.
Soprattutto – anche se questa è una valutazione che faccio a posteriori, perché dopo aver visto la serie in un certo ordine non è semplicissimo immaginare quali sarebbero state le mie reazioni modificando la sequenza – l’impressione è che ci siano degli snodi narrativi che possono funzionare da sorprese e twist se visti in un certo ordine, oppure da preparazione ad altre sorprese se fruiti in un altro.
Come se i vari elementi della serie potessero svolgere una funzione diversa a seconda dell’ordine prescelto, adattandosi quindi in maniera fluida alla percezione dello spettatore.
E fin qui, insomma, tutto bene.
Solo che non tutte le ciambelle riescono col buco o, in questo caso, col buco bello tondo come dovrebbe essere.
Sì perché la domanda che sorge è: ma davvero gli episodi si possono vedere nell’ordine che vogliamo? Davvero davvero?
A mio giudizio, la risposta è al massimo nì.
Per quanto gli autori abbiano cercato di organizzare la narrazione per blocchi, è comunque evidente che esista un prima e un dopo, e ci sono alcuni elementi del dopo che non possono che risultare depotenziati se manca il prima.
Per dirla in altro modo: in linea di principio uno potrebbe seguire la storia in modo lineare, oppure partire dal mezzo e auto-presentarsi quello che viene prima come un flashback esplicativo.
Il problema di questo approccio è che ci sono scene a forte impatto emotivo che, se non sono precedute da almeno un paio di episodi che settino le identità e le relazioni fra i personaggi, perdono completamente di forza.
Allo stesso tempo, gli episodi “precedenti” non hanno al loro interno momenti capaci di costruire quello stesso impatto, anche in termini di pura azione, quindi esiste comunque la percezione che alcuni eventi stiano meglio dopo e altri meglio prima.
In particolare, senza fare troppi spoiler, è abbastanza evidente che gli ultimi due episodi (per come sono presentati sulla piattaforma) debbano stare in fondo, anche se Netflix confonde le carte inserendo come (teorico) settimo episodio il racconto di quello che accade dopo il furto, poi raccontato nell’ottavo.
E se è vero che l’ottavo episodio (quello con il furto vero e proprio) contiene alcuni elementi che ha senso guardare sapendo già cosa accade dopo, è altrettanto vero che il colpo stesso, se visto dopo la rappresentazione delle sue conseguenze, viene comunque asciugato di molta della sua suspense.
Ma se esiste un problema di contenuto, se cioè gli autori sono stati capaci di mettere in pratica la loro idea solo fino a un certo punto, c’è anche un problema esterno, di forma e di presentazione del prodotto, che abbiamo indirettamente accennato poche righe fa.
Di fronte a uno show che prevede questa formula, e che associa gli episodi a un colore piuttosto che a un numero, ci si aspetterebbe non solo la possibilità, ma perfino l’obbligo di vedere gli episodi in un ordine casuale.
Ci si aspetterebbe, insomma, la necessità di scegliere solo sulla base del colore, oppure di essere catapultati in una sequenza random e sempre diversa qualora si decidesse di lasciar fare a Netflix.
Invece, quello che succede è che gli episodi sono comunque messi in un ordine preciso e scelto dalla piattaforma, che non viene cambiato se una persona decide di partire dal primo episodio (chiamiamolo “l’episodio più in alto nell’elenco”) lasciando a Netflix il compito di far partire l’episodio successivo quando si è finito il precedente.
L’impressione, insomma, è che sia stata Netflix per prima a non credere fino in fondo all’esperimento, mettendo al centro della sua comunicazione sulla serie una possibilità che resta però un vezzo non imprescindibile nell’esperienza del prodotto, che la maggior parte della gente, fosse anche solo per pigrizia o “paura di sbagliare”, seguirà nell’ordine consigliato dalla piattaforma.
La cosa buffa, in tutto questo, è che effettivamente Kaleidoscope sarebbe una serie abbastanza godibile, senza clamorosi picchi di qualità ma capace comunque di tenere desta l’attenzione, a patto che si accetti un approccio molto rilassato ai dettagli del furto (così a occhio, ho l’impressione che quasi nessuno degli escamotage ideati dai protagonisti passerebbe un qualunque esame di verosimiglianza, e no, non è una buona impressione).
Il problema, più semplicemente, è che Kaleidoscope sembra promettere mari e monti, ma i suoi monti, alla fin fine, han partorito un topolino.
Perché seguire Kaleidoscope: in quanto serie di genere a tema furti, è un prodotto godibile con buon cast e buon ritmo.
Perché mollare Kaleidoscope: la modalità di fruizione che dovrebbe essere la vera novità dello show, è anche la cosa riuscita meno bene.
AGGIUNTA POSTERIORE
Ebbene amici, se arrivate a questo articolo qualche giorno dopo la sua pubblicazione, è necessario fare una rettifica importante.
Pare infatti ormai assodato che, effettivamente, gli episodi siano proposti in modo diverso a ogni utente (intendo come “ordine predefinito da parte di Netflix”).
Chiaramente, questo fatto cambia un po’ il giudizio, perché se ci diciamo che proporre lo stesso ordine di base è un problema, scoprire che non è così significa che quello specifico problema non esiste.
Quindi faccio mea culpa, anche se poi gli altri problemi rimangono (come il fatto che alcuni episodi stanno palesemente meglio alla fine, per come sono stati costruiti e per come gestiscono le emozioni legate alla storia).
A questo punto uno potrebbe dire: ma come hai fatto a non accorgerti, sciocco ragazzino?
E qui c’è un piccolo inghippo. Io non mi sono accorto perché l’ordine degli episodi che io vedo sul mio account di Netflix è lo stesso ordine che vedo su wikipedia, nonché lo stesso ordine visto da un paio di persone a cui avevo chiesto.
Considerando che se fosse una coincidenza sarebbe davvero clamorosa (sono pur sempre otto episodi, non tre), sospetto che ci siano effettivamente dei pre-set che ritornano (molto) più spesso di altri, soprattutto nei riguardi degli episodi finali, che mi sembrano quasi sempre presentati nell’ordine rosso-rosa-bianco. Credo insomma che non ci sia alla base un algoritmo che propone gli episodi in maniera davvero casuale per tutti, anche se non posso metterci la mano sul fuoco.
Quindi devo ritirare quella specifica critica, anche se probabilmente nel meccanismo c’è comunque qualche escamotage un po’ furbo.
Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare.