2 Gennaio 2023

Serial Moments 559 – Dal 25 al 31 dicembre 2022 di Diego Castelli

Tremende vendette, attori buffi e bilanci di vita

ATTENZIONE! SPOILER WESTERN DI MYTHIC QUEST, TULSA KING, 1923, SLOW HORSES, FLEISHMAN IS IN TROUBLE

5.Mythic Quest 3×09 – Joe o Jo?
Dopo il finale molto carico dello scorso episodio, forse mi aspettavo qualcosa in più da questo. Però mi fregano lo stesso perché io sono sempre grande fan degli attori/attrici che vanno a interpretare versioni imbecilli di se stessi nelle serie, e da ormai un paio di puntate abbiamo Joe Manganiello (ex True Blood) che ci regala inaspettate perle di buffa tenerezza. Ma soprattutto, ho apprezzato la scena in cui Jo, al momento di essere cazziata da David, accende il microfono che dà sulla stanza dove si trova Manganiello, così che la cazziata sembri rivolta a lui (il suo nome, Joe, si pronuncia allo stesso modo). E a questo punto mi chiedo: gli autori hanno cercato apposta un attore famoso che si chiamasse in quel modo, per arrivare a questa scena? Oppure gli è venuta in mente dopo e hanno colto la palla al balzo? Chissà, però bello.

4.Tulsa King 1×07 – Cambio della guardia
Sapevamo che questo momento sarebbe arrivato, ma non sapevamo quando e come. Proprio nel momento in cui al boss Pete Invernizzi, vecchio amico del protagonista Dwight e suo strenuo difensore, viene comunicato che la sua salute migliora, il figlio (che invece di Dwight è nemico) pensa bene di ucciderlo e prendere il suo posto a capo della famiglia. A tre puntate dalla fine della prima stagione, questo cambio di potere non può che significare cazzi amari per Dwight. O forse, più giusto, cazzi amari per chi deciderà di dargli contro.

3.1923 1×02 – Le verità della vita
In questi giorni sto seguendo 1923 e sto anche facendo il recuperone di Yellowstone (mentre scrivo queste righe sono all’inizio della seconda stagione).
Da una parte è un po’ straniante, dall’altra però si creano dei parallelismi inaspettati ma utili a comprendere la poetica di Taylor Sheridan in modo più completo. Per esempio, io sto guardando Kevin Costner che, fra un tumore al colon e un’ulcera perforata, cerca disperatamente di non perdere il suo ranch, e poi guardo un episodio di 1923 (uscito anni dopo per raccontare qualcosa accaduta decenni prima) in cui Harrison Ford, che di Kevin Costner interpreta il bis-zio, spiega al nipote che la minaccia più grossa per il ranch non saranno mai gli animali e la natura, ma gli altri uomini, perché gli uomini preferiscono sempre portare via le cose degli altri, piuttosto che costruirsele per sé.
Insomma, tutto torna. Ma soprattutto, che vita di merda che conducono i Dutton.

2.Slow Horses 2×06 – Son proprio ronzini
Secondo finale di stagione, con altre due in arrivo, e un sacco di elementi che confermano la differenza di questa spy story rispetto ad altri prodotti più hollywoodiani. Nei personaggi di Slow Horses c’è competenza, certo, ma anche un livello di grossolanità e gigioneria che li umanizza in modo irresistibile. Così ecco Lamb che riesce a fregare per l’ultima volta Katinsky, senza mai smettere di sembrare un cialtrone cinico e molesto (e che dire del suo discorso di fronte alla tomba di Harper, in cui si limita a dire “A Min Harper”, lasciando però poi un bigliettino in qualche modo tenero?). Oppure Louisa, che cammina pericolosamente sul confine fra buona azione spionistica e pura e semplice vendetta. Ma soprattutto Cartwright, che nella scorsa puntata sembrava essersi definitivamente redento mostrando le sue abilità di agente, salvo poi scoprire, nel finale, che era stato abilmente gabbato dai nemici, che gli avevano fatto credere a un attentato rivelatosi falso. Nella frustrazione del buon River, così ambizioso e volonteroso (e pure simpatico) ma sempre un passo indietro rispetto alla grandezza, c’è tutta la forza di una serie che fa vanto di essere quanto più lontano da James Bond ci possa essere nel mondo delle spie inglesi.
Adorabile.

1.Fleishman is in Trouble 1×08 – Consapevolezze
Il finale di Fleishman is in Trouble mi ha inizialmente lasciato interdetto, perché palesemente non voleva dare seguito diretto al “caso” di Rachel, di cui Toby, a specifica richiesta, ha dichiarato di non volersi occupare. Scelta ardita considerando le rivelazioni dell’episodio precedente, ma che acquista una sua specifica coerenza quando ci rendiamo conto che, effettivamente, la vera protagonista della serie è sempre stata Libby, la voce narrante che, lo scopriamo in questa puntata, ha scritto un libro sulla vicenda di Toby. Un libro che, a conti fatti, è la serie che noi abbiamo appena visto.
Attraverso la vicenda di Toby, Libby è stata costretta a fare un bilancio della sua vita, e il suo bilancio conta per noi più di quello di Toby: lui ha subito il trauma dell’abbandono e del divorzio, una condizione comune ma forse non comune come quella di Libby, che si è trovata improvvisamente infelice e insoddisfatta in una situazione che, socialmente parlando, è ancora considerata una più che legittima versione di felicità per una donna. Per gli spettatori di ogni latitudine, insomma, è più facile capire Libby che Toby.
È nella necessità, per Libby, di fare i conti con la cruda realtà del tempo che passa e del peso delle scelte fatte e non fatte, che Fleishman is in Trouble trova la sua reale dimensione di autoanalisi, non per dare risposte facili ma, per lo meno, per trovare le domande giuste.
Poi certo, alla fine Rachel si ripresenta davvero alla porta di Toby, ma a quel punto partirebbe un’altra serie, che a conti fatti non ci serve vedere.



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