1899 – Netflix: nuovi pregi, stessi difetti di Dark di Marco Villa
1899 avrebbe meritato una recensione per episodio, non perché si tratti della serie perfetta, ma perché è innegabilmente affascinante
La verità è che questa recensione sarebbe dovuta uscire tanto tempo fa, in occasione dell’uscita di 1899. Altrettanto vero è che, se fosse stata una serie a uscita settimanale, probabilmente l’avremmo commentata e stracommentata episodio per episodio. Non è andata così e arriviamo a parlarne tardissimo. E non è un caso, perché se fosse stato innamoramento folle, ne avremmo parlato parecchio. Allo stesso tempo, 1899 è tutto tranne che una serie ignorabile o prescindibile. Per nulla perfetta, ma estremamente affascinante.
Terminata la visione di 1899, ripensando ai sei episodi, vengono in mente alcuni punti molto chiari. La costruzione affascinante del primo episodio, con il microcosmo del transatlantico Kerberos che viene introdotto, raccontato e approfondito. I vari personaggi, il sintomatico mistero di alcuni, anche l’antipatia di altri. Il punto successivo è il ritrovamento del Prometheus, la nave gemella completamente deserta, fatta eccezione per un bambino. Continuiamo: la scoperta dei passaggi interni alle cabine e la comparsa controller dall’estetica steampunk che maneggiano un paio di personaggi.
Momenti che portano a una stratificazione della conoscenza di quello che stiamo guardando. Se dovessimo immaginarla graficamente, sarebbe una linea retta che sale. A un certo punto, però, quella ascesa finisce, si arriva a un punto da cui comincia una discesa verso lo svelamento, verso la spiegazione: quel momento arriva all’inizio del quarto episodio, quando la nave inizia a mostrarsi come una sorta di essere vivente, con le protuberanze nere che fuoriescono da pareti e soffitti.
Da lì e per tutti gli ultimi tre episodi, la scrittura di 1899 non funziona più per accumulo di suggestioni, ma per elementi chiarificatori, che possono essere riassunti nelle figure del padre e di quello che si scopre essere il marito di Maura, che è sulla nave fin dai primi episodi. Sono loro gli unici a dare risposte (rispettivamente) agli spettatori e ai personaggi, entrambi con spiegoni più o meno approfonditi, ma espliciti, facendo saltare il meccanismo del mistero misteriosissimo mantenuto fin lì.
E qui arriva il problema di fondo di 1899: se la fase di costruzione (la retta che sale) è ben congegnata e – al netto di una lentezza che può non piacere – è caratterizzata da molti momenti di interesse, la fase di svelamento paga il prezzo di una soluzione che è già troppo sentita. I personaggi vivono all’interno di una simulazione, che è un tema sempre affascinante e stra-interessante, ma molto codificato nel nostro immaginario fin dai tempi di Matrix. Un tema affrontano in modo dritto, piatto, senza – per dire – le sofisticatezze intellettuali di una DEVS, che finiva per ragionare sugli stessi elementi in modo molto più teorico e originale.
Un po’ come per Dark, la sensazione è che gli autori siano abilissimi nel creare un mondo di riferimento estremamente affascinante e ricco, perché è stato bellissimo perdersi tra i corridoi del Kerberos e scoprire i vari personaggi nella loro varietà linguistica. Però alla resa dei conti qualcosa è mancato: così come la terza stagione di Dark era lontanissima dai livelli della prima, allo stesso modo il finale di 1899 è lontano dal punto di partenza. E questo nonostante la scena finale sia invece un rilancio interessante verso una seconda stagione che appare obbligatoria (dati Netflix permettendo) e che in un certo senso riallaccia il discorso con la dimensione temporale della stessa Dark.
A voler continuare con il parallelo, Baran bo Odar e Jantje Friese hanno fatto un salto: Dark era la serie nata tedesca e diventata (letteralmente) universale, forse anche per il successo ottenuto in corsa. 1899 è invece universale di nascita, con la sua capacità di piazzare una line-up di personaggi di ogni etnia e provenienza, giustificandola inizialmente con il sogno americano da raggiungere attraverso l’Atlantico e giustificandola nel finale come membri di una missione intergalattica. A patto che non si tratti di una ulteriore simulazione, in un gioco di scatole cinesi.
1899 è una serie che conferma i pregi di Dark e ne aggiunge di propri, ma ne conferma anche i punti deboli, che coincidono rispettivamente con la costruzione e la risoluzione. Una seconda stagione è piuttosto necessaria.