Andor – Ma alla fine è o non è Star Wars? di Diego Castelli
Un commento finale su una serie diversa, sperimentale, buonissima e, per certi versi, pure fallimentare
ATTENZIONE! SPOILER SU TUTTA LA PRIMA STAGIONE
Mi sembrava doveroso spendere qualche parola finale su Andor, che in parte ne celebrasse alcuni risultati innegabili, e insieme riassumesse certi discorsi, quesiti e perfino polemiche che la sua strana natura ha fatto ribollire per tutto il web.
La serie prequel di Rogue One (che era a sua volta un prequel della trilogia originale), disponibile su Disney+ e incentrata sulla figura di Cassian Andor, interpretato da Diego Luna, ha infatti provato a espandere il mondo, lo stile e il tono della buona e vecchia Guerre Stellari, scoprendo territori finora inesplorati e suscitando reazioni anche molto diversificate, fino al paradosso: per alcuni Andor è il passo successivo di Star Wars, mentre per altri ne rappresenta un totale tradimento.
Non credo ci serva fare chissà quale riassunto: se siete qui do per scontato che abbiate visto la prima stagione dall’inizio alla fine.
Andiamo quindi al sodo della faccenda.
Andor è un’ottima serie, senza se e senza ma. Non nel senso che debba per forza piacere a tutti, e anzi sono in molti ad essersi lamentati di una certa lentezza (soprattutto nella parte centrale) e anche di un livello di dramma spesso ai limiti della depressione.
Più banalmente, Andor è un prodotto che sa quello che vuole raccontare, sa come vuole raccontarlo, è ben conscio della differenza che vuole instaurare, scientemente e programmaticamente, con il mondo di cui fa parte, e usa tutti gli strumenti che ha, in modo coerente e preciso, per ottenere quel risultato.
Che si tratti della sua scrittura metodica e ragionata, del lavoro fatto per trasformare in modo coerente e motivato un eroe riluttante come Cassian in un soldato della Ribellione, della cura messa in ogni dettaglio del comparto scenografico e costumistico (ci torniamo fra poco), Andor non dà mai l’impressione di procedere a caso, ma anzi porta avanti un discorso di genere (e a volte di metagenere) perfettamente lucido e consapevole, in cui tutti i pezzi del puzzle concorrono a un’immagine complessiva su cui gli autori conservano sempre presa saldissima.
Il fatto di lavorare e giocare con i generi non è pratica nuova nel mondo di Star Wars, a partire dalla passione di George Lucas per i modelli narrativi e le regole di costruzione di una buona storia.
Se la trilogia originale era la trasposizione fantascientifica del fantasy medievale e del poema cavalleresco, così, per esempio, The Mandalorian è una serie largamente western.
Allo stesso modo, anche Andor ha scelto dei generi suoi, mutuati parzialmente dallo stesso Rogue One, ma in ogni caso poco battuti finora dalla saga: abbiamo visto la spy story, l’heist movie, perfino il film carcerario.
Tutti generi esplorati con precisione e, di nuovo, consapevolezza, e tutti uniti per dare alla serie un’identità che fosse in qualche modo spiazzante.
Perché Andor, in effetti, spiazzante lo è.
Amata fin da subito dai critici e da una fetta agguerrita di pubblico, ma anche snobbata e rifiutata da una fetta ancora più ampia (di fatto è la serie Disney+ a marchio Star Wars che ha fatto registrare le visualizzazioni più basse), Andor è sembrata cercare il favore di chi non stava apprezzando le ultime incarnazioni della saga, e anche di chi cercava una ventata di freschezza, un’aria nuova che si smarcasse dai soliti cliché.
Da questo punto di vista, non c’è dubbio che Andor sia qualcosa di diverso dalla solita Star Wars, talmente diverso da introdurre il tema del tradimento.
Fin dagli esordi, Star Wars è stata soprattutto una favolona, con un target di riferimento molto giovane, al quale venivano offerte dinamiche sostanzialmente manichee: pur in presenza di qualche sfumatura, i buoni erano i buoni, i cattivi erano i cattivi, e tutto era tenuto insieme da un alone magico che dava grande importanza all’avventura, all’azione, all’epica, lasciando fuori la “realtà”, intesa come quelle sfumature di grigio di cui il nostro mondo è composto, ma che poco servono a una fiaba nello spazio.
Non era un caso che i primi film si aprissero con la dicitura “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana”: bastava quello per capire in che genere e in che tono ci trovassimo.
Andor, con mossa dichiarata e palese (si capiva in parte già dal trailer) rifugge la semplicità fiabesca e ci butta nel fango della realtà.
Il suo racconto della Ribellione e dell’Impero, più che a una favola, sembra davvero ispirarsi ai fascismi del Novecento, in cui la violenza non è edulcorata, i meccanismi burocratici degli stati autoritari non sono nascosti per paura di annoiare, e anche ai buoni viene chiesto di sporcarsi le mani, di prendere decisioni realmente difficili (come quella di compiere azioni che, nel breve periodo, renderanno l’Impero più spietato, preparandolo però alla sua fine).
Insomma, Andor è drammatica. Ma drammatica sul serio, in un modo che in Star Wars non avevamo mai visto.
Ed è qui, in una diversità di approccio alla narrazione, di tono del racconto (mai visto un prodotto a marchio Star Wars così privo di ironia), che Andor può essere descritta come qualcosa che non è Star Wars.
Proprio un paio di giorni fa ho letto da qualche parte un commento social di un fan deluso che, pur riconoscendo ad Andor una precisione maggiore, per esempio, a quella gran delusione di Obi Wan Kenobi, lamentava la mancanza di praticamente tutto quello che, nel corso degli anni, l’aveva fatto appassionare a Star Wars: l’avventura, l’ironia, l’epica magica dei jedi, le battaglie spaziali qui ridotte al lumicino, la creatività nel rappresentare decine di mondi fantastici e razze incredibili.
E aveva ragione, tutto questo in Andor non c’è, e quindi ha perfettamente senso di che non è Star Wars.
E però… però la cosa non è nemmeno così semplice.
Perché se è vero che Andor sembra allontanarsi da Star Wars, allo stesso tempo quell’apparente allontanamento non è altro che il tentativo di… capire meglio Star Wars.
È lo stesso punto di partenza di Rogue One, un film che si basava sulla necessità di trovare una spiegazione logica a un palese buco di trama della trilogia originale, che voleva trovare un unico, terribile e per certi versi comodissimo punto debole in un una enorme e potentissima macchina da guerra (la Morte Nera).
Prendere la decisione di riparare quel torto, trovando una quadra più logica e adulta alle leggerezze di una sceneggiatura per ragazzi scritta negli anni Settanta, era già il simbolo di un modo diverso di vivere la passione per Guerre Stellari.
Andor trasuda letteralmente amore per la saga, per il semplice motivo che vuole capirla, giustificarla, renderla reale in ogni suo aspetto.
C’è un lavoro sui costumi e sulle scenografie di questa serie che è semplicemente pazzesco, per il modo in cui si vuole rendere tutto il mondo della storia vero, concreto, reale. Sembra quasi di sentire l’odore dell’olio dei macchinari, o la grana dei vestiti cenciosi indossati da protagonisti obbligati a nascondersi nei boschi o a sopravvivere in prigioni pericolosissime.
La descrizione dettagliata, a volte perfino complicata, dei meccanismi di gestione dell’Impero, della burocrazia asfissiante, delle catene di comando, delle decisioni e controdecisioni che lentamente, anche per opera dei ribelli, spingono un carrozzone malvagio ma tutto sommato ancora morbido verso un mostro violento e spietato che arriverà a distruggere un intero pianeta (di nuovo, la necessità di giustificare…), rendono Star Wars, proprio la Star Wars che conosciamo, sempre più vera, sempre più plausibile, digeribile anche dalla nostra mente di adulti.
Gli episodi che ho più apprezzato, probabilmente, sono quelli carcerari, dove l’alleanza fra Andor e uno straordinario Andy Serkis, interprete di Kino Loy, hanno regalato molti minuti di perfetta tensione, di odio feroce per l’Impero, di senso di liberazione e di entusiasmo al momento di una fuga che lascia su Cassian (che non riuscirà a salutare la madre prima della sua morte) le cicatrici che faranno di lui un ribelle vero.
Ma è anche qui, giusto perché il discorso sulla vera o mancata “starwarsità” della serie non si esaurisce in poche righe, che i dolori e le fatiche patite da Cassian lo allontanano dalla Star Wars che conosciamo.
Se Andor incontrasse Han Solo, che poi sarà uno dei grandi eroi della ribellione, come lo giudicherebbe? Sono entrambi ribelli tardivi, arrivati alla lotta partigiana dopo un processo decisionale diverso, per esempio, da quello di Luke Skywalker, ma sono due simboli di un modo radicalmente diverso di intendere la stessa storia.
Sono due personaggi che, questo credo si possa dire, non potrebbero far parte dello stesso film o della stessa serie, perché uno dei due inevitabilmente stonerebbe.
Non ho, e nemmeno voglio avere, una posizione realmente definitiva sulla questione.
Non posso negare di aver sentito la distanza di Andor da Star Wars per come l’ho sempre concepita. Allo stesso tempo, però, ho seguito la serie con attenzione e desiderio, non solo perché mi interessava la storia, ma anche e forse soprattutto perché stavo guardando sotto una luce nuova qualcosa che credevo di conoscere bene.
Credo di essere grato per l’esistenza di Andor, ma nemmeno vorrei che ora tutta Star Wars diventasse così. Continuo ad amare The Mandalorian, e vorrei che i prossimi film fossero più simili alla vecchia trilogia che a questa nuova versione.
Senza contare che vorrei che a un certo punto qualcuno si concentrasse sui jedi, perché tutte ste serie su gente che non usa la Forza le trovo almeno parzialmente sprecate (e poi l’unica volta che si parla di jedi esce Obi Wan Kenobi… aiuto).
Credo comunque che la forza di Andor sia stata proprio questa: ci ha fatto uscire dalla comfort zone, un posto caldo e morbido in cui però sono stati partoriti anche alcuni mostri.
Non è detto che Andor debba diventare il modello di una nuova Star Wars, ma non è nemmeno detto che la sperimentazione che ha portato sullo schermo non possa aiutare anche la vecchia Guerre Stellari, quella che ci piace tanto, a migliorare e rinnovarsi senza tradirsi.
Se anche Andor avesse un solo pregio, sarebbe quello di aver reso chiaro che no, Star Wars non è morta, e può avere ancora tanto da dire.
E non è un pregio da poco.