13 Ottobre 2022

A Friend of the Family – Una (incredibile) storia vera di Diego Castelli

A Friend of The Family è una serie che merita di essere vista anche solo perché la vicenda pare più inventata di quelle inventate

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Ci sono molti motivi per cui una serie ci può piacere o anche solo incuriosire. Le possibilità sono molteplici e il loro giudizio è in larga parte soggettivo, ma tutti sappiamo la differenza che può fare il carisma di un interprete, la creatività di una regia, la simpatia o intelligenza dei dialoghi, e via dicendo.
E poi naturalmente ci sono le storie: una buona storia, una storia originale, non è necessariamente fondamentale, perché di film d’azione e serie procedural con storie tutte simili ma di grande successo è pieno il mondo. Se però una storia forte, strana, imprevista ce l’hai, beh, sei già un passo avanti.
E quindi oggi parliamo di A Friend of The Family.

Non ancora disponibile in Italia (è prodotta da Peacock e arriverà su NOW e Sky a novembre), A Friend of the Family è creata da Nick Antosca a partire da una storia realmente accaduta già raccontata in un documentario del 2017, Abducted in Plain Sight.
E quella storia, detta nel modo più semplice possibile, è la seguente: negli anni Settanta, la dodicenne Jan Broberg viene rapita. Due anni dopo, viene rapita di nuovo. Dallo stesso uomo. Che era un vicino di casa. Che aveva fatto sesso con entrambi i genitori di Jan.

Vi confesso che già scrivere queste righe mi ha fatto temere di stare facendo grossi spoiler, però quando si parla di storie vere c’è poco da spoilerare, perché il succo è quello, ed è il motivo per cui la serie è stata prodotta. Eviterò di aggiungere altri dettagli, ma voi capite che già solo il concetto di una ragazza che viene rapita più volte dalla stessa persona fa alzare un sopracciglio, fa partire il what the fuck, e fa venire voglia di saperne di più.

La serie si chiama “Un amico di famiglia” proprio perché di questo si tratta: la famiglia Broberg, composta da papà Bob (Colin Hanks), mamma Mary Ann (Anna Paquin) e tre figlie, conosce la famiglia di Robert (Jake Lacy) e diventano subito tutti amici.
Siamo negli anni Settanta in una comunità molto religiosa, in cui tutti si conoscono e tutti si fidano dei propri simili, e questo è uno dei temi centrali di tutta la vicenda.

Al momento ho visto tre episodi (altri non ne erano usciti) e quindi non ho ancora seguito l’intera storia, sui cui sviluppi a questo punto sto rimanendo volutamente all’oscuro proprio per godermi i prossimi episodi.
Già da ora, però, è possibile rendersi conto di come uno degli elementi più intriganti, e che permettono il formarsi dei risvolti più assurdi della vicenda, sia proprio la distorsione della realtà prodotta dalla consapevolezza di vivere in un certo tipo di ambiente.

La famiglia Broberg si sente così al sicuro all’interno della propria comunità, del sistema di regole che si è auto-imposta, della fiducia reciproca che i vicini di casa appartenenti alla stessa comunità si accordano l’un l’altro, da fare molta fatica a concepire la possibilità che il Male possa comparire anche nel loro nido, visto che loro hanno la costante certezza che il Male stia fuori.

Questo non significa, naturalmente, che non si preoccupino di una figlia che sparisce, ma in questi primi episodi, oltre alla vicenda del rapimento in sé, a essere interessante (e disturbante) è proprio il rapporto morboso che si viene a creare con la figura di Robert, ottimamente interpretato da Jake Lacy (nominato agli scorsi Emmy per The White Lotus) per diventare una scheggia di caos imprevedibile che non può che devastare l’ordine ingenuo in cui miti coniugi Broberg pretendono di vivere.

Per certi versi, non c’è altro da dire.
Cioè, A Friend of The Family non è una serie che spicchi perché ci propone uno stile visivo, un ritmo o delle trovate di messa in scena che non abbiamo mai visto prima.
O meglio, potremmo effettivamente parlare di più del suo cast (vale la pena dire, a mo’ di fun fact, che la vera Jan, la ragazzina rapita, è poi diventata un’attrice, ed era l’infermiera Louise in Everwood, tanto per dirne una), ed è giusto sottolineare come anche il ritmo di tutta la vicenda, più compassato di un normale thriller, serva proprio a dare l’idea di una follia che si costruisce piano piano, strato dopo strato, quasi senza farsi vedere.

A conti fatti, però, quello che conta è la storia. E per quanto io non voglia darvi altri dettagli, è bene sapere ci sono specifiche sfumature di questa vicenda che paiono così assurde, da far pensare che si tratti di invenzioni degli sceneggiatori di Boris.
Invece no, è una storia vera, e la sua stranezza è il primo motivo per guardarla, ma in fondo pure un motivo sufficiente, perché quando vieni a sapere che una cosa così è successa, vuoi sapere perché e per come, vuoi rimanere a bocca aperta di fronte a certi risvolti, e A Friend of The Family offre esattamente quello.

Ma guarda un po’ che recensione corta, mi sento un po’ il Villa in questo momento.
Se poi i prossimi episodi dovessero offrire qualcosa in più che valga la pena evidenziare, ci risentiamo.

Perché seguire A Friend of the Family: il fatto che sia contemporaneamente una storia così assurda e pure una storia vera, è già abbastanza per volerne sapere di più.
Perché mollare A Friend of The Family: al di là della vicenda così particolare, in termini puramente realizzativi è una serie normale, che fa il suo compitino senza ulteriori guizzi.



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