Reboot – Hulu: l’incrocio impossibile tra Episodes e Boris di Marco Villa
Reboot è un dietro le quinte intelligente e divertente su quel fenomeno diffusissimo chiamato – appunto – reboot
La nuova comedy che ci sta piacendo un bel po’ si chiama Reboot, negli Stati Uniti va su Hulu e speriamo ardentemente che possa arrivare anche da noi su Disney+. Se seguite i nostri podcast (Salta Intro e Salta Intro+) ne abbiamo già parlato con una certa soddisfazione, perché Reboot è prima di tutto una serie intelligente, consapevole di ciò che la circonda, del mondo in cui è inserita e pure di se stessa.
Reboot parla del dietro le quinte di una serie televisiva. Non una serie normale, però: si tratta di Step Right Up, comedy (immaginaria) di grande successo, rimessa in onda per seguire la tendenza degli ultimi anni di volersi affidare a titoli e franchise che possano basarsi su una fanbase più o meno nutrita, ma comunque esistente. Step Right Up era una sitcom vecchio stile di enorme successo, chiusa dopo l’abbandono di uno degli interpreti principali (Reed, interpretato da Keegan-Michael Kay), che molla tutto per concentrarsi sulla propria carriera cinematografica.
Che non decollerà mai, come spesso accade in questi casi. Gli altri due protagonisti erano Bree (Judy Greer) che si sposa con un nobile scandinavo e diventa un’improbabile moglie trofeo e Clay (Johnny Knoxville), che invece occupa la casella “celebrità da rehab”. In aggiunta, c’è Cody: era il ragazzino della serie, ora è un adulto che continua a ragionare da adolescente e ha una madre che non lo molla di un centimetro.
Vent’anni dopo la chiusura, una giovane sceneggiatrice piuttosto woke (Hannah, interpretata da Rachel Bloom) convince i dirigenti di Hulu a produrla di nuovo, dando vita al reboot che dà il titolo alla serie. Per realizzarla, vengono richiamati gli attori della serie originale, ma non solo loro: per questioni di diritti, viene coinvolto anche il creatore della serie originale (Paul Reiser), che incidentalmente è il padre della nuova showrunner Hannah (piccolo spoiler).
Le dinamiche sono tante, ma tutte sono guidate da un elemento: sono passati vent’anni e quei vent’anni si vedono sui visi e nei corpi dei protagonisti, ma anche nel modo in cui il mondo è cambiato intorno a loro. Nel dettaglio, il mondo della televisione e dello spettacolo in senso lato: si diceva di Hannah come prototipo dell’autrice woke, ma è solo uno dei fattori in campo, insieme a figure dirigenziali della (finta) Hulu che vengono presentati come slegati dal contesto in cui operano. Per dire, la produttrice che segue Step Right Up (Krista Marie Yu) non si è mai occupata di comedy, ma si ritrova lì per storie di acquisizioni aziendali e riposizionamenti del personale.
Il conflitto più forte, che a cascata fa nascere gli altri, è quello tra Hannah e suo padre: lei ha voluto realizzare il reboot della serie perché da sempre è convinta che suo padre l’abbia scritta per autoassolversi dopo averla abbandonata. Il confronto tra i due è quindi uno scontro generazionale che parte dal modo di intendere il concetto di comedy, ma si estende al rapporto padre-figlia nel senso più profondo del termine.
Da questo confronto discendono poi tutti gli altri scontri tra i personaggi, sempre animati da una tensione tra come era prima e come è adesso, che si tratti di rapporto con se stessi o con ciò che c’è intorno. Se vi sembrano descrizioni vaghe è perché Reboot riesce ad affrontare questi temi sempre di striscio, facendoli calare negli episodi, senza mai imporli dall’alto come se avesse una tesi da dimostrare. E soprattutto facendo ridere, perché Reboot è davvero divertente, con battute e situazioni che funzionano con intelligenza. A volerla farla facile è l’incontro impossibile tra Episodes e Boris. Mica poco, insomma.
Perché guardare Reboot: perché è intelligente e sa far ridere
Perché mollare Reboot: perché ha un gusto meta che può essere un chissenefrega per tanti