She-Hulk su Disney+ – Fra comedy leggera e polemiche faticose di Diego Castelli
La nuova serie Marvel vuole essere buffa e simpatica, ci riesce pure, ma ovviamente nel 2022 non ci possiamo godere una commedia e basta
Ha debuttato pochi giorni fa She-Hulk, ennesima serie targata Marvel-Disney, che questa volta si concentra sulla cugina di Hulk, il ben noto gigante verde di cui rappresenta la versione femminile, creata nel 1980 da Stan Lee e John Buscema.
Quando dico “ennesima serie” non lo dico con cattiveria, non c’è giudizio, ma solo la semplice constatazione del fatto che stiamo effettivamente perdendo i conti nella costruzione di un Marvel Cinematic Universe che, fra alti e bassi, prove ed errori, continua a espandersi sempre di più.
In questo caso, a finire sotto i riflettori è un nome molto famoso dei fumetti, che qui viene interpretato da Tatiana Maslany (mitica protagonista di Orphan Black), chiamata a lavorare su una versione del personaggio che deve molto al lavoro di John Byrne, che più di altri contribuì a dare notorietà a Jennifer Walters (questo il vero nome dell’eroina), e di cui si vede subito la firma più famosa: il fatto che Jennifer è in qualche modo conscia di essere un personaggio immaginario, e parla direttamente con i lettori / telespettatori.
Ma com’è che questa tizia, cugina di Bruce Banner, diventa pure lei una “Hulk”?
La spiegazione, concettualmente simile fra fumetto e serie tv, è tanto semplice quanto stiracchiata, così come potevano essere stiracchiate (lo dico con affetto) le premesse per creare nuovi personaggi quaranta, cinquanta o sessant’anni fa.
In questo caso, durante un incidente, un po’ del sangue di Bruce Banner si mescola con quello della cugina, che possedendo le stesse specifiche caratteristiche genetiche del famoso scienziato, finisce con l’ereditarne la medesima mutazione.
C’è un differenza sostanziale, però: al contrario di Bruce, la cui personalità era inizialmente sdoppiata fra quella del timido scienziato e quella del pericoloso gigante verde (tanto da avere bisogno di una decina abbondante di anni per sancire la pace fra le due e potersi godere insieme forza e intelligenza), Jennifer mantiene fin da subito la sua identità anche durante le trasformazioni, che riesce a controllare molto meglio del cugino, nonostante i due condividano il problema di potersi trasformare inavvertitamente in un momento di rabbia.
Durante il pilot, occupato per buona parte dalle prime analisi e dagli insegnamenti impartiti da Bruce alla cugina, vengono poi delineate le altre caratteristiche fondanti del personaggio, che segnano perfino il genere a cui la serie appartiene: malgrado Bruce lo desse per scontato, Jennifer non ha alcuna intenzione di fare la supereroina di professione, vuole anzi mantenere il suo lavoro di avvocato e continuare ad aiutare le persone in quel mondo, anche se, naturalmente, noi sappiamo bene che la trama le metterà di fronte numerose occasioni per ricorrere alla forza.
La serie, creata da Jessica Gao e dal nome completo di She-Hulk: Attorney at Law (con riferimento esplicito al mestiere della protagonista), non si presenta dunque come una serie supereroistica tout court, ma (anche) come un legal dalle chiare tinte comedy.
Durante il pilot non si contano le gag più o meno buffe fra Jennifer e Bruce, raccontati come due parenti che mostrano presto una diversa visione del mondo, ma fra i quali scorre comunque un affetto e una complicità familiari tali da garantire la possibilità di imparare l’uno dall’altra.
Per quanto mi riguarda, è un episodio fresco a divertente, fortunatamente assai ripulito, in termini tecnici, rispetto a certi trailer girati alcune settimane fa: non so bene cosa ci sia dietro il rilascio di promo online palesemente imperfetti e ancora acerbi, ma possiamo serenamente dire che gli effetti speciali pupazzosi e francamente imbarazzanti di quelle prime immagini sono stati sostituiti da una computer grafica più rigorosa, più attenta ai dettagli della luce e della solidità dei corpi, magari sempre un po’ troppo colorata per essere realistica, ma comunque pregevole soprattutto per un prodotto non espressamente cinematografico (vi invito a questo riguardo a guardare l’espressività degli sguardi dei due protagonisti, uno dei classici punti deboli della CGI, che qui se la cava molto bene nella maggior parte delle occasioni).
In attesa di vedere come proseguirà la serie, potremmo anche chiudere qui. Un approccio scanzonato, un personaggio nuovo e ben interpretato da un’attrice sempre bravissima e dotata di un enorme range di possibilità espressive, qualche risata facile ma comunque gradevole, la curiosità di vedere come si salderanno insieme le varie, differenti anime dello show.
Andiamo in pace quindi?
Ma va, siamo nel 2022 e la pace non è un concetto adatto a internet, dove tutto ciò che mi piace è un capolavoro, e tutto ciò che non mi piace è un insulto all’intelligenza che dovrebbe essere messo al rogo.
Non fa eccezione She-Hulk, una serie teoricamente tranquilla e pacata, su cui però non sono mancate, in questi giorni, due diverse polemiche arrivate presto a livelli di asprezza completamente sproporzionati.
Parlarvene non mi dà alcun piacere, in realtà, mi chiedo perfino se abbia senso, visto che non se ne può fare una disamina particolarmente esaustiva (ammesso che io ne sia capace) durante una recensione. Ma sapete pure che a me piace guardare il contesto in cui le serie si inseriscono, e non posso fare finta di non aver letto un tot di cose su un paio di specifici argomenti di discussione.
Si tratta di due polemiche indipendenti, anche se parzialmente (o forse molto) intersecate.
La prima riguarda l’incastro di She-Hulk nel più ampio mosaico del Marvel Cinematic Universe, un grande e ricchissimo carrozzone che, nel tentativo di incontrare e soddisfare pubblici diversi su piattaforme diverse, può andare incontro a problemi più o meno marcati di coerenza interna.
Se questa cosa succede già solo all’interno dell’anima cinematografica del MCU (pensiamo alle differenze di stile, tono e trattamento del personaggio fra i vari film che parlano di Thor), l’apertura seriale apre nuovi spazi di sperimentazione ma anche di rischio.
Nel caso specifico di She-Hulk, che come detto è una serie dallo spiccato sapore comedy, diversi fan si sono lamentati del fatto che il Bruce Banner rappresentato in questa serie è lontano parente dell’uomo problematico, potente, e drammaticamente “spesso” visto in altri momenti della lunga saga.
Il che, con ogni probabilità, è pure tecnicamente vero e ammesso dallo stesso pilot di She-Hulk, che ne porta specifica traccia nei ricordi circa Tony Stark e Steve Rogers, fatti da Bruce mentre siede al bar con Jennifer in una specie di viale dei ricordi che richiama un tempo ormai passato.
Il tema però, mi sembra da un parte la difficoltà di accettare che il tempo è effettivamente passato, e quindi che i personaggi possono anche evolvere parecchio, e dall’altra una più generica e poco utile rigidità.
Lo stesso mondo dei fumetti Marvel, gravido di decine di anni di storie, è pieno di sperimentazioni, cambi di tono, deviazioni varie, e se Disney+ decide di produrre una serie comedy su un personaggio che, peraltro, storicamente si presta più di altre a quella caratterizzazione (anche nei fumetti Jennifer Walters è un’eroina atipica, che continua a lavorare e si affida spesso all’ironia), il fatto che nel pilot di questa nuova serie ci sia una versione di Bruce Banner tarata sul nuovo genere, non mi sembra un motivo sufficiente per correre su internet a gridare alla lesa maestà.
La seconda area di polemica, che ve lo dico a fare, riguarda il magico mondo dell’inclusività, della cultura woke ecc ecc.
A triggerare i più sensibili è in particolar modo una scena di dialogo fra Bruce e Jennifer, in cui il primo mette in guardia la seconda sui rischi degli scoppi d’ira, e Jennifer ribatte che lei è molto più abituata di lui a gestire la rabbia, perché in quanto donna ha a che fare tutti i giorni con fenomeni tipo catcalling, minacce varie, mansplaining (fra parentesi, ho scoperto da poco che la traduzione non ufficiale di mansplaining è “minchiarimento”, che trovo un adattamento assolutamente fantastico!).
Ora, dal punto di vista artistico, la scena risulta certamente un po’ forzata. In un contesto molto veloce e commedioso, il fatto che Jennifer si fermi, con tanto di musica edificante in sottofondo, per spiegare certi dettagli della sua quotidianità femminile, suona proprio come una scena “inevitabile”, qualcosa per la quale nella writers’ room avevano messo il classico post-it: oh, non ci dimentichiamo di fare una scena dichiaramente femminista, mi raccomando.
Niente di male, a mio giudizio, nel notare questa piccola forzatura, ma allo stesso niente di male nel voler inserire quel tipo di temi in una storia del genere: come ci siamo detti, Jennifer Walters è un personaggio che non ci sta a farsi inserire in una cornice preconfenzionata (non vuole essere un supereroina anche se Bruce lo ritiene un dovere inappellabile), lavora in un ambiente molto maschile e maschilista, sin dai fumetti è un’attiva protettrice dei più deboli e delle categorie marginalizzate, e il fatto che a un certo punto mostri il suo punto di vista su temi di genere di particolare attualità non ha niente di scandaloso e sorprendente.
O almeno così pareva a me, perché invece apriti cielo.
Unendo la totale indignazione per le tematiche woke alle polemiche di cui sopra sulla coerenza del MCU, si sono subito alzati gli scudi a difesa di Bruce Banner, un uomo che in questi dieci anni ne ha passate di ogni, che ha grande esperienza di hulkite, che conosce i rischi della rabbia, e che ora si trova a doversi sorbite i deliri di una i cui unici problemi nella vita sono due commenti non richiesti o dei colleghi antipatici.
Naturalmente in queste ultime parole stavo esprimendo il punto di vista dei più polemici.
Come già più sopra, la rilevazione di una potenziale forzatura e la volontà di rapportarla al resto del mondo della storia, può anche dare degli spunti fecondi, ma il vero problema è che qualunque critica costruttiva si perde immediatamente nella polarizzazione, che a sua volta impedisce di leggere a dovere i contesti e di avere uno sguardo sereno sulle cose.
Nello specifico, chi polemizza con questa scena, che secondo alcuni sarebbe addirittura un mansplaining al contrario, diretto da Jennifer a Bruce, sembra incapace di cogliere tutte le altre sfumature dell’episodio, in cui due personaggi che sono parenti e amici mettono sul piatto visioni del mondo diverse e differenti priorità, confrontandole e uscendone in qualche modo arricchiti, perché Bruce ha bisogno di capire che non esiste un solo modo di vivere il supereroismo (a sua volta metafora della necessità, per ogni persona, di conservare almeno un minimo di margine nella scelta della propria strada), e Jennifer ha bisogno di accogliere la possibilità di avere bisogno di aiuto, lei che è così abituata a fare tutto da sola.
La polemica e la polarizzazione, invece, appiattiscono tutto. Il risultato è una fetta di pubblico che si lancia in un review bombing spietato della serie, bollata senza mezzi termini come porcheria woke, con la conseguente derisione di temi effettivamente esistenti come quelli portati dal personaggio di Jennifer nella discussione.
Poi sul fatto che la vita di Bruce Banner possa essere stata più complicata di quella di Jennifer fino a quel momento, è probabilmente vero, ma capite che se si arriva a negare l’esistenza di specifici problemi della nostra società e cultura nei confronti delle donne “perché Hulk se l’è passata peggio”, qualcosa non torna.
Purtroppo, non esiste critica legittima (e in questo caso se ne potrebbero pure fare) che non possa essere completamente traviata dall’umana stupidità.
Bene, sono certo di essermi dilungato troppo su queste questioni, che alla fine hanno preso più spazio del semplice, pacifico giudizio sulla serie tv.
D’altronde, non pensiate che quel genere di discussioni aspre e spesso improduttive siano destinate a svanire presto: l’ansia da prestazione inclusiva delle piattaforme (fenomeno innegabile) e l’idiozia reazionaria di chi è pronto a bocciare qualunque prodotto non risponda alla sua specifica, millenaria visione del mondo (fenomeno altrettanto innegabile), formano una miscela incendiaria le cui fiamme non si estingueranno molto presto.
Ma se avete letto fin qui (perché siete care persone), consentiamo a noi stessi di tornare alla questione che più ci preme: il pilot di She-Hulk è fresco e divertente, consapevole del proprio posizionamento e del proprio ruolo, e lo show sembra capace di offrirci qualche ora di intrattenimento piacevole in compagnia di un’attrice che amiamo da nni.
Se poi volete andare in sbattimento per qualunque dettaglio, è una scelta legittima, ma per me non è vita.
Perché seguire She-Hulk: si presenta come una comedy dal piglio simpatico e dal ritmo sostenuto. E Tatiana Maslany è sempre un’attrice che da le spanne a tutti.
Perché mollare She-Hulk: è probabilmente una delle più leggere fra le serie Marvel-Disney+: se dai supereroi cercate le battaglie campali e gli stravolgimenti planetari, mi sa che qui non ce ne saranno.