Black Bird – Apple TV+: eccola, la serie dell’estate di Marco Villa
Se da tre anni vi sentite orfani di Mindhunter, forse Black Bird vi farà sentire meno soli e vi farà passare una bella estate
Dico solo: quanto avevamo bisogno di una serie come Black Bird! Proprio in questo periodo, poi. A distanza di ormai tre anni da Mindhunter, arriva una serie che si presenta come un’eccellenza del genere crime, almeno dai primi episodi. Poi si vedrà, ovvio, ma la partenza è di quelle ottime.
Black Bird è una nuova serie di Apple TV+ (sei episodi, uno a settimana), piattaforma che piazza un altro titolo di livello in sei mesi, dopo Severance e Slow Horses. Ispirata a una storia vera e all’autobiografia del suo personaggio principale, Black Bird racconta la vicenda di un narcotrafficante di successo, che viene arrestato e condannato a dieci anni di carcere, senza possibilità di sconti o di uscite anticipate. Si chiama Jimmy Keene, ha il faccione e i muscoli di Taron Egerton e soprattutto non ha nessuna intenzione di stare in galera così tanto. Anche perché vuole rivedere suo padre, interpretato da Ray Liotta nel suo ultimo ruolo.
La svolta arriva quando lo stesso procuratore che l’ha fatto condannare si presenta con un’offerta: libero subito, a patto di andare in una prigione di massima sicurezza e far confessare un serial killer, che rischia di uscire da un momento all’altro per mancanza di prove. Da una parte la libertà, dall’altra la consapevolezza di finire in un carcere insieme alle persone più pericolose e instabili d’America.
Dopo i classici tentennamenti, ovviamente Jimmy accetta e qui inizia la storia di Black Bird. In realtà, si tratta della terza linea narrativa raccontata nella serie: Jimmy e Larry (il serial killer, interpretato da Paul Walter Hauser) si trovano fisicamente insieme in prigione poco prima dei titoli di coda del secondo episodio, ma prima è successo di tutto.
Nei due episodi che aprono la serie abbiamo assistito al successo e al declino di Jimmy, che passa da case fantascientifiche alla prigione, rinchiuso da un sistema giudiziario che prima lo illude con la promessa di pochi anni di carcere e poi lo inchioda alle sue responsabilità. Soprattutto, abbiamo assistito a un’indagine raccontata con precisione e potenza: la conduce il detective di provincia Brian Miller (Greg Kinnear), che parte dal ritrovamento del cadavere di una ragazzina e inizia a unire gli indizi e a tirare fili, fino ad arrivare a quello che tutti considerano il matto del paese accanto, ma che in realtà confessa di avere commesso 14 omicidi.
Tutto questo, nei primi due episodi, quando la vicenda principale ancora non è partita. Tanto materiale, raccontato e messo in scena con qualità innegabile. Il merito è di showrunner e regista, rispettivamente Dennis Lehane e Michaël Roskam: il primo ha lavorato a The Wire e scritto libri poi diventati film, sciocchezze come Mystic River e Shutter Island; il secondo è un regista belga che ha diretto tra gli altri The Drop, scritto sempre da Lehane. Non è un caso che i due abbiano lavorato già insieme, perché il prodotto finale è un unicum, in cui tutto si incastra come deve. Della scrittura si è già detto, per la regia valga la sequenza di apertura del secondo episodio, che mostra la sparizione di una delle vittime in modo potentissimo, senza mostrare letteralmente nulla.
Guardando il trailer, in una delle ultime puntata di SALTA INTRO abbiamo fatto riferimento a Mindhunter: la storia ovviamente è differente, ma i toni sono simili, con in più l’aggiunta dell’indagine vera e propria, forse uno dei pochi punti deboli della serie di Netflix. E non ho nemmeno citato True Detective, nonostante l’ambientazione di campagna e macchine che si aggirano per strade sperdute. Fate un po’ voi.
Il terzo episodio è il primo ambientato in carcere: c’è tutto quello che potete immaginare e che abbiamo visto in tante serie e film di questo tipo, per questo preferisco concentrarmi sulle interpretazioni degli attori. All’interno della prigione, Egerton prende il suo Jimmy e lo trasforma in qualcosa a metà tra James Dean e un film di Fassbinder, aiutato anche qui da una regia eccezionale. In sostanza il maschio alfa super etero che fa il giro e diventa macho da iconografia gay, in ogni caso un corpo iper-sensuale. Al contrario, Hauser lavora sull’invisibilità, sul tirare il proprio personaggio fuori dai giochi, con una voce da agnellino e una remissività nei gesti che non fanno altro che aumentare il suo essere inquietante.
Tutto giusto? Sì, fin qui tutto giusto.
Perché guardare Black Bird: perché siete anche voi orfani di Mindhunter
Perché mollare Black Bird: perché se c’è la prigione, esiste solo Prison Break (o The Longest Night, per i più perversi)