Players su Paramount+ – Una chicca per pochi, ma sempre una chicca di Diego Castelli
Dagli autori di American Vandal, Players è un (finto) documentario su una squadra di ragazzi che gareggia negli eSports
In principio, nel 2017, fu American Vandal, la serie di Dan Perrault e Tony Yacenda che, con la tecnica del mockumentary, faceva il verso ai classici documentari true crime che tanto hanno furoreggiato negli ultimi anni. Una serie divertente, straniante, dalla cifra tecnica praticamente perfetta.
Ora gli stessi autori ci riprovano, passando da Netflix a Paramount+, e se possibile si spingono ancora più nella nicchia: Players è infatti un nuovo mockumentary che, questa volta, fa la parodia dei documentari sportivi, occupandosi di eSports.
Nello scrivere questa recensione, mi sembra che si possa anticipare il tema (credo) più interessante: è un serie di super-nicchia, perché l’oggetto e il modo del racconto stringono tantissimo la sua attrattiva verso il grande pubblico, ma allo stesso tempo è uno show che non si può non consigliare, perché ancora una volta Yacenda e Perrault mettono in scena un’invidiabile padronanza del mezzo.
La trama, di per sé, è semplice: c’è una squadra di videogiocatori di League of Legends (uno dei titoli più famosi e utilizzati nelle gare professionistiche) che dopo qualche anno di fama mondiale vorrebbe arrivare a vincere il suo primo campionato. Per farlo dovrà, per l’appunto, giocare da squadra, appianando screzi e dissapori, e trovando un punto di incontro fra l’umorale veterano Creamcheese (27 anni, interpretato da Misha Brooks) e il diciassettenne Organizm (Da’Jour Jones), nuova stella di grande talento ma con skills comunicative pressoché nulle.
Questa trama è poi filtrata attraverso la lente del mockumentary, cioè il finto documentario in cui finte interviste di alternano a finte immagini del dietro le quinte della scalata di Fugitive (questo il nome della squadra) verso il successo.
Per stessa ammissione degli autori, l’obiettivo era costruire una parodia di certi classici documentari di sport, ma nonostante la finzione c’è stato un duro lavoro di ricerca (in combutta con Riot Games, casa produttrice di League of Legends, e con la stessa comunità dei giocatori LoL) affinché la rappresentazione seriale degli eSports fosse il più possibile realistica, e con l’obiettivo di rendere digeribile la trama anche a chi i videogiochi non li mastica.
Uno dei temi centrali è appunto questo. Players è una serie di nicchia, ma oserei dire di “nicchia della nicchia”.
È un finto documentario sui videogiochi, cosa che già di per sé tende ad interessare solo le persone che hanno un minimo di interesse verso il documentario (sportivo, in questo caso) e verso i videogiochi.
Ma non solo, perché anche all’interno della comunità dei videogiocatori (di cui io per esempio faccio parte), il videogioco competitivo e League of Legends in particolare rappresentano comunque un mondo a sé stante di cui un sacco di videogiocatori sanno poco e niente (di nuovo, come me).
Se la sfida suprema era dunque quella di riuscire a interessare un pubblico che normalmente guarda ai videogiochi come una cosetta da bambini e che di fronte alla realtà di vere e proprie competizioni alza gli occhi dicendo “signora mia dove andremo a finire”, esisteva pure una sfida più semplice, ma non per questo scontata, incentrata sul coinvolgere videogiocatori e spettatori non abituati a quello specifico mondo.
Ora, io non vi so dire se Players stia spaccando su Paramount+, non vi so dire quindi quanto quella sfida sia stata vinta in termini assoluti.
Quello che però mi sento di dire, senza paura di sbagliare, è che Players, proprio come American Vandal, mostra una tale padronanza del mezzo del mockumentary, da rappresentare una sorta di stato dell’arte di quella tecnica. Può non piacere, il tema trattato può respingere, e ho il sospetto che Players rimarrà una serie di nicchia, ma quella nicchia non potrà che essere entusiasta.
L’idea che guida l’intera narrazione è quella di costruire un percorso che abbia una sua epica precisa, nel quale lo specifico degli eSports sia quasi più che altro un pretesto per mettere in scena dinamiche umane molto più conosciute rispetto alle complicate regole e strutture di League of Legends.
Se guardare le (brevi, spesso brevissimo) sessioni di gioco può mandare in pappa il cervello di chi non capisce nulla di quel groviglio di personaggetti che si menano e lanciano incantesimi, quello che conta è vedere come si sviluppa il rapporto estremamente conflittuale fra Creamcheese e Organizm, con tutto quello che ci passa intorno, dalle capacità dell’allenatore ed ex compagno di squadra Kyle (Ely Henry) al traditore Guru (Moses Storm), dai compagni di squadra coreani che vengono da tutt’altro mondo, agli intrighi di denaro e potere dietro la proprietà della squadra.
Se avete la pazienza di affrontare un mondo che magari non conoscete per nulla, Players ha la capacità di portarvi a scoprire quel mondo pezzo per pezzo, costruendo un puzzle in cui le direttrici più emotive e smaccatamente appassionanti sono le rivalità, le unioni, le emozioni fra i personaggi.
Il risultato, paradossale, è che Players è sì un documentario “finto”, che tratta di persone ed eventi inventati, ma allo stesso tempo riesce ad aprire una finestra conoscitiva verso un mondo (quello degli eSports) che esiste e fa girare già oggi un sacco di soldi, permettendo agli spettatori di saperne un po’ di più, e di rendersi conto di come questi sport, per quanto semplicemente non considerati da un’ampia fetta di popolazione mondiale, si portino dietro storie e dinamiche non tanto diverse rispetto a quelli più tradizionali.
Un’ultima domanda, a questo punto, sorge spontanea: American Vandal era un mockumentary, ma anche una comedy abbastanza evidente. Vale lo stesso anche per Players?
Sì. O meglio, nì.
A me sembra che alcune delle cose migliori di Players non c’entrino proprio nulla con la commedia, e siano piuttosto riferite alla capacità, come accennato, di costruire un’epica sportiva in un mondo e con dei personaggi che solitamente non associamo a quel concetto. L’interesse che ho per Players non c’entra granché con il fatto che faccia ridere o meno, c’entra con la sua capacità di solleticare la mia curiosità sul futuro dei personaggi e sulle loro intime contraddizioni.
Detto questo, però, Players è effettivamente una commedia perché è perfettamente conscia di essere il racconto finto di qualcosa (gli eSports) che normalmente viene considerato “finto” anch’esso, ed è capace di giocarci con grande sottigliezza.
Non c’è mai la risata sguaiata, non parliamo della comicità con le battute di spirito. Parliamo invece del mascherato, sussurrato, eppure sempre presente contrasto fra il tono serissimo del racconto, e la capacità dei personaggi e degli avvenimenti di scivolare in modo improvviso nella completa idiozia.
In fondo è anche uno strumento di consapevolezza per lo spettatore: la costante impressione di avere qualcosa da imparare da Players è puntualmente controbilanciata da sottili promemoria sul fatto che non bisogna nemmeno prenderla troppo sul serio.
Al momento Players non è disponibile in Italia, ma se seguite il nostro podcast Salta Intro (e se non lo seguite, perché????) già sapete che Paramount+ arriverà da noi il prossimo settembre.
Sarà un momento interessante, perché Paramount+, negli scorsi mesi, ha accumulato diverse serie di grande pregio (Mayor of Kingstown, 1883, The Offer) che aspettano solo di essere apprezzate anche dal pubblico italiano.
Difficilmente Players sarà la serie di Paramount+ più vista e apprezzata da noi, ma se siete fra quegli spettatori e spettatrici che non si accontentano, che voglio sempre essere titillati da qualcosa di nuovo e di diverso, non lasciatevela scappare.
Perché seguire Players: gli autori di American Vandal dimostrano di non aver perso la mano con i mockumentary raffinatissimi.
Perché mollare Players: parliamo di un finto documentario che parla di una squadra di eSports. A un tot di voi non fregherà a prescindere.