Loot – Apple TV+: una serie pigra, come troppe altre di Marco Villa
Loot prende un personaggio che di solito è comprimario e lo sposta al centro della vicenda: non una grande mossa
Loot non è una bella serie, non è nemmeno brutta. Loot è una serie pigra. Lo è a cominciare dal concept e poi via via in tutti i suoi aspetti, un atteggiamento che ci si aspetterebbe da prodotti più piccoli, non da serie che hanno un cast di livello e che gioca a collezionare guest star.
Disponibile dal 24 giugno su Apple TV+, Loot racconta la fine del matrimonio di Molly Novak (Maya Rudolph): da vent’anni è sposata con John (Adam Scott), insieme a lui ha vissuto gli anni ruggenti che l’hanno portato da un garage ai miliardi in banca. Insomma, la favola delle startup californiane, condita da mega-yacht e ville insensate, che si infrange sul più classico dei tradimenti con una assistente venticinquenne. Vent’anni esatti meno di Molly, che di colpo si trova da sola, ma soprattutto senza quel ruolo di “moglie di” che per tanto tempo le era bastato. Cosa deve fare ora della sua vita? Prima fa la ricca, viaggiando e divertendosi, poi prova a impegnarsi.
E qui inizia davvero Loot, che racconta in che modo una donna con decine di miliardi di dollari si confronta con il mondo del lavoro. Lavoro tra mille virgolette, visto che Molly inizia semplicemente a occuparsi di una fondazione che finanzia da sempre, pressoché a sua insaputa. Qui arriva il cortocircuito comico, perché ovviamente Molly non ha idea di cosa voglia dire vivere all’interno di un ambiente lavorativo e porta il suo modus operandi in ogni contesto. Modus operandi che può essere riassunto con: “Se c’è un problema, striscio la carta e lo risolvo”. La fondazione si occupa di persone in difficoltà e lo scontro tra questi mondi è incarnato da Sofia Salinas (Michaela Jaé Rodriguez di Pose), responsabile della fondazione che fino a quel momento ha sempre avuto le mani libere.
La pigrizia cui si accennava prima parte da un concept tutt’altro che nuovo, ma che finora era stato relegato a storyline di un comprimario: da Will & Grace a The Unbreakable Kimmy Schmidt, il ruolo della ricchissima fuori dal mondo è stato la perfetta spalla comica per i personaggi principali. Spostare questa figura al centro della storia obbliga a cercare nuovi equilibri, che Loot però non trova, almeno nei primi episodi. Di fatto, assistiamo a una ripetizione costante dello stesso schema, dettato dalla ricchezza di Molly, che la porta a essere sempre fuori contesto.
In questo sono colpevoli i dialoghi, che dovrebbero essere sempre a mille e invece sono efficaci con il gontagocce. Allo stesso tempo, la regia è al minimo sindacale, con alcune scene ij cui i campi di ascolto di personaggi vari sembrano usciti da un mockumentary: in quei casi, però, il linguaggio grezzo è voluto, mentre Loot, al contrario, vuole essere patinata. Talmente patinata da avere guest star che fanno cameo da pochi secondi, come Seal o David Chang, Instagram star statunitense.
Si arriva così a una conclusione comune a tante, troppe serie degli ultimi anni: impossibile stroncarle, ma allo stesso tempo non si trova il motivo per continuare a guardarle. E anche Loot finisce in questo gruppone.
Perché guardare Loot: perché non sarà mai sotto un certo livello di medietà, mai
Perché mollare Loot: perché è tutto talmente pigro che invoglia anche lo spettatore alla pigrizia e allo skip