Dark Winds – AMC: un crime tra i Navajo, che forse si piace un po’ troppo di Marco Villa
Ambientata nella riserva Navajo, Dark Winds è una serie crime che può offrire molto, nonostante un pilot che forse si piace un po’ troppo
Noi a Zach McClarnon vogliamo bene. Lo abbiamo amato in Fargo, nel ruolo del soldato al servizio della famiglia Gerhardt, ma negli ultimi anni ha messo insieme una serie di interpretazioni sempre interessanti, da Westworld a The Son, alla più recente Reservation Dogs. Con Dark Winds arriva finalmente a conquistarsi il ruolo di protagonista assoluto e siamo molto contenti. Siamo ancora più contenti del fatto che questo avvenga con una serie così, che non sarà perfetta, ma che è senz’altro un prodotto di qualità.
Dark Winds è una serie di AMC, tratta dalla serie di romanzi di Tony Hillerman, dedicati alle indagini dei detective Leaphorn e Chee. Come sempre, McClarnon è legato a doppio filo alle proprie origini di nativo americano e in questo caso interpreta Joe Leaphorn, capo della polizia tribale dei Navajo, all’interno della riserva dell’Arizona che comprende anche quella meraviglia che è la Monument Valley. Siamo negli anni ’70 e proprio in un motel da queste parti si verifica un duplice omicidio che ha del rituale: un anziano viene ucciso e i suoi occhi vengono distrutti; muore anche una ragazza, che viene ritrovata vicino all’uomo, ma non si capiscono le cause della morte. A indagare viene chiamata l’FBI, che ha la giurisdizione sugli omicidi nelle riserve e così si crea quel classico rapporto tra poliziotti locali e federali, in questo caso acuito da tutto il portato che l’essenza della riserva si porta dietro.
Il tema dell’identità infatti è centrale: esclusi i federali, tutti i personaggi sono nativi e sono alle prese con un delicato rapporto con il passato della propria gente, in particolare legato a come possa influire presente e futuro. Questo legame ha varie forme: dai parenti di Leaphorn che lo considerano una sorta di traditore per essere diventato un poliziotto al servizio “dell’uomo bianco” (nonostante si metta sul viso una traccia di pittura di guerra, prima di entrare sulla scena di un crimine), a una collega (Bernadette Manuelito, interpretata Jessica Matten) che si rifugia nelle tradizioni magiche, fino a al suo vice (Jim Chee, interpretato da Kiowa Gordon), che torna alla riserva per entrare nella polizia. A tutto questo va aggiunta una rapina spettacolare, con tanto di elicottero, che apre la serie e che avrà strascichi per tutta la stagione.
Dark Winds è un crime fatto e finito, con morti, indagini, misteri e una spruzzata di soprannaturale che in realtà si rivelerà per niente sopra e solo naturale. Il personaggio di McClarnon è carismatico e assolve al proprio compito con efficacia, così come i comprimari, a cominciare da quel Jim Chee che rivestirà crescente importanza. A destare qualche dubbio è il passo della serie: pur avendo un pilot in cui oggettivamente ci sono parecchi avvenimenti, Dark Winds sembra una serie che fatica a mettersi in moto. AMC è una rete che ha fatto della lentezza una delle proprie caratteristiche, ma in questo caso qualcosa sembra proprio non girare.
Pur avendo tanti aspetti positivi, il pilot di Dark Winds non convince fino in fondo: la sequenza che chiude l’episodio e che porta al twist che segnerà l’intera stagione è in fondo la spiegazione perfetta di questi dubbi. In questa sequenza, infatti, McClarnon compie una lunghissima, interminabile camminata nel deserto. Ed è questa la sensazione dominante: dopo il primo episodio ci si sente come se qualcuno ci avesse fatto camminare a lungo, molto più del necessario, per raggiungere luoghi che erano ben più vicini. Come se la serie si fosse persa dentro se stessa, impegnata a guardarsi allo specchio.
Dark Winds però ha tutti gli elementi per trovare una quadra e un proprio passo più ritmato e adatto. Qualcosa in più, però, poteva essere fatto.
Perché guardare Dark Winds: per l’ambientazione e per l’interpretazione di McClarnon
Perché mollare Dark Winds: perché il primo episodio fatica a trovare un ritmo