The Boys 3 su Prime Video – Inizio col botto. Di nuovo. di Diego Castelli
The Boys, una delle serie migliori di Prime Video, torna con una terza stagione che si presenta non bene, benissimo!
ATTENZIONE! SPOILER SUI PRIMI TRE EPISODI DELLA TERZA STAGIONE
Gli ultimi dieci giorni sono stati particolarmente ricchi dal punto di vista seriale, soprattutto sul fronte dei ritorni: Stranger Things su Netflix, Obi Wan Kenobi su Disney+ e The Boys su Prime Video.
Ok, evidentemente Obi Wan Kenobi non è un ritorno seriale, ma diciamo che è un ritorno in generale. Anzi, tecnicamente è il personaggio più vecchio di tutti.
Dei primi due abbiamo già parlato, non solo con toni lusinghieri: solido-ma-non-sorprendente il ritorno di Stranger Things (almeno per noi, in giro c’è anche gente che si lancia in lodi sperticate, e va benissimo), finora deludente quello di Obi Wan Kenobi.
Per fortuna, però, in questo caso non è valsa la regola del “non c’è due senza tre”: i primi tre episodi della terza stagione di The Boys, alla faccia di chi vedeva già la seconda in calando e si preoccupava per il destino della serie, sono andati oltre le aspettative: divertenti, tamarri, creativi, e incredibilmente spessi del punto di vista narrativo.
Ma andiamo con ordine.
O meglio, potremmo anche non andare con ordine, nel senso che queste prime tre ore stagionali di The Boys hanno accumulato una tale quantità di spunti, che è difficile riproporli in modo realmente organico.
Possiamo forse fare una divisione molto larga fra quello che The Boys racconta al suo interno, e quello che rappresenta nel suo rapporto con l’esterno.
Nel primo caso, in termini di macronarrazione questi episodi non sembrano innovare granché, anzi, tornano quasi indietro: dopo una seconda stagione in cui molto palcoscenico era stato preso dalla nazista Stormfront, ora si torna al cuore della serie, che vede un gruppetto di poveri e semplici umani contrapposti a un supereroe potentissimo e – piccolo dettaglio – completamente fuori di testa.
La terza stagione di The Boys, quindi, si presenta nuovamente come “The Boys vs Homelander”, e questa, se vogliamo, è l’informazione più “banale” di tutte, anche se sappiamo che sulla stagione di aggira l’ombra di Soldier Boy, interpretato dall’ex Supernatural Jensen Ackles, che per ora abbiamo visto concretamente solo in alcuni flashback.
Anche senza allontanarci dalle dinamiche interne alla serie, però, vediamo subito che non si tratta di una riproposizione pedissequa di dinamiche già viste. Per praticamente tutti i personaggi c’è una crescita, un approfondimento, un progresso.
Butcher e Hughie, per esempio, seguono un percorso in qualche modo simile. Entrambi vengono messi di fronte alla scelta “cosa sei disposto a fare per”, e mentre Hughie sceglie di lavorare dentro il Sistema per migliorare le cose, salvo poi accorgersi che il Sistema lo sta comunque fregando, Butcher fa un passo ancora più ardito, accettando di diventare “super per un po’”.
Naturalmente, l’idea di introdurre un composto capace di fornire poteri a scadenza è un trucco narrativo per mettere Butcher nella condizione, finalmente, di giocare alla pari con Homelander, senza per questo costringere Butcher a tradire del tutto i suoi valori. Allo stesso tempo, è evidente che, date anche le difficoltà di gestire i poteri appena acquisiti e subito usati con violenza, la scelta pone al personaggio di Karl Urban interrogativi non da poco. Il suo è un compromesso, un tentativo di combattere il fuoco col fuoco, sapendo che farlo significa probabilmente scottarsi (e a farne le spese, indirettamente, è il rapporto di Butcher con il figlio di Homelander e della sua ex, che Butcher a un certo punto abbandona per il suo bene).
Percorsi simili possiamo trovarli anche in altri personaggi. Starlight, per esempio, che farebbe parte dei buoni ma continua a lavorare con i cattivi, accetta perfino il prestigio che le deriva dal diventare co-capitana dei Seven, e si auto-racconta le classiche fregnacce che sempre ripete chi vuole godere di un privilegio mantenendo la coscienza pulita: lavorando da dentro sarò un esempio per le ragazzine.
Il conto da pagare, però, arriva lo stesso: la capacità di Homelander di riprendersi parte del potere mediatico sottratto si tramuta in nuovi obblighi per Starlight, che arriva a dover simulare una relazione con lo stesso Homelander. Il terzo episodio si chiude sull’inquadratura del pugno della ragazza, lo stesso pugno chiuso che Starlight stringeva quando, da bambina, la madre la costringeva a partecipare a concorsi di bellezza e talent show che rischiavano di mandarla al manicomio.
Simili sviluppi si hanno anche per personaggi più o meno secondari come A-Train e The Deep, ma ovviamente non possiamo tralasciare la storia personale dello stesso Homelander.
Principale cattivo e simbolo assoluto della serie, Homelander continua nel suo cammino di egoismo patologico, narcisismo criminale, infantilismo estremo.
Accoppiato a una Stormfront che si credeva morta e invece è ancora lì, moribonda e poi suicida (forse), che lo masturba dal letto di ospedale e continua a parlargli di grandi progetti nazisti, Homelander all’inizio di questa stagione si ribella, riprende il controllo della sua immagine pubblica e del suo potere all’interno della Vought.
Da un certo punto di vista, quello di Homelander potrebbe essere considerato un processo positivo, un progressivo distaccarsi dall’opinione degli altri, per abbracciare una maggiore consapevolezza di sé e un più deciso amor proprio.
Tutte cose belle per lui, tutte cose che consiglieremmo al nostro migliore amico, se non fosse che Homelander è un pazzo maniaco che aveva nei gusti dell’opinione pubblica l’unico freno a una violenza e una volontà di potenza personale che altrimenti sarebbero inarrestabili.
Da qui, naturalmente, l’incastro perfetto fra questa trama e quella di Butcher-coi-poteri: nel momento in cui decidono che Homelander non deve avere più freni, gli autori complottano parallelamente per dare ai buoni qualche mezzo in più rispetto a quelli avuti finora.
In tutto questo, pur nel plauso generale per tutti gli attori e le attrici – anche di Chace Crawford, a cui potremmo imputare di mangiare un polpo “solo” digitale al contrario del protagonista del mitico Oldboy, ma dubito che al giorno d’oggi si potrebbe mostrare in una serie tv l’uccisione di un animale vivo, preferiamo mangiarli dopo che sono stati uccisi off-screen – non si può non spendere due parole d’amore proprio per Antony Starr, interprete di Homelander.
Non è la prima volta, naturalmente, che si elogia la sua performance, ma in questo inizio di terza stagione Starr sembra andare ancora oltre: a stupire è il controllo praticamente perfetto di ogni muscolo facciale, che l’attore utilizza per restituire le mille sfumature di un personaggio che, il più delle volte, è costretto a portare una maschera pubblica sotto la quale si agitazioni oscurità molto più private, ma difficilmente contenibili.
Homelander è un personaggio letteralmente terrificante, nel senso che incute terrore perché contemporaneamente evidente nella sua malvagità, ma di volta in volta indecifrabile nelle sue mosse successive: è sempre sul punto di esplodere, o di implodere, comunque di scardinare le complesse strutture sociali e politiche che ha intorno, in nome di un invincibile egoismo che, questa volta, sembra fare anch’esso dei passi avanti.
Arriviamo così ad allargare lo sguardo su ciò che The Boys ha rappresentato e continua a rappresentare. Una parodia non solo del mondo dei supereroi, ma anche della società e della cultura che quel mondo costruisce alla scopo di farne uno specchio menzognero, una specie di contentino pop con il quale provare a sopperire, almeno su carta, alle proprie mancanze.
Un po’ come quel meme che circola su internet, in cui si vedono due immagini e le due scritte “l’America come vede se stessa”, contrapposta a “L’America com’è veramente”. Da una parte Superman, dall’altra Homelander.
In questa stagione ce n’è per tutti i gusti: dal talent show con il quale scegliere il prossimo membro dei Seven al film agiografico in cui i supereroi interpretano se stessi a scopo promozionale (con cameo di Charlize Theron). Dalle frasi sempre uguali, studiate a tavolino, con le quali Homelander racconta ai media la fine della sua storia con Stormfront, al parco di divertimento “all inclusive” (bella questa eh?) in cui i temi dell’inclusività diventano niente altro che feticci in mano agli uffici markenting. Dai meccanismi di potere che scaturiscono da un’opinione pubblica insieme detentrice del potere e completamente manipolata, alla capacità di una singola persona di spezzare quei meccanismi, non per forza con buone intenzioni (o con qualche intenzione in generale).
Ancora una volta The Boys ci sbatte in faccia un’America fatta di lustrini scintillanti, sparsi sul marciume di un capitalismo sfrenato e spietato, di menzogne e narrazioni posticce ad uso e consumo di una massa di spettatori e follower che pensa di saperla lunga, e invece non sa mai niente.
È in questo contesto che avviene quello che secondo me, dal punto di vista della metafora politica, è il punto più alto di questi primi tre episodi, cioè il momento in cui Homelander, in un momento di bassa popolarità e rancore ribollente, strappa il microfono a una compiaciuta Starlight per dire che lui non ci sta più, che non si scuserà più con nessuno, che è il più forte di tutti e non deve vergognarsene, che finora ha vissuto una vita influenzata dal potere altrui (qualcuno ha detto “poteri forti”?) e semplicemente non ne può più.
Dopo un discorso del genere, molti profetizzano la morte pubblica del supereroe, ma naturalmente non è così: la dimostrazione di forza, la galvanizzazione del suo individualismo, sono proprio ciò che permette a Homelander di riacquistare consensi in un pubblico che ama gli uomini forti e le narrazioni semplici.
Difficile non vederci una parodia e una critica alla politica (americana ma non certo solo americana) fatta di slogan vuoti e leader-pupazzi, al trumpismo della peggior specie, ma anche a una massa di elettori (in questo caso sostenitori, follower, opinionisti) che è disposta a sostenere anche un criminale assoluto, quando quel criminale gli vende una versione di sé che possano accogliere e vestire dando un senso alla propria esistenza: Homelander dice esplicitamente a tutti i suoi ascoltatori che sono inferiori a lui, ma quello che loro leggono in quelle parole è la ribellione dell’individuo contro il potere costituito. Non importa la statura morale o professionale del leader, ma solo la sua capacità di offrire al pubblico un recipiente in cui versare e coltivare il proprio rancore e il proprio senso di rivalsa.
Il resto di questi primi tre episodi è il solito, vibrante, violento, godereccio intrattenimento di The Boys. Una delle primissime scene è dedicata a un super che, grazie alla sua capacità di rimpicciolirsi, entra nell’uretra di un suo amante per un ardito gioco erotico, salvo poi farlo esplodere quando, per errore, torna di dimensioni normali dopo uno starnuto.
Da lì in poi si procede per accumulo. Un gustoso accumulo, aggiungerei, fatto di tamarrate totali, violenza esplicita, la consueta capacità di andare sempre un passo oltre quello che si potrebbe ritenere “accettabile” mostrare in una serie tv (come la già citata masturbazione di Homelander, operata da una donna prossima alla morte a cui manca una mano e buona parte della faccia, sdraiata e moribonda in un letto d’ospedale).
Questo non è il succo di The Boys, il nocciolo della sua esperienza, ma ne è certamente la superficie più squillante e divertente, il motivo morboso e peccaminoso per il quale non ci perderemmo nemmeno un frammento di episodio.
La cosa buona, di The Boys, è che al contrario del sistema mediale e politico di cui si fa parodia, al di sotto della superficie scintillante c’è effettivamente qualcosa per cui valga la pena scavare, e non vediamo l’ora di vedere dove saprà andare a parare una stagione iniziata con botti del genere.