Benvenuti a Eden – Netflix: la versione discount della Dharma di Lost di Marco Villa
Benvenuti a Eden è una sequela di aspettative (basse), frustrate con indolenza. Un elogio all’inconsistenza.
Perché stiamo parlando di Eden o Benvenuti a Eden, come si chiama nella versione italiana? Perché stiamo parlando di una serie spagnola per adolescenti? Perché ovviamente è altissima in classifica in tutto il mondo, Italia compresa, tra le serie non in lingua inglese più viste su Netflix.
Ora, quando devo scrivere di una nuova serie, normalmente guardo il primo episodio. E lì mi fermo, fedele ai tempi in cui uno spettatore doveva farsi bastare quello, per decidere se dare fiducia la settimana successiva. Nel momento in cui scrivo, ho visto cinque episodi su otto di Benvenuti a Eden e non riesco nemmeno io a spiegarmi il motivo.
Direte: beh, se li hai visti è perché ti hanno convinto, ti hanno tirato in mezzo. No, non è così, anzi: è l’esatto contrario. Se devo trovare un solo motivo per cui ho continuato a premere play, credo sia che quello che avevo visto fino a quel momento fosse troppo inconsistente per essere vero.
Partiamo dalla trama: cento ragazzi vengono invitati su un’isola per una festa di lancio di una bibita. Fin dal minuto zero, vengono accolti e scrutinati da una sorta di milizia paramilitare, ma questo non li turba. Non li turba nemmeno il fatto che non abbiano la minima idea di dove siano diretti e che sia stato sottratto loro il telefono. Bevono, limonano, si divertono. E continuano a farlo sulla spiaggia di un’isola: a un certo punto, arriva il momento della bibita nuova da assaggiare. Ma non per tutti: solo per i fortunati a cui si accenderà un bracciale, donato qualche ora prima dalla milizia paramilitare. Su cento persone, si accendono solo cinque bracciali. I fortunati bevono e il mattino dopo scoprono che tutti gli altri 95 sono tornati a casa e loro no.
Questo ha l’aria di essere un colpo di scena, un twist narrativo, chiamatelo come volete. Peccato che fosse stato anticipato: prima che i ragazzi arrivino sull’isola, vediamo gente che traffica davanti a schermi su cui scorrono le immagini dei prescelti, mentre dicono cose tipo:
-È stato difficile trovarne cento, questa volta
-Non ti preoccupare: sai che a noi ne interessano solo cinque.
Quando accadono i fatti, quindi, sappiamo già tutto e da quel momento è così per tutte le puntate di Benvenuti a Eden che ho visto. Non c’è una sola scena che non sia telefonata e quando sta accadendo qualcosa che non ti aspetteresti, di colpo quella situazione si risolve nel modo più piatto e debole possibile. Tipo: un personaggio portato a fare dei controlli di qualche tipo, immobilizzato a un lettino medico, ti aspetti di tutto e invece no: ok, tutto a posto, i valori sono in regola. Ma davvero?
La faccenda di fondo è semplice: su quell’isola c’è una comunità che si chiama Eden, che di fatto rapisce persone, le porta lì con diversivi come la festona e poi li convince a restare. Perché? Boh, per fare comunità? Per essere sempre di più? Non solo non sono chiari gli obiettivi di Eden, ma tutto sembra talmente farraginoso da essere insensato e non destare il minimo interesse. Non è la Dharma di Lost, insomma, che riusciva a creare un alone di mistero tale da avere fascino immediato. Eden è un po’ la versione Eurospin della Dharma, anzi Decathlon, visto che le tutine di tutti i convertiti sembrano uscire dal reparto fitness della catena francese. Nota a margine: i due capi di Eden hanno il carisma di un cassiere del Decathlon (con tutto il rispetto per, ci mancherebbe altro).
I cinque che rimangono dopo la festa sono ovviamente i personaggi principali, ma tra tutti spicca Zoa (Amaia Aberastera), diciannovenne che viene scelta senza particolari motivi se non (come gli altri) per avere pochi legami a casa. E però non è vero, perché Zoa ha una sorella minore cui ha fatto da madre, visto che la vera madre è un’eroinomane che ruba i soldi alle figlie (lasciamo perdere: tutte le backstory sono esagerate e senza senso pure loro). Quella sorellina diventa centrale nella seconda parte della stagione, visto che si mette sulle tracce di Zoa. La quale Zoa nel frattempo fa tutto e il contrario di tutto sull’isola, ma le sue azioni non spostano di una virgola la situazione.
E si ritorna all’inizio: Benvenuti a Eden è una serie che fa del falso movimento la propria natura. Sembra che tutto si muova, ma in realtà tutto resta fermo e soprattutto, quando si muove, è tutto ampiamente prevedibile, al punto che l’unico sussulto l’ho avuto quando due personaggi iniziano a correre e a metà corsa hanno costumi diversi. Brividi, a ripensarci. A un certa, devo dire, speravo che gli adepti di Eden riuscissero a far resuscitare i morti, invece no, nemmeno questo. Tutta questa delusione di aspettative mai promesse, però, è talmente frustrante che forse arriverò alla fine. Voi, però, non fatelo. Non è davvero necessario.
Perché guardare Benvenuti a Eden: perché è raro trovare una serie così inconsistente
Perché mollare Benvenuti a Eden: perché l’inconsistenza non è che sia questo gran pregio, eh