28 Aprile 2022

Billy The Kid – Il creatore di Vikings si butta sul western di Diego Castelli

Il leggendario fuorilegge Billy The Kid rivive ancora una volta su Epix, nella sceneggiatura di Michael Hirst

Pilot

Questo è uno di quegli articoli in cui l’introduzione si scrive da sola, perché gli argomenti di interesse sono molti.
Oggi parliamo di serie western, in un momento in cui il genere sta vivendo una vera e propria resurrezione. Non solo, è una serie su Billy The Kid, uno di quei personaggi così leggendari, che solitamente sono conosciuti almeno di nome anche da chi non ha alcun interesse per il vecchio West. E infine, è il nuovo show scritto da Michael Hirst, già creatore di The Tudors e Vikings, quindi uno che quando si tratta di serializzare la Storia, sa come si fa.

La serie va in onda (per ora solo) in America su Epix, la stessa rete da cui è arrivata la recente From. E se il mystery con Harold Perrineau era un prodotto magari non eccelso, ma sicuramente dignitoso, con Billy The Kid mi sembra che l’asticella si sia palesemente alzata, tanto che Michael Hirst, in una recente intervista, si è sbilanciato dicendo che Billy The Kid è il suo lavoro migliore di sempre.

Di sicuro il buon Michael non è scaramantico.

So di causarvi uno shock con quello che sto per dire, ma Billy The Kid racconta la vita di Billy The Kid, personaggio come detto leggendario nato nel 1859 e morto a soli 21 anni, nel 1881.

Sembrerebbe una vita troppo breve per offrire sufficiente materiale per una serie tv, ma considerate che nel corso di quella breve vita il buon Billy ne ha viste di tutti i colori, e ne ha anche fatte vedere: tradizionalmente gli vengono attribuiti più di venti omicidi, anche se molti ritengono che non se ne possano contare ufficialmente più di nove (ma sai, quando spari, una pallottola qui e una lì, chi sta a contare?)

Sappiate però che con Billy il tema della veridicità storica dei singoli fatti è sempre abbastanza delicato. Parliamo infatti di un ragazzo cresciuto in un ambiente violento e selvaggio, dove non c’era esattamente Alessandro Barbero a prendere appunti per poi fare i podcast, e in cui le gesta del protagonista non solo si prestano a versioni e interpretazioni differenti (non c’è totale accordo nemmeno sulle modalità della sua morte, anche se si sa che avvenne per mano dello sceriffo Pat Garrett), ma anche alla costruzione di narrazioni molto differenti.

Billy The Kid è stato senza dubbio un fuorilegge, un pistolero, un assassino, ma nella cultura popolare, per motivi che la serie non mancherà di esplorare, è stato anche descritto come un ribelle, un anticonformista, e insomma un vero simbolo di quel vecchio West la cui epopea (quella poi romanzata dalla letteratura e dal cinema) inizia proprio dopo la Guerra di Secessione, negli anni della crescita e della maggiore attività di Billy The Kid.

Premesso quindi che ci sono ampie zone d’ombra nella vita di Billy, e considerando che Michael Hirst non è mai stato un autore che avesse a cuore lo strettissimo rigore storico dei suoi racconti, Billy The Kid diventa una serie che parte dalla storia di un singolo uomo, per quanto mitico, e racconta un intero mondo.

In questo senso, e a parziale contraddizione di quanto appena detto, Billy The Kid si presenta come una serie crudelmente realistica, che sa di partire da un certo stereotipo del western, ma che non ci sta a fare un compitino che sarebbe davvero superfluo, considerando quanto audiovisivo è già stato prodotto sulla figura di Billy The Kid. Quello stereotipo viene dunque tradito e ribaltato, in nome di una forza drammatica e, anche, di una realtà storica, che poco hanno a che fare con i candidi western degli anni Cinquanta.

Nel pilot, Michael Hirst ci presenta subito il Billy “adulto” (interpretato da Tom Blyth), a pochi mesi dalla morte, quando aveva già una grossa taglia sulla testa. Poi però, come era anche logico che fosse, si sposta all’indietro, mostrandoci l’infanzia e la prima adolescenza di un normale ragazzo irlandese venuto in America con la famiglia in cerca di fortuna.

Da questo punto di vista, il primo episodio non fa sconti a nessuno: Billy e i suoi genitori partono dall’Est sperando in una vita migliore, attratti dalle storie di latte e miele che si raccontano sulla frontiera, e si ritrovano però in un mezzo incubo fatto di fame, freddo, fango e povertà. Il padre di Billy viene colto dalla depressione (un male oscuro che noi riconosciamo in quanto spettatori del 2022, ma che i personaggi non sanno interpretare in termini clinici), e tutta la responsabilità della famiglia ricade sulla madre, che dovrà fare tutto il possibile per, letteralmente, non morire di fame.

Viene spontaneo, in questi mesi in cui il western sembra tornato prepotentemente in auge, fare un paragone con 1883, lo spin-off di Yellowstone che abbiamo molto lodato a inizio anno.

Se ricordate, la caratteristica fondamentale di 1883, che fin dalla serie madre aveva molto a cuore il concetto della terra (da scoprire, coltivare, possedere, tramandare), era il racconto di una Natura insieme bellissima e ricca di opportunità, ma anche selvaggia e pericolosa, una specie di divinità pagana che insegnava agli uomini (e alla protagonista Elsa) la loro terribile e insieme esaltante piccolezza.

Ecco, al suo esordio, Billy The Kid tocca temi in parte simili, ma la sua Natura non è né bella né ricca di opportunità, anzi.

Il gioco è proprio quello dello smantellamento di un certo ideale americano della Frontiera, arrivato fino a noi come sinonimo di scoperta e ricchezza. Certo, anche di fatica, di lavoro, di violenza, ma soprattutto di luogo in cui gli uomini di buona volontà potevano prosperare.

Ecco, la famiglia di Billy la buona volontà ce l’avrebbe, ma le va tutto storto e la Frontiera diventa soprattutto un luogo di povertà e miseria, economica ma anche umana. Un posto terribile che scatena nel giovane Billy una sensazione di rigetto: è proprio di fronte alla morte di un certo sogno coltivato dai suoi genitori, che Billy subisce la fascinazione delle armi e della vita ribelle in quanto scorciatoia verso un benessere e una ricchezza che, a rispettare la legge e ad attendere la buona fortuna, non arriverà mai.

Mi sono spinto un po’ il là, a dirla tutta, perché quest’ultima parte del ragionamento non è ancora così esplicita. Però insomma, gli indizi ci sono tutti, e ovviamente il fatto che si parli di una storia realmente accaduta (per quando romanzata) ci permette di prevedere dove si sta andando a parare.

Non è ancora tempo di giudizi definitivi, ma questo esordio di Billy The Kid è convincente. Ben sceneggiato, preciso nel ritmo e nella scansione degli eventi, scritto e messo in scena con un’idea precisa di racconto e di atmosfera, che lavori su un singolo personaggio molto famoso ma che contemporaneamente riesca a mostrarci quello stesso personaggio, e il mondo in cui si muove, in una luce diversa, più tragica e forse realistica, rispetto ai molti riflettori che nel corso degli anni sono stati puntati su questa storia.

Perché seguire Billy The Kid: per il fascino di una storia immortale, e per la fiducia nelle capacità di Michael Hirst.
Perché mollare Billy The Kid: se vi piace il western tutto cavalli, azione e caldi tramonti, sappiate che qui siamo più dalle parti del fango e delle budella.

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