Halo – Dai videogiochi allo schermo, esordio discreto ma non eccezionale di Diego Castelli
Halo è una delle saghe di videogiochi più famose del mondo, e ora prova a diventare anche una serie tv di successo
Oggi trattiamo un argomento semplice. Una nuova serie che è tratta da una saga di videogiochi ventennale, composta da numerosi capitoli e spinoff, che ha dato vita a romanzi e fumetti, e che rappresenta un pezzo importantissimo della pop culture videoludica degli ultimi due decenni. Una saga che io conosco poco (ho giocato “davvero” solo all’ultimo capitolo), che ovviamente ha stuoli di fan espertissimi, e che quindi mi mette subito nelle condizioni di dire un sacco di fregnacce. E con questo spirito leggero e gioioso, parliamo di Halo.
Uscita in America su Paramount+ – e disponibile da noi su Sky on Demand e NOW dal 24 marzo in originale con sottotitoli, e dal 28 marzo anche su Sky Atlantic in italiano – Halo è creata da Kyle Killen e Steven Kane, che con un misto di saggezza e paraculaggine hanno dichiarato che la serie non vuole essere uno specifico remake né un sequel del videogioco, ma piuttosto una sua versione parallela, una storia pesantemente ispirata a quella del gioco, ma che seguirà una strada sua che si adatti meglio al mezzo con cui è veicolata.
Questo non è un tema secondario, perché un titolo come Halo, che ha un seguito così forte su un medium differente da quello serial-televisivo, si giova di grandi opportunità di marketing (banalmente, qualunque giocatore e giocatrice di Halo vorrà dare almeno un’occhiata alla serie) ma si prende anche numerosi rischi, per la semplice e universale verità che i nerd sono gente orgogliosamente puntigliosa.
La storia, comunque, è grosso modo la stessa: siamo nel 2500 e rotti, l’umanità ha colonizzato molti pianeti della Via Lattea oltre alla Terra, e a guidare tutto c’è una United Nations Space Command (o UNSC) che è un’istituzione politico-militare che mantiene l’ordine nella Galassia con mano pesante, tanto da suscitare la reazione di un ampio gruppo di fazioni ribelli che se ne vorrebbero staccare.
I ribelli vengono pesantemente repressi, anche grazie all’uso degli Spartan, soldati geneticamente potenziati (ideati dalla dottoressa Elizabeth Halsey, interpretata da Natascha McElhone) a cui è stata cancellata la memoria, che combattono contro gli umani separatisti non lesinando nei crimini di guerra.
In questo scenario di umani contro umani, però, ecco l’imprevisto: una razza aliena nota come Covenant attacca la nostra specie puntando al totale sterminio, per ragioni non proprio chiare (nei giochi lo sono di più, nella serie per ora no), e così gli Spartan, da braccio armato di un potere non proprio limpido, diventano la prima (e quasi unica) linea di difesa contro creature altrimenti troppo potenti.
Fra questi Spartan il più famoso e abile è John-117, anche noto come Master Chief, che è il protagonista assoluto dei giochi di Halo, e anche il personaggio principale della serie. In tv Master Chief (da non confondere con Master Chef, che è un’altra cosa) è interpretato da Pablo Schreiber, il Mad Sweeney di American Gods nonché Mendez di Orange is The New Black, e il suo volto si vede solo a fine episodio, quando finalmente si toglie l’iconico casco.
Se non avete mai giocato ad Halo e non ne sapete niente, questo dettaglio del casco potrà sembrarvi ininfluente, e invece è abbastanza decisivo-e-divisivo.
Nei videogiochi, nessuno ha mai visto il volto di Master Chief, e sono passati vent’anni dalla sua prima apparizione. Solo nel finale di uno dei capitoli della saga si vedono i suoi occhi, ma poco e di sfuggita. Una scelta che non riguarda solo o soltanto il tema del carisma dei personaggi mascherati di cui parlavamo anche per Boba Fett nella saga di Star Wars, ma che in un videogioco si porta dietro il concetto più specifico di essere tutti e nessuno: giocando ad Halo si può credere di essere Master Chief anche perché di lui non vediamo alcun volto che non sia idealmente il nostro, e il suo casco con la visiera a specchio ha sempre rappresentato, semioticamente parlando, la possibilità per tutti noi di vedere riflessa nel suo “volto” la nostra faccia.
(Certo, il fatto che avesse una voce, e una voce maschile, restringeva comunque il campo, ma ci siamo capiti)
Evidentemente, ancora più che in The Mandalorian (dove veniva effettivamente introdotto un personaggio nuovo di pacca), quella di mostrare subito il volto del Master Chief televisivo è una scelta forte, precisa, consapevolmente controversa, perché va a intaccare uno dei capisaldi del gioco, una tradizione apparentemente tradita senza starci nemmeno troppo a pensare.
In questo caso specifico, però, mi sento di essere indulgente. E il motivo sta proprio nelle dichiarazioni programmatiche degli autori. Se accettiamo che una serie tv debba necessariamente cercare strade sue proprie per intrattenere e interessare, perché non ha la possibilità di offrire lo stesso tipo di divertimento di un videogioco, allora secondo me possiamo accettare che si prendano decisioni che vadano nella direzione di un maggiore coinvolgimento narrativo ed emotivo, che difficilmente possono passare da un personaggio di cui non si vede davvero “mai” il volto.
Non solo: la stessa caratterizzazione che di Master Chief viene fatta nella serie, cioè quella di un guerriero che dopo il tocco di un manufatto Covenant recupera parte delle sue vecchie memorie e in qualche modo “si sveglia”, rifiutando di perpetrare i crimini della UNSC per difendere l’umanità in modo più etico, è già di per sé una parziale deviazione dallo standard che impone di tenere la mente aperta.
Anzi, da questo punto di vista meglio che tutto questo sia avvenuto già nel primo episodio. Se siete giocatori irriducibili del franchise e non siete disposti (pure legittimamente) a rinunciare ad alcune sue colonne portanti, la serie vi avvisa subito che lei si comporterà in modo un po’ diverso. Lo trovo tutto sommato più onesto che fingere per nove puntate di essere “esattamente” la stessa cosa, salvo poi tradire le promesse solo nel finale.
Fatta questa premessa, e fatta la consapevole scelta di accettare una deviazione dal materiale originale che consenta di costruire una storia adatta al racconto televisivo, poi però quello stesso racconto va giudicato in quanto tale, sapendo che comunque l’ombra dei videogiochi esiste.
In questo senso, i giochi di Halo hanno certamente una base narrativa affascinante e, dopo vent’anni, una stratificazione di storie abbastanza corposa, ma resta in primo luogo un gioco d’azione che è diventato famoso proprio per il suo combat system, per la capacità di offrire un’esperienza che fosse pura adrenalina e che risultasse il più possibile fluida e, suonerà come una banalità ma non lo è, divertente da giocare.
Evidentemente, in una serie tv non c’è niente da giocare, ma solo cose da vedere. Però si parte da una base di azione pura e cristallina, e ci si aspetta che la serie riesca a reggere quel tipo di livello, alle sue condizioni.
Ed è qui che l’impalcatura scricchiola un po’. Il pilot di Halo è un episodio abbastanza lineare, facilmente comprensibile, che ordina in modo chiaro i pezzi sulla scacchiera, e che costruisce un tensione crescente culminante in un cliffhanger efficace. È insomma un pilot abbastanza solido, che unisce una discreta dose di violenta tamarraggine, a un tentativo per ora dignitoso di costruire un personaggio a tutto tondo, in attesa di vedere altri importanti elementi del franchise, come l’assistente virtuale Cortana che sarà interpretata da Jen Taylor, oppure l”Halo” del titolo, cioè la tecnologia di distruzione di massa che nei giochi appare come un gigastesco e affascinante anello capace di circondare interi pianeti.
Ecco, però la domanda è: se anche accettiamo le differenze rispetto all’originale, può un pilot tratto da una delle saghe videoludiche più importanti della storia risultare esclusivamente “medio”?
Perché il problema è questo qui. Anche per colpa di una realizzazione tecnica non ottimale, con effetti speciali non sempre convincenti (la realizzazione dei Covenant è troppo spesso plasticosa e appiccicata allo sfondo) e coreografie belliche fin troppo ordinarie, l’esordio di Halo offre un contesto fantascientifico non particolarmente originale (gli alieni cattivi, come concetto, non erano originali manco nel videogioco, ma lì il divertimento arrivava da altre fonti), a cui non riesce nemmeno ad aggiungere una messa in scena action di livello sopraffino.
Ovviamente la percezione può variare molto in base alle aspettative. Ci saranno persone che non hanno mai nemmeno sfiorato un pad, che in Halo potranno essere divertite da un action-fantascientifico molto accessibile e tutto sommato godibile. Ma ci saranno anche fan della saga che non riusciranno a trovarci niente di più rispetto a quello che vedevano su Xbox, lamentandosi pure dei vari tradimenti. Così come, al contrario, potrebbero esserci fan del videogioco che, a dispetto di tutto, saranno comunque felici di vedere trasposti in serie tutta una serie di dettagli (dalle armature alle armi, passando per le astronavi e certe soggettive fatte apposta per assomigliare a un videogioco) che li faranno passare sopra a tutto il resto.
Come sempre accade, dunque, aggiungere un pezzo importante ma molto diverso a un oggetto culturale già esistente può generare le risposte più diverse, e il problema sta nel fatto che sono quasi tutte legittime, perché qui non si tratta più nemmeno di giudicare una serie tv in sé e per sé, ma di analizzare il pezzo di un puzzle ormai molto più vasto.
Se vogliamo comunque fare questo sforzo di astrazione e di isolamento della serie tv dal suo contesto, rimane il fatto che i giochi di Halo hanno rappresentato una rivoluzione e un punto di svolta del mercato videoludico (e segnatamente di Xbox, la sua console di riferimento), mentre la serie di Halo non sembra in grado di avere lo stesso impatto.
Quello che abbiamo di fronte, almeno per ora, è un prodotto con una sua anima e un suo muscolare carisma, senza però la capacità di spiccare davvero in un mondo seriale in cui anche l’ambito della fantascienza, dell’action e degli effetti speciali è ormai bello pieno di prodotti “grossi”.
Ho comunque intenzione di tenere d’occhio Halo, non solo per le qualità che comunque ha e per il suo peso nel discorso collettivo, ma anche perché ha ancora buone possibilità di crescita, da vari punti di vista. Speriamo le sfrutti.
Mi spiace tenerla come postilla in fondo perché forse meriterebbe più spazio, ma in quelle potenzialità di crescita c’è anche un discorso più generale sulla guerra che certamente i creatori della serie non immaginavano così attuale. Fatto sta che vedere scenari di battaglia in cui bisogna chiedersi chi sta dalla parte di chi, quali siano i comportamenti da adottare affinché si possa tenere salda una qualche moralità, e quali siano i sacrifici che si è disposti a compiere per un bene superiore, sono tutte questione di brutale attualità, con cui abbiamo a che fare in modo quasi ossessivo da un mesetto abbondante.
Non credo sia giusto affibbiare a una serie di questo tipo, peraltro in sviluppo da anni, il compito di coprire in maniera filosoficamente piena ed efficace discorsi così complessi e dolorosi, ma allo stesso tempo, per pura casualità, quei temi avranno un’eco tutta particolare, e la serie dovrà dimostrare la capacità di gestirli in modo perlomeno coerente e dignitoso, anche perché esiste la possibilità che, così com’è, risulti suo malgrado respingente nel contesto che stiamo vivendo. Staremo a vedere.
Perché seguire Halo: è una serie dritta, che sa quello che vuole, e che prende decisioni non scontate per avere una sua precisa individualità rispetto al franchise da cui prende le mosse.
Perché mollare Halo: in termini di storia e messa in scena, il pilot è più “medio” di quanto fosse lecito sperare.