Bel-Air: su Peacock (e Sky) il remake drama di Willy il Principe di Bel-Air di Diego Castelli
Willy il Principe di Bel-Air è diventato un drama, e contro ogni aspettativa non è nemmeno un drama “brutto”
Negli ultimi tempi, per casualità o forse come simbolo dell’ansia hollywoodiana di trovare sempre nuove storie, abbiamo visto serie tv nate dalle fonti più bizzarre, che fossero articoli di giornale (come Inventing Anna), podcast, addirittura sessioni di gioco di ruolo come nel caso di The Legend of Vox Machina su Prime Video. Ecco, oggi parliamo di Bel-Air, nuova serie di Peacock (disponibile su Sky da ieri), e di nuovo la genesi dello show merita qualche riga di approfondimento.
Innanzitutto, Bel-Air è il remake di una serie già esistente (fatto di per sé non sconvolgente) che però apparteneva a un genere completamente diverso: se The Fresh Prince of Bel-Air (diventata famosa in italiano come Willy, il principe di Bel-Air) è stata una delle sitcom di maggior successo degli anni Novanta, la più recente Bel-Air è un vero e proprio drama, sia nello stile di racconto che nella durata degli episodi.
Ma la stranezza non finisce qui. Bel-Air infatti non nasce da una riunione di grandi capi di network desiderosi di sfruttare un brand già conosciuto, bensì… da un video su youtube. Il 10 marzo 2019 Morgan Cooper, sconosciuto autore di cortometraggi, caricò su internet il finto trailer di una serie che non esisteva, una serie che si chiamava appunto “Bel-Air” e che voleva essere una sorta di parodia drammatica della famosissima sitcom.
Un gioco, un divertimento, una stuzzicheria dal sapore vintage, che diventò virale ma che teoricamente sarebbe dovuta rimanere quello che era, cioè un semplice video su youtube. Se non fosse che Will Smith, proprio lui, lo vide, se ne innamorò, e decise di battersi per farne davvero una serie.
Ed eccoci qua.
Che poi, a ben pensarci, forse è stato proprio questo a far venire l’idea a Cooper: il concept di The Fresh Prince of Bel-Air si presta benissimo anche a una serie drammatica.
La storia la conosciamo perché nella sitcom veniva raccontata nella famosissima sigla: Will è un ragazzo nero, giovane promessa del basket, cresciuto in un sobborgo di Philadelphia, che a un certo punto si trova ad avere contro una gang di balordi e piccoli criminali locali.
Per proteggerlo, la madre di Will sa di doverlo mandare via dalla città, il più lontano possibile, e per questo chiede aiuto alla sorella Vivian, che ha sposato un ricco avvocato e ora vive per l’appunto a Bel-Air, ricco quartiere di Los Angeles. Dalla sera alla mattina, Will viene spedito in California, e qui si scontrerà con un mondo molto diverso da quello da cui proviene, e in cui dovrà in qualche modo cercare di integrarsi.
Come si vede, non c’è nulla di intrinsecamente comico nella storia di Will Smith (il personaggio), ed è anche per questo che il finto trailer di Morgan Cooper riuscì a colpire così tanto nel 2019: perché sembrava una cosa effettivamente possibile.
Dopo aver preso a cuore il progetto, Will Smith (l’attore) l’ha proposto a vari network e piattaforme, ma alla fine è “tornato a casa”, visto che Peacock è una costola di NBC, e la serie originale andava in onda proprio sulla rete del pavone (che in inglese è per l’appunto “peacock”, così tutto è in ordine).
Smith e Morgan Cooper figurano fra i produttori esecutivi, ma per la scrittura vera e propria il network è tornato all’antico: i creatori effettivi della serie sono infatti Andy e Susan Borowitz, che non sono altro che i creatori della sitcom originale (a cui si è aggiunto T.J. Brady).
La storia, quindi, è la stessa, la premessa viene narrata “sul serio” e non solo da una sigla, e il nostro Will si ritrova di nuovo catapultano a Bel-Air dalla zia Vivian, dallo zio Phil che è un ricco avvocato che corre per la carica di procuratore distrettuale, dai cugini Carlton, Hillary e Ashely. E c’è pure Jazz, che qui è un tassista che diventa il primo amico di Will appena sbarcato a Los Angeles.
E vi devo dire, in piena onestà, che sono rimasto piacevolmente sorpreso. O meglio, sono rimasto sorpreso per quelle che erano le aspettative, perché l’operazione ci è sempre sembrata a rischio-cagata (mi si passi il francesismo), e quindi ho iniziato il primo episodio guardandolo con gli occhi socchiusi dietro un cuscino, come se fosse un horror, sussurrando “ti prego non essere imbarazzante”.
Ecco, la sorpresa è che Bel-Air non è imbarazzante. È un drama onesto, ben strutturato, scorrevole, e in cui i primi tre episodi (quelli finora disponibili) hanno tutte le cose al posto giusto.
In particolare, trovo molto azzeccato il lavoro che è stato fatto sui parenti di Will, per trasformarli in una versione drammatica dei vecchi personaggi, in modo che fossero riconoscibili in quanto tali, ma non per questo in-credibili nella nuova versione.
Se lo zio Phil era un ricco avvocato dall’indole burbera ma pronto ad aiutare davvero Will, questa cosa non cambia, ma si aggiungono degli elementi politici e di tensione professionale che nell’originale non c’erano. Hillary è ancora la ragazza super fashion molto interessata all’apparire, ma invece di essere una completa imbecille come nella sitcom, è diventata un’influencer che prova a trovare una sua strada mantenendo una genuinità che la madre, desiderosa di “sistemarla” il prima possibile, rischia di farle perdere.
E poi c’è Carlton, su cui è stato fatto il lavoro più profondo e interessante. Carlton è ancora il cugino bassetto e viziato, che ha la pelle nera ma agli occhi di Will vive “da bianco”, perché è figlio di famiglia ricca. Vuole andare in un college prestigioso ed è un ragazzo (apparentemente) “a posto”, al limite del rigido. Però in Bel-Air non è goffo e buffo, e la sua istintiva antipatia e rivalità con Will ha tutto un altro sapore: nella nuova serie, Carlton è un ragazzo molto ben visto a scuola, un vincente, uno con un futuro, e la comparsa di Will prima lo imbarazza e poi lo fa sentire minacciato quando il nuovo arrivato, che è l’outsider potenzialmente inadeguato ma anche simpatico, stiloso e bravo nel basket, comincia ad acquisire consensi anche in ambito sociale.
Insomma, per dirvela in un altro modo: se il corto di Morgan Cooper era un gioco, una sciocchezzuola, per quanto ben realizzata, Bel-Air non vuole essere una cosetta. È una serie vera, pensata, con un capo e una coda, peraltro già ordinata per due stagioni. Ed è una serie che rivendica una sua identità molto precisa, pur rendendo omaggio alla sitcom che l’ha ispirata con tanti piccoli rimandi buoni per gli occhi più attenti, come per esempio la scena in cui Will comincia a indossare la giacca della divisa della scuola al contrario, per distinguersi e avere uno stile tutto suo.
Non vi sto dicendo che è un capolavoro, sia ben chiaro. A conti fatti parliamo di un teen drama che mescola alcuni elementi classici del genere (amori, rivalità, rapporti con i genitori) con una specifica anima black che parla delle tensioni fra i neri “veri” e quelli “arricchiti” che rischiano di dimenticare le proprie origini, e che insomma lavora in modo più denso sulle relazioni fra alto e basso, ricchi e poveri, potenti ed emarginati.
Però insomma, è un teen drama, e non riesce ad andare molto più lontano di così. Ma già il fatto che non abbia più avuto bisogno del cuscino davanti alla faccia, la considero una vittoria.
Poi certo, bisogna anche avere la voglia di buttare il cuore oltre l’ostacolo: considerando che i nomi sono rimasti gli stessi (non dimentichiamo nemmeno Geoffrey, che non è più un “maggiordomo”, ma un manager delle proprietà di Phil), chi ha amato la sitcom originale dovrà faticare un po’ per togliersi dagli occhi le immagini dell’epoca, accettando che ora Will, Carlton, Hillary e gli altri hanno proprio “questa nuova faccia”. Però io avevo davvero paura di trovarmi di fronte una serie terrificante, un puro strumento di marketing buono per tirare fuori due poster e far parlare su internet. Ecco, Bel-Air è un po’ più di questo, e mi fa piacere riconoscerglielo.
Perché seguire Bel-Air: la “traduzione in drama” della vecchia sitcom è stata fatta con criterio e dedizione, e il risultato è più solido e compiuto del previsto.
Perché mollare Bel-Air: resta un teen drama abbastanza “normale”, e dopo un primo momento di curiosità, può anche diventare perdibile nel marasma seriale in cui siamo immersi.