As We See It – Su Prime Video una serie piccola e meritevole di Diego Castelli
Tre coinquilini nello spettro autistico in un percorso di crescita, indipendenza e scoperte sulla vita
Negli ultimi anni quello dedicato ai disturbi dello spettro autistico sta praticamente diventando un sottogenere della serialità televisiva, o comunque un ingrediente usato per dare un twist a storie altrimenti troppo ordinarie. Pensiamo a The Good Doctor, Everything’s Gonna Be Okay, Atypical. Per questo As We See It, nuova serie di Prime Video, non è di per sé una gran novità, ma questo non significa che non sia meritevole.
Disponibile sulla piattaforma dallo scorso 20 gennaio, As We See It (creata da Jason Katims, che fra le altre cose vinse un Emmy nel 2011 per la sceneggiatura di Friday Night Lights) racconta di tre coinquilini che vivono insieme sotto la supervisione di una ragazza, studentessa con aspirazioni da neurologa e una passione per i temi legati all’autismo, che li aiuta ad affrontare le sfide della vita quotidiana, alla ricerca di un’indipendenza che, nel loro caso più che in quello di altri giovani della loro età, non è così scontata.
Quando si parla di spettro autistico bisogna muoversi con cautela anche dal punto di vista terminologico, perché si tratta di un mondo molto variegato e non facilmente incasellabile in precise etichette, tanto che non vorrei aver già fatto qualche gaffe, spero nel caso che mi si perdoni.
Ad ogni modo, e limitandoci alla descrizione delle difficoltà incontrate dai protagonisti, diciamo che i personaggi principali sono Jack (Rick Glassman), una sorta di Sheldon Cooper molto bravo in informatica ma decisamente meno abile con le relazioni umane, anche per la tendenza a dire tutto quello che pensa nel modo più diretto e crudo possibile; Violet (Sue Ann Pien), una ragazza che lavora in un fast food e che brama una vita romantica e sessuale normale, salvo scontrarsi con manie ossessive abbastanza invalidanti; e infine Harrison (Albert Rutecki), che ha difficoltà a uscire di casa perché spaventato da praticamente tutto quello che c’è fuori.
A dare supporto a questa strana combriccola, finita sotto lo stesso tetto soprattutto grazie ai ricchi genitori di Harrison, desiderosi di dare al figlio una chance di indipendenza, c’è come detto Mandy (Sosie Bacon, sì, la figlia di Kevin Bacon e Kyra Sedgwick, che abbiamo visto anche in Mare of Easttown), il cui compito è quello di condurre i suoi tre protetti attraverso un’esistenza che sia il più possibile normale, provando ad ammortizzare e razionalizzare le loro bizze più vistose, cercando di rappresentare un punto di stabilità in un’esistenza altrimenti molto influenzabile dal caos.
Questa la struttura di fondo, che poi si arricchisce di altri particolari: il rapporto di Violet con il fratello Van, che cerca di proteggere la sorella dai pericoli del mondo esterno, rischiando però di soffocarne ogni felicità; la relazione fra Jack e suo padre, un malato di tumore che spera che suo figlio possa diventare davvero autosufficiente per quando lui non ci sarà più; le difficoltà di Harrison a farsi nuovi amici, fosse anche un ragazzino vicino di casa; la tensione provata da Mandy, che da una parte vorrebbe andarsene in California a studiare, e dall’altra non riesce ad abbandonare persone che, molto più che “pazienti” o “compiti”, sono ormai sostanzialmente “amici”.
Quando si parla di serie tv che trattano di questo tipo di personaggi, la sfida più grossa è più o meno sempre la stessa: raccontare una storia che sia in qualche modo “informativa” di un mondo che molti e molte di noi non conosco direttamente, una storia che sia rispettosa di sensibilità particolari nel difficile equilibrio fra realismo e indispensabile licenza poetica, e infine una storia che sia, beh, in qualche modo appassionante, altrimenti che la guardiamo a fare?
As We See It, apparentemente senza grande sforzo, si porta a casa tutti gli obiettivi, e anche qualcuno in più.
Gli otto episodi della prima stagione ci presentano tre personaggi che sono sì caratterizzati in maniera molto forte da alcune dinamiche emotive e di comportamento che ce li propongono come particolari e “diversi”, nel senso più neutro possibile del termine. Allo stesso tempo, però, non si rinuncia mai alla tridimensionalità.
Anzi, direi che lo scopo ultimo di As We See It (titolo italiano “Te lo racconto io”, anche se sarebbe stato meglio un più letterale “come la vediamo noi”) è proprio quello di mostrare in tutte le sue sfaccettature la vita e il background di persone che spesso vengono inserite semplicisticamente sotto categorie e ombrelli troppo grezzi e in definitiva sminuenti.
Che si tratti del tentativo di Violet di trovare un amore per lei molto difficile, della capacità di Jack di comprendere i lati più spigolosi e socialmente complicati dalla sua personalità per smussarli, o della determinazione di Harrison a superare i limiti della sua timidezza e delle sue fobie, As We See It costruisce storie di grande semplicità ma anche estremamente precise, perché riesce a raccontarci non solo le difficoltà, ma anche le persone vere, complesse, “intere” che stanno dietro a quelle difficoltà, e dunque la gioia che sta dietro il riuscire a superarle.
E se alle loro, di difficoltà, aggiungiamo anche quelle dei personaggi teoricamente “normali”, ecco che la serie diventa un mosaico (forse a questo punto dovremmo dire uno spettro) in cui la felicità e la stabilità, guarda un po’, non vengono facili a nessuno.
As We See It appartiene a quel genere obliquo che, pur sapendo che non piace al Villa, potremmo definire “dramedy”, perché “commedia” sembra un termine troppo leggero per una serie in cui sfide e problemi sono veri, e vera è la commozione al momento di affrontarli, ma anche “drama” può apparire inappropriato per un formato così breve e per un racconto che, qui e là, qualche momento di ironia se lo concede volentieri.
Ma in fondo poco ci importa di questo genere di etichette, tanto più che stiamo parlando di uno show che prova a smontare proprio il concetto stesso di etichetta. Quello che conta è che, in soli otto episodi, As We See It riesce a presentarci personaggi riconoscibili ma complessi, meritevoli in ugual modo di affetto e frustrazione, interesse e preoccupazione. Personaggi che nel poco tempo a disposizione si sviluppano su percorsi completi e coerenti, che ci trasmettono un’idea di pieno realismo ma anche di pienezza narrativa.
Avercene.
Perché seguire As We See It: è ben scritta e ben recitata, e appassiona fin da subito.
Perché mollare As We See It: non è la prima, né la seconda, né la terza serie a raccontare i disturbi dello spettro autistico, quindi l’originalità nuda e cruda non può essere il suo forte.