Dexter: New Blood series finale – Meglio del primo, ma non perfetto di Diego Castelli
Dopo otto anni di attesa, caso unico nel panorama seriale, Dexter arriva a una nuova conclusione dopo che la prima era stata odiata da tutti
ATTENZIONE! SPOILER SUL FINALE DI DEXTER: NEW BLOOD
La miniserie Dexter: New Blood è esistita per un solo motivo: riparare un torto. E quel torto era il finale della serie originale, una macchia indelebile su uno show che aveva fatto la storia, ma che era pure durato troppo e che era terminato in modo non soddisfacente (eufemismo), causando quell’ingiusto ma forse inevitabile fenomeno per cui un finale di serie considerato “brutto” da una fetta abbastanza ampia degli spettatori, ripercuote dal sua oscurità su tutto il resto dello show, rovinandone almeno in parte l’eredità. È successo con Game of Thrones, è successo con How I Met Your Mother, ma la serie regina del finale-che-vorresti-non-fosse-mai-esistito era e resta certamente lei, Dexter.
Dexter: New Blood è stata concepita come strumento per cambiare quel finale, per aggiungerne un altro che fosse migliore. Un caso forse unico nella storia seriale, considerando che di solito i “nuovi finali” arrivano perché la serie originale non ha avuto una vera conclusione (il classico caso dei tv movie che chiudono una storia rimasta aperta), oppure per sfruttare pericolosamente un franchise effettivamente terminato (viene da pensare a Sex and The City).
Ebbene, se andate su imdb, il cui sistema di voti degli utenti non è certo da prendere come oro colato, ma che sicuramente può rivelare qualche informazione utile sulla “pancia” del pubblico, vedrete come Dexter: New Blood era riuscita a convincere i suoi spettatori per nove episodi, segnati da votazioni crescenti fino ad arrivare a uno scoppiettante 9.6 per il penultimo, quello che ha visto Dexter condividere un’uccisione con il figlio Harrison, in una sorta di ideale passaggio di consegne fra un dark passenger e un altro.
E il voto dell’ultima puntata, invece? 4.5, per lo meno mentre scrivo questo articolo. Ahia.
Spoiler: credo che 4.5 sia palesemente ingeneroso. Ma nemmeno credo sia il caso di strapparsi i capelli, anche perché mi manca la materia prima.
Andiamo con ordine. Perché non era piaciuto il finale originale? Sarebbe lunga da spiegare, ma possiamo provare a fare un riassuntino. Intanto la serie era durata troppo, perdendo mordente e non riuscendo, nelle ultime stagioni e in particolare nell’ultima, a costruite dei cattivi che fossero all’altezza del protagonista, come invece era avvenuto all’inizio. Questo generale abbassamento della qualità, poi, si era accompagnato ad alcune specifiche scelte mal digerite dal pubblico, prima fra tutte l’interesse romantico di Debra per Dexter, il cui carattere incestuoso (malgrado i due personaggi fossero fratelli adottivi e non di sangue), fu considerato inutile, forzato e sostanzialmente disgustoso dai più (se ricordate, il solo fatto che i due interpreti Michael C. Hall e Jennifer Carpenter fossero stati sposati per un paio d’anni era stato percepito come “strano”, benché ovviamente non lo fosse per nulla, quindi figuratevi quando poi Debra se ne esce con i sentimenti per il fratello, aiuto).
Non solo. Anche la fine di Debra fu gestita malissimo. Un personaggio così importante e decisivo per tutta la durata della serie, fatto morire di fatto off screen, con un aneurisma che non le permise di lasciare alcuna ultima parola degna di questo nome, per poi essere gettata a mare da Dexter quando ancora era tecnicamente in coma.
E naturalmente c’è l’ultimo e più grande problema, cioè la fuga e la sopravvivenza stessa di Dexter. Per quanto il suo fosse un personaggio amatissimo che molte volte era scappato alla morte e alla cattura, era convinzione comune che alla fine dovesse morire o quanto meno finire in galera, ma non solo o non tanto per questioni di karma o di desiderio di assistere a una scena madre, quanto per il fatto che il tema di tutta l’ultima parte della serie era proprio la presa di coscienza, da parte di Dexter, che il suo modo di vivere causava molti più danni alle persone che amava, di quanti ne potesse controllare. La morte sembrava dunque la scelta più logica, una scelta perfino eroica, da abbracciare con ardimento. Se non fosse che Dexter decise di fingere la sua dipartita per finire a fare il taglialegna, come se i suoi insopprimibili bisogni da serial killer, che avevano fondato otto anni di storie, fossero stati spazzati via dalla semplice “buona volontà” di piantarla con la vita da assassino per trasferirsi in montagna.
Insomma, un finale forzato e raffazzonato, arrivato alla fine di una serie durata troppo, che lasciò i fan con il muso lungo. Otto anni dopo, però, ecco la scelta di rimettere mano a quella storia, lì dove si era interrotta, per trovare una conclusione più degna, più memorabile, più “giusta.”
Non c’è dubbio che, per buona parte, il giochino ha retto benissimo. Ritrovare Dexter sugli stessi monti in cui era finito all’epoca; dargli una vita apparentemente normale, pure una fidanzata poliziotta, per poi costringerlo a tornare sui vecchi passi; farlo ritrovare dal figlio Harrison, ormai diventato adolescente e, forse, segnato dalla stessa patologia paterna (perché costretto a vivere lo stesso trauma). Tutte scelte che sono parse in qualche modo semplici, ma non per questo sbagliate o illegittime. Anzi, per molte settimane Dexter: New Blood, caratterizzata da un’impostazione ancora più orizzontale rispetto alla vecchia serie, ha rimestato nel passato del protagonista per tirare fuori un presente che rappresentasse insieme una nuova opportunità di felicità (grazie a Harrison), ma anche una nuova fonte di pericolo, sia nella persona di Kurt, ennesimo serial killer da sfidare, sia in quella della stessa Angela, la fidanzata poliziotta che aveva indizi, strumenti e intelligenza sufficienti per arrivare a capire con che razza di omicida fosse andata a finire.
Tutto bene, tutto giusto. Persino l’idea di recuperare Jennifer Carpenter per farle interpretare un pezzo di cervello di Dexter a forma di Debra è parsa più digeribile del previsto, per quanto comunque non sia stato l’elemento più riuscito o imprescindibile della stagione, anzi, onestamente non c’è una sola scena con lei che mi senta di definire memorabile.
E arriviamo così al penultimo episodio, quello dove Dexter uccide Kurt in compagnia di Harrison, chiudendo un cerchio lungo un decennio e dandoci, qui sì, una sensazione di profondità, di respiro, di blocchi narrativi che girano intorno a un centro di gravità che riesca a dargli senso. Improvvisamente, la sopravvivenza di Dexter nella vecchia serie sembrava trovare inaspettata ragionevolezza proprio nella prospettiva di questo momento di condivisione con il figlio, una scena malata finché volete, ma che narrativamente ha funzionato benissimo, pulendo un po’ del fango lasciato sulla carrozzeria dal vecchio finale.
Poi però arriva quello nuovo.
Ora, mi rendo conto di aver fatto salire un po’ di hype, come se stessi per dire peste e corna anche di questa conclusione. In realtà mi sento di affermare che è andata assai meglio dell’altra volta (non che fosse difficile), perché qui la parola fine arriva sul serio, Dexter muore per davvero, e quindi le alte motivazioni che nel primo finale l’avevano semplicemente portato a smettere, di punto in bianco, di indulgere in un bisogno che pareva invincibile, ora conducono a un decesso che sembra l’unico modo possibile, per Dexter, di liberare il figlio e chiunque altro dall’influsso maligno della sua intrinseca violenza.
La morte di Dexter per mano del figlio, per scelta dello stesso Dexter che teneramente gli ricorda pure di togliere la sicura dal fucile prima di sparargli, ha senso nella misura in cui è probabilmente il primo vero gesto di umanità del protagonista, che si sacrifica per il figlio in un modo che non era mai stato capace di fare per nessun altro.
Mentirei però se dicessi che ci ho visto anche qualche problema, anzi forse solo uno: la rapidità. Il castello costruito in nove episodi, bello robusto e con tutti i suoi mattoni a posto, si è rivelato essere un castello di carte nel momento in cui le necessità produttive hanno imposto agli autori di buttarlo giù definitivamente nel giro di un’oretta.
Non è tanto un problema di “cosa” accade, ma di “come” e “con che velocità”. Il fatto che Angela sia ormai sul collo di Dexter e scopra la sua identità come macellaio di Bay Habour ci sta bene, così come ci piace il fatto che Dexter, comunque, riesca ad aiutarla a venire a capo dei molti omicidi di Kurt, a cui Angela aveva dedicato tutta la sua carriera di poliziotta. Ci piace anche che Dexter cerchi nuovamente di fuggire, e che consideri la morte del povero Logan un male necessario, rivelando così il vero lato malvagio del suo carattere, quello cioè che è effettivamente disposto a uccidere gli innocenti, se questo significa avere salva la pelle. E tutto sommato, visto come si erano messe le cose, accettiamo come inevitabile il fatto che la corsa debba finire qui, perché l’unica alternativa era una fuga insieme a Harrison (o addirittura da solo) che avrebbe condotto che ne so, a un nuovo spinoff chiamato “Dexter: Muggiò”, in cui il nostro sarebbe finito a scovare serial killer in Brianza. Anche no, grazie.
E però, di nuovo, c’è una brutta sensazione di fretta, di gestione imperfetta dei tempi. Facciamo fatica soprattutto digerire l’evoluzione del rapporto con Harrison: il ragazzo ha cercato il padre per una vita, l’ha trovato, è riuscito a legare con lui e ha scoperto la realtà più oscura e intima della loro connessione. È vero, anche al momento dell’uccisione di Kurt ci era sembrato spaesato (l’avevamo notato anche nei serial moments), e quindi che qualcosa non tornasse lo sapevamo già, come se Dexter, preso dall’entusiasmo di avere un erede, si fosse fatto prendere la mano, scoprendo la verità più amara di tutte, cioè che l’unico vero serial killer è lui, e che il dark passenger di Harrison non è poi così dark, al massimo un po’ stronzo. Eppure, il passaggio da quel rapporto così faticosamente costruito alla scena in cui Harrison è ben disposto a uccidere suo padre a sangue freddo, è troppo netto. Harrison è pronto a scappare con il padre, che sa benissimo essere un serial killer con centinaia di omicidi sulle spalle, perché ha deciso che è un vigilante buono, un Batman un po’ schizzato, e lui può diventare un simil-Robin sanguinario. Poi però, appena sa che Dexter ha ucciso il suo coach Logan, non solo questiona le sue ultime scelte (che per carità, ci sta), ma è pronto a imbracciare il fucile per uccidere il padre.
Un padre che, nel frattempo, ha una specie di epifania e decide di lasciarsi uccidere, quando non più di quarantadue secondi prima era tutto preso bene all’idea di fuggire con il figlio lasciandosi dietro l’ennesima scia di sangue (anche) innocente. A mancare è dunque un tempo di elaborazione, un percorso lungo più di mezzo passo in cui tutto quello che era stato costruito fino a quel momento potesse essere distrutto da qualcosa di più intenso di un rapidissimo ripensamento di genitore e figlio.
Manca un episodio, secondo me, ma forse manca un’intera stagione, e quello che ci rimane è un finale certamente più “giusto” dell’altro, nelle sue componenti principali, ma che lascia la sensazione di un coitus interruptus, di un climax che non è effettivamente tale, e che suona più come un “volevamo chiudere così, questo doveva essere l’episodio finale, l’importante è esserci arrivati”. Ecco, non proprio. Tanto più che, di nuovo la maledizione dei finali non perfetti, una conclusione così ci porta a riconsiderare anche alcuni dettagli che avevamo accettato con beata ingenuità, e che ora percepiamo come scricchiolii dell’intera stagione: su tutti la facilità con cui Harrison trova il padre, la poca scaltrezza di Dexter nell’entrare in intimità con una poliziotta, la facilità con cui si finisce fra i piedi di Batista, come se in tutti gli Stati Uniti ci fossero dodici-tredici persone e fosse inevitabile, prima o poi, ritrovare quelle da cui eri scappato otto anni fa.
(Peraltro, aggiungo, un incontro fra Dexter e Batista, che ancora si arrovella sulla morte di Laguerta, resterà una mancanza di questa stagione)
Se vogliamo colorare questa sensazione con una nota che viene dall’esterno della serie, ma che definisce meglio questo vago senso di incompiuto, potremmo citare le parole dello showrunner Clyde Phillips, che dopo aver dichiarato in un’intervista a Collider che Dexter è morto senza se e senza ma, ha poi detto che non gli dispiacerebbe l’idea di uno spinoff con protagonista Harrison, in cui esplorare l’effettiva possibilità o meno, per il ragazzo, di stare lontano dai demoni del padre.
Questa semplice dichiarazione, all’apparenza così innocente, rende evidente una contraddizione/indecisione: se ci sforziamo di accettare e ingoiare in un sol boccone tutto il portato psicologico e metaforico del finale di Dexter: New Blood, dobbiamo anche accettare il fatto che il sacrificio di Dexter debba mettere al sicuro Harrison dal Male, altrimenti non sarebbe servito a nulla.
Il semplice fatto che uno spinoff del genere abbia possibilità di realizzarsi (e capiamoci, le ha sicuramente, considerando che Dexter: New Blood ha battuto diversi record d’ascolto di Showtime), ci fa capire che perfino nella mente di alcuni degli autori questa storia non è riuscita ad arrivare a una conclusione piena, di quelle che ti lasciano sul divano senza fiato, così svuotato da chiederti che senso abbia andare il giorno dopo a fare la spesa.
Poi certo, come detto la realizzazione di Dexter: New Blood ha rappresentato un evento più unico che raro, e per larghissima parte di questa stagione ci siamo trovati a dire “beh diamine, pensavo molto peggio”. Non è una cosa che dimenticherei, né manchiamo di sottolineare che, comunque, ricordare questa conclusione della saga di Dexter Morgan sarà molto meglio che ricordare quell’altra. C’è pure caso che, col tempo, la ragionevolezza in sé e per sé di certe dinamiche ci lasci un ricordo più dolce delle specifiche modalità della loro messa in scena, certamente perfettibile. Se si sperava in un finale grosso, totale, potentissimo e inattaccabile, mi sembra che non sia andata esattamente così, però tutto sommato questa notte dormiremo lo stesso. E se in futuro rivedremo Harrison e magari un fantasma di Dexter… vabbè dai, ci penseremo se e quando succederà.