Euphoria 2: caro disagio, welcome back! di Diego Castelli
Con Euphoria torna una serie visceralmente amata e troppo a lungo sospesa
SPOILER SULLA 2X01 DI EUPHORIA
Immagino sarebbe terrificante se scrivessi che c’è molta euforia per ritorno di Euphoria, vero?
Però dai, concedetemelo. Stiamo parlando di una serie che ci era piaciuta tantissimo nell’estate del 2019. Che è entrata in una lunga pausa per problemi produttivi legati al Covid e, in parte, per la carriera sempre più arrembante della sua protagonista Zendaya (che in Euphoria si cala la qualunque mentre in Spider-Man è una MJ perfetta, coraggiosa e rigorosamente drug-free). Che a dicembre 2020 è riuscita a darci giusto due (bellissimi) speciali, salvo poi tornare nel silenzio.
Capite bene che, arrivati a gennaio 2022, poter vedere finalmente la vera, concreta, corposa seconda stagione di Euphoria non può che scatenarci un robusto entusiasmo.
Sul perché Euphoria sia una roba che ci ha mandato in sollucchero fin dal principio non è il caso di dilungarci, abbiamo già due articoli (qui e qui). Vale giusto la pena di ricordare alcuni concetti: una serie di HBO (da noi in onda in contemporanea su Sky) che racconta la Generazione Z ma è rivolta agli adulti che quella generazione non la capiscono; un prodotto crudo, duro, a tratti estremo, che non vuole sostenere che tutti i giovani di oggi siano esattamente così, ma che attraverso una storia forte vuole spiegare, più in generale, le condizioni di un disagio esistenziale che colpisce i figli e che i genitori non sanno da che parte prendere; uno show con il quale il suo creatore Sam Levinson ha deciso di raccontare i ragazzi attraverso la lente del cinema d’autore, in cui depressioni, fragilità, amicizie, amori e improvvisi slanci di ironia diventano materia per una resa visiva ricchissima, ricercata, a tratti perfino barocca, ma sempre di enorme fascino.
Sul finale della prima stagione di Euphoria, la protagonista Rue, interpretata per l’appunto da Zendaya, veniva da un periodo di pausa dalle droghe, dovuto principalmente alla sua determinazione a essere una buona fidanzata per Jules. Quando però quest’ultima lasciava Rue alla fermata del treno, la protagonista ricadeva dopo poco nel tunnel, tanto da farci temere per la sua vita. Il primo dei due speciali post-stagione 1 ci aveva rassicurato sulla sua sorte, ma ci aveva anche ricordato che non stava esattamente in un “good place”, tanto che l’episodio, splendido e semplicissimo, era costituito da un lunghissimo dialogo con il quale il saggio Ali cercava di regalare a Rue una qualche forma di equilibrio e di consapevolezza.
Ebbene, riguardo questi temi, l’inizio della premiere della seconda stagione… parla di tutt’altro.
In una prima, lunga scena a metà strada fra Tarantino e Guy Ritchie, Sam Levinson ci racconta l’infanzia di Fezco, lo spacciatore amico di Rue di cui non abbiamo mai saputo moltissimo, ma sulla cui storia, ora, veniamo a sapere tutto: allevato da una nonna ben lontana dall’idea di biscotti e uncinetto, capace di gambizzare il padre di Fezco prima di prendersi il bambino e farne il suo compagno di spaccio, il ragazzo cresce in questo ambiente surreale in cui l’amore della donna (indubbio) si mescola a condizioni di vita che farebbero suicidare qualunque assistente sociale. È proprio qui che Fezco conosce il giovane Ashtray, abbandonato dalla madre tossica e allevato dalla nonna di Fez, che l’ha chiamato “posacenere” perché il pupo aveva questa curiosa abitudine di mangiarsi i mozziconi di sigaretta su cui riusciva a mettere le mani. Uno che deve avere un sistema immunitario che il Covid quando ci entra dentro si mette a piangere.
È un inizio spiazzante, sopra le righe perfino per una serie come Euphoria, ma non è intrattenimento spicciolo: nell’approfondire la genesi del personaggio di Fezco, c’è spazio non solo per la violenza grottesca e una certa pittoresca volgarità, ma anche per il senso del dovere, per le pressioni immeritate calate sulle spalle di un bambino di dieci anni trovatosi a fare da badante per la nonna e un fratellino acquisito, mentre intanto portava avanti l’attività (illegale) di famiglia. E c’è quindi una certa coerenza con quello che vedremo alla fine.
Passata quella scena stiamo su Fezco e Ash, che però intanto sono cresciuti e, insieme a Rue, finiscono a casa di certi criminali che li perquisiscono con estrema precisione, a sottolineare uno temi visivi della puntata: non so se c’entra con l’inclusività e la parità di rappresentazione fra uomini e donne, ma non ho mai visto così tanti peni come ne ho visti in questa puntata di Euphoria. Forse giusto in Spartacus.
Anche questa è una scena leggermente scollata da quello che sarà il cuore della puntata (che comunque non è concepita per avere un progressione narrativa solida e precisa, come vedremo meglio fra poco), ma ci ricongiunge a Rue nella sua versione primordiale, cioè una ragazza con problemi abbastanza seri, tenuti a bada dagli oppiacei e da una divertente scorza di noncuranza.
Ed è da qui che poi arriviamo al momento clou, una festa di fine anno dove ritroviamo tutti personaggi principali della prima stagione. Succedono varie cose, in vari punti dell’affollata location della festa: il sempre viscido Nate ha dato un passaggio alla conturbante Cassie (una ragazza condannata a essere sexy anche quando è triste e depressa) e comincia a sedurla nel bagno, salvo poi interrompersi quando la sua ex Maddy scopre che è lì dentro e cerca di entrare, senza sapere che la sua migliore amica si sta limonando il suo ex. Rue incontra un ragazzo che diventa subito suo amico di sniffate e per poco non ci rimane, salvo dimostrare una totale padronanza del suo essere tossica, al punto da auto-medicarsi con dell’adderall quando si rende conto che le droghe prese un attimo prima le stanno fermando il cuore. E il buon Fezco, che abbiamo seguito per tutta la prima parte dell’episodio e che nella seconda chiacchiera e mostra il suo lato migliore con una ragazza conosciuta sul divano, finisce col tirare fuori un’inaspettata violenza quando prende a pugni il perfido Nate con cieca ferocia, ribaltando completamente l’immagine di lui che ci eravamo placidamente costruiti durante tutto l’episodio.
In questo vagare nelle vite dei personaggi, Sam Levinson (che scrive e dirige l’episodio) non punta tanto a piantare le solide basi narrative della stagione, anche se poi indirettamente lo fa proprio con l’aggressione di Fezco a Nate e con l’ultima scena in cui Rue e Jules, che si erano annusate per tutta la sera, alla fine si baciano in un momento di amore e lirismo dalle conseguenze al momento imprevedibili.
Quello che in realtà vediamo è un affresco smaccatamente corale, una specie di ricongiungimento con i personaggi forse pensato anche per dare un po’ di sollievo a chi non guardava Euphoria da due anni: non ci serve ricordare a memoria tutto il pregresso per renderci conto delle dinamiche in gioco, perché vengono tutte ricordate o accennate con sapiente uso di poche frasi e sguardi inequivocabili.
Ma quello che più conta è la capacità di re-immergerci in una storia da cui eravamo stati forzatamente strappati da una pandemia che hanno ribaltato tutto il nostro mondo, compresi i nostri ricordi seriali del pre-virus.
Il primo episodio della seconda stagione di Euphoria, più che tracciare nuove vie, ci ricorda dove eravamo rimasti, e lo fa a modo suo, mescolando virtuosismi registici e improvvise botte di ironia, rilassandosi nei fumi della droga e impennandosi nella suspense delle amicizie tradite, fino ad arrivare a un finale che mescola l’amore fra Rue e Jules, immerso un caleidoscopio di luci, colori e musica, e la violenza di Fezco nei confronti di Nate. Una violenza che Rue, dall’alto (o dal basso) della sua indifferenza tossicomane, commenta con un serafico “damn!” che, piazzato così in chiusura di puntata, sembra anche una specie di previsione sui prossimi appuntamenti: ne vedremo delle belle.
Il messaggio sembra abbastanza chiaro. Per una narrazione più lineare che punti al futuro dei personaggi c’è ancora tempo. Intanto era importante riportare la nostra mente in quel territorio instabile in cui una semplice festa di capodanno è in realtà il luogo perfetto per mettere in scena la tensione che a reso grande Euphoria fin dal primo istante: quella fra l’immagine sociale e pubblica che i personaggi danno di sé, e il mondo di rumorose fragilità interiori che si portano dentro. Una tensione che il suo autore vuole farci vivere, molto più che limitarsi a raccontarla, e che per questo dipinge con immagini e suoni che puntano a un’esperienza che sia fortemente sensoriale, prima ancora che prettamente logico-narrativa.
Per una serie tv, che non è un film, questa non è mai una scelta scontata, e per quanto ci sia un tot di gente che da Euphoria si sente legittimamente respinta, rimane però una verità che era valida nel 2019 e lo è anche nel 2022: in tv un’altra serie come Euphoria semplicemente non c’è.
PS nel tentativo di scrivere recensioni che abbiano un filo logico e che siano in qualche modo “adulte”, si finisce comunque col perdere qualcosina in termini di puro entusiasmo, e quindi vale la pena dirsi che questo episodio, come del resto tutta Euphoria, meriterebbe anche un altro tipo di recensione/reazione, una in cui la basilare grammatica italiana lascerebbe il posto a emozioni meno codificate e frasi scollate tipo:
-No vabbè ma Zendaya sempre uno spettacolo.
-E quei primi piani finali di Jules li hai visti?
-Il bambino che mangia il mozzicone m’ha ucciso.
-Alla faccia della nonna!
-Non possiamo avere una serie tv che semplicemente sia fatta di inquadrature random di Sydney Sweeney?
-Anch’io vado in difficoltà se devo fare un bisogno grosso a una festa.
-Vai Fez, picchialo di brutto. Sì, così. Cioè, anche meno. Ora non esageriamo. Gesù, qualcuno lo fermi!