Dr. Brain – La Corea sbarca anche su Apple TV+ di Diego Castelli
Dopo il successo di Squid Game su Netflix, le serie coreane arrivano anche su Apple, però stavolta senza enormi bambolone assassine
Resistete, manca poco.
Non passerà molto tempo prima che il mondo la smetta di parlare di Squid Game, analizzare Squid Game, accusare Squid Game del decadimento morale della civiltà occidentale, usare le parole “Squid Game” ovunque capiti (magari quattro volte a fila all’inizio degli articoli, per esempio), con il sordido obiettivo di fare più contatti in un periodo in cui tutti parlano della serie di Netflix.
Soprattutto, arriverà il giorno in cui non paragoneremo a Squid Game qualunque cosa venga dalla Corea del Sud, anche quando effettivamente non c’entra niente.
Ma siccome quel giorno non è ancora arrivato, oggi parliamo di Dr. Brain, prima serie coreana distribuita da Apple TV+ che ovviamente, OVVIAMENTE, ci fa dire “Dopo il successo di Squid Game, anche Apple ci prova con le serie coreane”.
Questo così, giusto per dare un contesto. Perché poi, in effetti, se ci mettessimo a paragonare Dr. Brain e Squid Game, faremmo la figura di un ipotetico recensore coreano che si mette a fare confronti fra Gomorra e Il Commissario Montalbano giusto perché arrivano tutti e due dall’Italia.
Accettiamo che in questo momento abbiamo tutti le antenne dritte per i prodotti sudcoreani, e accettiamo che se due colossi della produzione seriale propongono due prodotti di quel paese, più o meno nello stesso periodo, viene spontaneo pensare a una specie di Guerra di Corea delle piattaforme di streaming. Poi però tiriamo dritto.
Dr. Brain è creata e prodotta da Kim Jee-woon, e ha per protagonista Sun-kuyn Lee, che avevamo già visto in Parasite, il film del 2019 che, forte della vittoria di quattro oscar, è uno dei molti simboli della progressiva scalata coreana al mondo dell’intrattenimento audiovisivo mondiale.
La storia è quella di uno scienziato, Sewon, dotato di grande intelligenza e memoria prodigiosa, ma afflitto da grossi problemi relazionali e dalla sostanziale incapacità di provare empatia per il prossimo. In tenera età Sweon ha visto morire sua madre in un incidente e, una volta cresciuto e sposato, ha dovuto affrontare anche la morte del figlio ancora bambino e la caduta in depressione e poi in coma della moglie.
Insomma, una vitaccia, che sembra subire un nuovo trauma quando le ricerche di Sewon, volte a sondare la possibilità del trasferimento di ricordi da un cervello all’altro, diventano non solo un campo di studi e di lavoro che potrebbe portargli la fama e cambiare il mondo, ma anche, molto più concretamente, il modo per scoprire cosa è davvero successo a suo figlio e sua moglie, quando nuovi e inquietanti dettagli emergono da un passato fino a quel momento nascosto.
Non voglio spoilerare troppo di questo primo episodio, che è già abbastanza pieno di piccole e grandi sorprese, ma avete capito di che si tratta: Dr. Brain è un thriller medical-fantascientifico con qualche spruzzata di horror, di quelli in cui un certo assioma iniziale (“è possibile travasare i ricordi di una persona in un’altra attraverso una macchina”) diventa lo spunto per una trama che si ingarbuglia sempre più, con buona pace di un povero protagonista che finisce invischiato in un gorgo di misteri, segreti, false piste, inquietanti allucinazioni (perché cosa fai, giochi col cervello dei personaggi e non vuoi metterci le allucinazioni?).
Il genere è talmente limpido che non mancano perfino alcuni cliché visivi che ormai hanno un sapore sostanzialmente retrò, come per esempio i caschi pieni di fili, spinotti e lucine, da applicare alle teste delle persone di cui si vogliono travasare i ricordi.
E in questo specifico campo, il campo cioè del racconto di suspense che punta a tenerci in costante tensione e a solleticare la voglia di vedere dove andrà a parare la trama, Dr. Brain funziona bene. Il concept è semplice e immediato, e l’interesse per il tema prettamente fantascientifico si accompagna facilmente al desiderio di scoprire quanto la vita di Sewon potrà venire stravolta, man mano che lo scienziato si addentrerà nella mente sua e di tutti quelli che potrebbero aiutarlo a scoprire la verità sulla sua famiglia.
Insomma, mi va di vedere il secondo episodio, che non è mai un elemento secondario di valutazione. E la certezza di voler proseguire mi è arrivata quando la manipolazione del cervello di Sewon è arrivata al punto di cominciare a liberare un po’ del potenziale immaginifico che un’idea del genere porta con sé.
Bisogna però dire che non funziona proprio tutto-tutto, anzi ci sono cose che funzionano poco-poco.
Se la sceneggiatura parte da un assunto interessante, nel concreto dei dialoghi e dell’articolazione della trama gli inciampi superano talvolta il livello di guardia: passaggi estremamente didascalici che spiattellano le informazioni con troppa banalità; una descrizione degli elementi scientifici sostanzialmente pigra, che punta ad accumulare parole roboanti giusto per fare scena e passare al passo successivo, col rischio però di darci un sapore di posticcio; singole accelerazioni e strappi che danno l’idea di una sceneggiatura in cui alcune cose succedono “perché sì”, non perché sono la logica conseguenza delle premesse.
Per fare un singolo esempio mi permetto un piccolo spoiler: a un certo punto viene fuori che il passaggio di ricordi avviene solo se la persona a cui strapparli è morta. Bene. Peccato che nel giro di pochi minuti la procedura venga applicata anche a una persona che non è esattamente morta, e nessuno si pone davvero il problema. Stesso discorso per situazioni molto pericolose che, una volta riproposte, smettono di esserlo giusto perché bisogna andare avanti con la storia.
Sono tutte piccole leggerezze che danno l’idea di una certa fretta, come se l’ansia di creare un racconto incalzante e senza punti morti avesse finito col far ignorare alcune imprecisioni che invece avrebbero meritato una rifinitura maggiore.
E poi, se proprio vogliamo dircela tutta, ci sono alcuni attori e attrici (non il protagonista, per fortuna) che non sono esattamente interpreti da oscar. Ma neanche da Premio Teatro Amatoriale di Frattamaggiore (con tutto il rispetto per gli aspiranti attori e attrici di Frattamaggiore).
In chiusura, vale anche la pena di sottolineare un tema su cui non si può ancora giudicare pienamente, avendo visto solo un episodio. Nel guardare una serie con protagonista un uomo con forti problemi relazionali, che vede la sua vita ribaltata da arditi esperimenti neurologici, è normale pensare che si possa assistere a una qualche grande metafora dell’esistenza, a un discorso più elevato che trascenda la comune quotidianità verso una prospettiva nuova, insomma che si possa aspirare a qualcosa in più rispetto a un semplice thrillerino con i caschi pieni di fili.
Ecco, in questo senso Dr. Brain ha ancora la possibilità di dirci qualcosa di interessante, perché il percorso di Sewon è appena iniziato, e sia in termini narrativi che visivi si intravedono elementi stuzzicanti che speriamo possano essere approfonditi. Allo stesso tempo, quella specie di ossessione per l’efficacia della suspense, che già ha fatto morti e feriti in altri dettagli produttivi, rischia di mangiarsi anche le aspirazioni filosofiche. Ma toccherà aspettare.
Per il resto, Dr. Brain è al momento un thriller che si lascia guardare e che potrebbe sorprendere, se avete voglia di passare sopra a qualche ingenuità di troppo. E se invece mi chiedete se farà sfracelli come Squid Game, ma no dai, è pure su una piattaforma che al momento la gente segue molto meno, lasciamo perdere la continua ricerca di fenomeni mondiali, che poi finisce che ci facciamo male.
Perché seguire Dr. Brain: per una storia che cattura e che ha buone potenzialità per sorprendere nelle prossime settimane.
Perché mollare Dr. Brain: piccole ingenuità e goffaggini sporcano un’idea che avrebbe meritato maggiore precisione.