Succession 3 Season Premiere – Questa gentaglia siamo noi di Diego Castelli
La famiglia Roy torna dopo due anni di pausa e riparte da dove si era fermata: Succession è un mirabile affresco di egoismo e umanità
SPOILER SUL PRIMO EPISODIO DELLA SECONDA STAGIONE
Se vi capitasse, nella vita quotidiana, di dover parlare degli effetti della pandemia sul mondo delle serie tv (non so perché dovrebbe capitarvi, ma non si sa mai), un ottimo esempio sarebbe Succession.
Parliamo di una serie di HBO (in arriva su Sky a novembre), di ottimo successo di critica e pubblico, capace di vincere finora nove Emmy, e che quindi era certamente una priorità della rete, ma che nulla ha potuto contro i problemi legati al Covid. Risultato: la seconda stagione era terminata il 13 ottobre 2019, e per vedere l’inizio della terza abbiamo dovuto aspettare il 17 ottobre 2021.
Questi due anni li abbiamo passati in pacata e fervida attesa, per il ritorno di una serie di grande impatto artistico ed emotivo, che si era chiusa con un cliffhanger non indifferente: Kendall, figlio del magnate Logan Roy, doveva addossarsi colpe non sue per ripulire l’azienda da un brutto scandalo. Il problema è che, con un colpo di mano in parte prevedibile ma comunque entusiasmante, il personaggio interpretato dal bravissimo Jeremy Strong si è presentato ai giornalisti ribaltando la situazione e denunciando i raggiri compiuti dal padre. Dal canto suo, Logan aveva osservato questo tradimento con un mezzo sorriso su cui, due anni fa, ci eravamo abbastanza scervellati.
Ormai lo sappiamo: è molto raro che una premiere sia dirompente come un finale di stagione, e in questo Succession non fa eccezione. Questo primo episodio stagionale non è incalzante, tensivo e sorprendente come la puntata appena precedente. Dopo due anni, però, quello che ci premeva era ritrovare personaggi che avevamo imparato ad amare e detestare allo stesso tempo, rituffandoci nelle dinamiche familiari che, nella loro appassionata semplicità, rendono Succession una serie da cui non si riesce a staccarsi neanche per un minuto (perché sì, parla di finanza, azionisti e cause legali, ma sono solo scuse per raccontare di genitori, figli, fratelli, sorelle).
Da questo punto di vista, non siamo rimasti delusi. La mossa di Kendall tiene banco per tutto l’episodio, e quello a cui assistiamo è un necessario posizionarsi e riposizionarsi dei vari giocatori in campo. Soprattutto, viene chiarito meglio il rapporto (ovviamente in continuo mutamento) fra lo stesso Kendall e suo padre. Se il sorrisino finale di Logan ci aveva fatto pensare a una vaga soddisfazione del patriarca per la mossa ardita del figlio, forse addirittura sperata dal padre, ora invece ci sembra che Logan sia effettivamente in difficoltà. In questo episodio Kendall si dimostra un avversario più ostico del previsto (vedere ad esempio la sua capacità di soffiare al padre l’avvocata che voleva avere per sé), e Logan si vede costretto a inseguire, nella paradossale situazione di avere contro il figlio che credeva di avere in pugno, e scoprendo in lui un antagonista molto più pericoloso e capace rispetto al resto della prole.
In questo senso, l’ultima inquadratura dell’episodio sembra proprio il proseguimento del finale della scorsa stagione, in cui il volto preoccupato di Logan sostituisce il sorrisino furbo di chi forse non aveva ancora fatto tutti i conti giusti.
Per quanto riguarda gli altri personaggi, il copione è il solito, quello che ci piace: uno spettacolare, diffuso egoismo tale per cui tutti, nessuno escluso, lavorano sempre e solo per il proprio tornaconto, sempre pronti a cedere pezzi di dignità in nome del potere, sempre desiderosi di mostrarsi intelligenti, scaltri e sarcastici, ma in realtà rosi dall’interno da un desiderio di ricchezza e prestigio che li rende spesso quasi ridicoli.
Non c’è mai nessuno che si salvi “davvero”, in Succession, di cui si possa prendere le parti da un punto di vista etico, perché effettivamente non c’è alcuno che sia migliore di un altro. Può essere più bravo, più abile, ma non migliore, e questo episodio ci mostra meglio di altri come questa impossibilità di crescita venga proprio dal genitore, in termini quasi genetici: i vari Roman, Shiv, Tom ecc non sono come sono (insicuri, stressati, assetati di potere) solo perché Logan li tiene volontariamente sulla corda, ma anche perché lui stesso è così. Lo vediamo per esempio al momento della scelta del suo momentaneo successore, quando bastano pochissimi errori, minuscole disattenzioni, perché Logan cambi completamente idea nel giro di un mezzo minuto. È una volubilità sottilmente ma efficacemente lontana dall’immagine del vecchio leone capitalista che sa sempre quello che sta facendo, e la sfida con Kendall funziona, in questo momento, proprio perché Logan appare meno forte e preparato di quanto la gente creda di lui.
Ma se vogliamo andare appena più a fondo e trovare cosa continua ad affascinarci di questa serie al di là della sua precisione formale e recitativa, secondo me la dobbiamo cercare nella sua capacità di rispecchiare certe fragilità che albergano in ognuno di noi.
La dinamica più presente in Succession, cioè la messa in scena di personaggi segnati da una costante e vistosa differenza fra quello che dicono e quello che pensano, fra l’immagine che cercano di dare di sé e i desideri più reconditi che alimentano il loro egoismo, è qualcosa che conosciamo tutti benissimo.
Poi per carità, suppongo che fra voi ci siano anche persone centratissime, equilibratissime, che dicono sempre quello che pensano e sono sempre sicure di tutto. Nel caso, complimenti.
Ma la maggior parte di noi mortali, chi più e chi meno, e a seconda delle situazioni, conosce benissimo la difficoltà di trovare un compromesso fra un’immagine “pubblica” che sia intelligente, arguta e anche moralmente lodevole, e la realtà inconscia di pulsioni che spesso non hanno nulla di intelligente, né di arguto, né soprattutto di moralmente lodevole.
I personaggi di Succession, teoricamente ricchissimi e lontanissimi da noi, sono invece così vicini al nostro vissuto, da produrre quel misto di fastidio e fascinazione che spesso proviamo solo di fronte agli specchi.
Ci risentiamo a fine stagione.
PS L’unico che in questo episodio appare diverso è Greg, ma anche in lui troviamo un po’ di noi stessi. A Greg è demandata tutta la linea comica dell’episodio, e la sua cronica goffaggine è un altro elemento volto a suscitare in noi sentimenti contrastanti: ci fa ridere, ma ci riporta alla mente tutte le volte in cui anche noi ci siamo trovati in simili situazioni di disagio. Pietà e ridicolo, dileggio e compassione.