Heels – I wrestler di Starzplay partono subito col botto di Diego Castelli
Heels racconta di due fratelli professionisti del wrestling, e il drama che ne esce è ben più solido di quanto i costumini farebbero pensare
In questi giorni il consenso è stato pressoché unanime, sia nel pubblico che nella critica: il pilot di Heels, la nuova serie di Starz già disponibile anche in Italia sulla piattaforma Starzplay, si è beccato praticamente solo elogi.
E per quanto sarebbe forse eroico fare i bastian contrari giusto per andare controcorrente, mi sa che c’è poco da fare: quello di Heels è proprio un bell’esordio.
Chi ci ha seguito nei mesi scorsi nel Late Show sa già di cosa stiamo parlando, e sa perché la serie creata da Michael Waldron (già padre di Loki) e dedicata al mondo del wrestling si era fatta notare dagli appassionati seriali già a colpo d’occhio. Il motivo era banale: i protagonisti erano Oliver Queen di Arrow (ovvero Stephen Amell) e Bjorn di Vikings (all’anagrafe Alexander Ludwig).
Già questo bastava a stuzzicare la curiosità, ma devo anche dirvi che, da non appassionato di wrestling, temevo che il mio interesse potesse non andare molto oltre. La cosa buona, però, è che il wrestling non deve piacervi per forza per farvi apprezzare uno show che ne racconta il dietro le quinte.
Il motivo per cui non mi piace né mai mi è piaciuto il wrestling può essere riassunto in un concetto che, me ne rendo conto, può essere molto scivoloso: è troppo finto.
Per me che sono cresciuto a cavallo fra Ottanta e Novanta, il wrestling è un ricordo abbastanza preciso dell’infanzia, dove amici e compagni di classe ne parlavano in continuazione e si compravano i pupazzetti con le fattezze dei lottatori, molto più (credo) di quanto non facciano i ragazzini italiani di oggi. Eppure io non facevo parte del giro, perché già all’epoca sapevo che era tutto finto (come lo sapevano i miei amici, del resto), e quel mondo fatto di costumi scintillanti, reazioni caricatissime e combattimenti funambolici non riusciva proprio ad attirarmi.
Nello stesso momento, naturalmente, guardavo cartoni animati, film e serie tv che di combattimenti erano pieni, e in cui le battaglie non erano certo meno “finte” di quelle del wrestling. Eppure per me c’è sempre stata una barriera. Sarà che mi piace il montaggio cinematografico e il wrestling, in termini di messa in scena, è più un misto fra teatro e circo. Oppure sarà che a non piacermi erano proprio le dinamiche della lotta, quel misto di prese e salti che erano molto diversi rispetto alle arti marziali (o presunte tali) di cui mi nutrivo coi film.
Dall’altra parte, invece, potevate trovare molte persone che non solo amavano quel tipo di messa in scena, ma che soprattutto, e questa è la parte più importante, adoravano la narrazione che c’era dietro il mondo del wrestling, cioè quel misto di faide, scontri fratricidi, rese dei conti fra Bene e Male, di cui la sceneggiatura del wrestling è sempre stata intrisa, né più né meno di tanti altri tipi di racconti che vedevamo comunque passare sul piccolo schermo.
In qualche modo, Heels parte proprio da qui. Nel gergo del wrestling gli “heels” sono i cattivi, contrapposti ai buoni chiamati “faces”. E il primo protagonista di Heels è Jack Spade (Amell), primogenito del defunto lottatore King Spade e impegnato a tenere viva la fiamma del wrestling di famiglia. Jack si è ritagliato addosso il ruolo di cattivo, e scrive in prima persona le sceneggiature degli incontri che invece vedono nel fratellino (“ino” solo di nome) Ace il buono della famiglia e l’eroe che la folla applaude con più gusto.
Di fatto, l’operazione di Heels è molto semplice: con un piglio esplicitamente sociale e culturale, che scava nell’America profonda e ci mostra le difficoltà economiche di questa famiglia di provincia che prova a sfondare in un mondo molto competitivo, la serie scruta nel dietro le quinte del wrestling trovando dinamiche simili a quelle che possiamo vedere sul ring. Se nello spettacolo messo in scena dai fratelli Spade e dai loro amici e collaboratori il pubblico vede soprattutto uno scontro fra due fratelli, noi spettatori televisivi assistiamo… a quello stesso scontro, però traslato nelle atmosfere più realistiche nascoste negli spogliatoi, negli uffici, nelle quotidiane dinamiche familiari.
In particolare, la situazione ci appare in qualche modo ribaltata rispetto alla finzione della lotta: se sul ring Jack è il cattivo e Ace il buono, fuori da esso Jack ci appare come il primogenito impegnato e giudizioso che si aggrappa con le unghie e con i denti a un sogno di lunga data, mentre il fratello è un bamboccione tutto muscoli e arroganza, che tratta male chi considera inferiore e si fa ingolosire molto presto da chi sembra promettergli un futuro da star in leghe più prestigiose. (Fra parentesi, nel pilot questo “chi” è Wild Bill Hancock, interpretato da Chris Bauer di True Blood).
Mettendo per un attimo da parte l’entusiasmo di chi effettivamente ama il wrestling, che non mi compete, il motivo per cui il pilot di Heels ha convinto un po’ tutti è presto detto: in termini di “novità”, la serie non inventa poi moltissimo, visto che di saghe e faide familiari ne abbiamo viste fino a farcele uscire dagli occhi, ma se guardiamo invece la solidità dell’impianto narrativo e della costruzione dei personaggi, allora siamo vicini alla perfezione da manuale.
Qualche volta seguire per filo e per segno le regolette da scuola di sceneggiatura può rendere un prodotto scontato o stucchevole, ma non bisogna nemmeno dimenticare che quelle regole esistono per un motivo: nel delineare la tensione fra Jack ed Ace, nel dipingere l’ombra ingombrante del padre dei protagonisti, nel raccontare le difficoltà di una realtà di provincia anche e soprattutto quando arrivano i lustrini della grande città, la sceneggiatura di Michael Waldron non sbaglia neanche un colpo, e lo sviluppo della trama e degli interessi in gioco è così ben orchestrato, da darci l’impressione di aver visto un piccolo film, che termina con un cliffhanger abbastanza potente da sostenere tutto quello che dovrà essere l’architettura successiva.
Il pregio migliore di questo esordio, però, va forse cercato in qualcosa di più sfumato. Come detto, il mondo si divide abbastanza nettamente fra chi ama il wrestling e chi lo trova sostanzialmente ridicolo, con non troppe vie di mezzo. Un risultato “specifico” di Heels, al di là delle regole di sceneggiatura buone per quasi ogni storia, è quello di mostrarci il mondo del wrestling mantenendo un approccio realistico, da drama, ma riuscendo anche a far vedere il lavoro che c’è dietro, e che forse sfugge a chi, d’istinto, è infastidito dalla sua classica retorica trash: l’atletismo, l’allenamento, i budget, la gestione di luci, telecamere ed effetti speciali, il tentativo di creare un vero e proprio spettacolo (né più né meno, come detto, di una rappresentazione teatrale) che sappia coinvolgere il pubblico e fargli provare delle emozioni.
In questo senso, non credo che Heels punti a creare nuovi appassionati di wrestling, perché quello che racconta e come lo racconta attengono più alle normali strutture della serialità televisiva. Allo stesso tempo, nel mettere in scena una storia solida e coinvolgente in cui si entra con grande facilità, riesce a mostrare l’impegno, la passione, le difficoltà di una disciplina che molti di noi sono abituati a liquidare con fin troppa facilità.
Nel complesso, tutto riuscito. Resta solo da capire se reggerà sul lungo periodo. Non ci resta che attendere.
Perché seguire Heels: unisce con grande scioltezza un mondo particolare e poco battuto dalle serie tv, con una struttura solidissima e subito riconoscibile.
Perché mollare Heels: In termini di dinamiche e situazioni, e se escludiamo il wrestling in sé e per sé, non è una serie particolarmente originale.