The North Water: quelle miniserie dure e cattive che centrano il bersaglio di Diego Castelli
The North Water ci ha ricordato per molti versi la prima stagione di The Terror, e non può che essere una cosa buona
Era la primavera del 2018 quando il Villa, in due diversi articoli, rendeva omaggio alla prima stagione di The Terror, la serie di AMC che univa ambientazione storica e atmosfera horror per spararci nello stomaco un po’ di ore cupe, tese, malate e bellissime. La seconda stagione non riuscì a essere ugualmente ficcante, ma questo ora ci interessa meno.
Quello che ci importa è che oggi dobbiamo commentare un’altra serie che è ancora di AMC, anzi di AMC+ (benché in coproduzione con BBC Two), che è ancora tratta da un romanzo, e che è ancora ambientata su una nave che fa rotta nei mari del nord a metà dell’Ottocento.
In The North Water (che arriverà in autunno su TimVision) manca l’elemento soprannaturale presente in The Terror, ma se cercate le stesse sensazioni nella stessa ambientazione, siete nel posto giusto.
Il romanzo The North Water è stato pubblicato nel 2016 da Ian McGuire, autore e accademico inglese noto per la perizia con cui ricostruisce i periodi storici che tratta. In questo caso, la storia è soprattutto quella di due uomini: un medico dal passato oscuro che accetta un posto di chirurgo su una baleniera (Patrick Sumner, interpretato da Jack O’Connell), e un ramponiere violento e senza scrupoli (Henry Drax, che ha il volto a volte poco riconoscibile di Colin Farrell).
Come potete immaginare, questi due uomini molto diversi arriveranno non solo a scontrarsi (coinvolgendo e sconvolgendo i piccoli e grandi piani personali portati avanti dai personaggi secondari), ma anche a porre sul piatto domande filosofiche che probabilmente non brillano per originalità, ma che sono così importanti e decisive per l’umanità, da essere in qualche modo degli evergreen, che funzionano ora come funzionavano nelle storie antiche.
Se ricordate, anche in The Terror la componente soprannaturale era fondamentale per la trama, ma non ne rappresentava il vero cuore tematico, incarnato invece dalla reazione dei suoi protagonisti (lontani dalla civiltà, isolati, costretti a confrontarsi con i propri limiti e paure) a quelle avversità.
In questo senso, The North Water fa un’operazione simile, e la molla scatenante è sempre l’indole violenta e criminale di Drax, perché dall’altra parte c’è il medico che, se lo lasciassero stare, farebbe la sua gita in barca senza creare problemi a nessuno.
A essere centrale è il tema del Bene e del Male, ma non tanto in termini di scontro, quanto proprio di definizione. Cosa è bene e cosa è male? Quali riferimenti culturali, quali cornici antropologiche servono per definire una certa azione come malvagia o meno? E in che condizioni quella stessa azione smette di essere malvagia e diventa semplicemente neutra, un gesto compiuto per un fine sulla quale l’Universo non ha nulla da aggiungere?
A essere fondamentale, in questo discorso, è ancora una volta l’isolamento dei protagonisti. Quando tu hai un paese pieno di milioni di abitanti, quei milioni di abitanti comprendono il valore del vivere in una comunità, si danno delle regole e tendenzialmente le rispettano, e investono così tanto impegno ed energia nel rispetto di quelle regole, da considerarle giuste “a prescindere”, in termini quasi spirituali.
Se però tu da quei milioni di abitanti ne tiri fuori una ventina, li metti su una barca e li spedisci al Polo Nord, dove non c’è nessuno che li vede, nessuna autorità costituita, nessuna sovrastruttura, lì forse puoi vedere all’opera il vero nucleo dell’umanità, e non è detto che sia una vista piacevole.
Il personaggio di Drax serve proprio a questo: è un uomo che non ha introiettato le regole sociali, e che di norma le vive come costrizioni e le rispetta solo per non incorrere in sanzioni. Ma una volta lasciato libero di agire, fa letteralmente quello che vuole, riuscendo perfino a dare un inquadramento filosofico alle sue azioni: nel momento in cui una società non esiste, non esistono nemmeno le regole che si è data, perché quelle regole erano e restano arbitrarie.
Come si diceva, questo non è certamente un tema nuovo della narrativa. Pensate a quanti cattivi, nella storia del cinema, dei fumetti, della serialità televisiva, si vantano di agire fuori da un sistema di regole che semplicemente non riconoscono. Se considerate il genere western, per esempio, una porzione rilevantissima della sua attrattiva sta proprio qui, nell’idea di una “frontiera” oltre la quale le regole non esistono, e dove solitari sceriffi o innominati vagabondi abili con la pistola finiscono in faide sanguinose da cui possono uscire con le loro sole forze.
E se è vero che anche nel western, soprattutto in quello classico, i buoni e i cattivi esistono eccome, esistono anche molti esempi in cui i confini si fanno più sfumati e indecidibili. Ho letto di recente Meridiano di Sangue, di Cormac McCarthy, che di fatto scava proprio in questa inquietante ipotesi di un’umanità i cui valori sono finzioni e costruzioni puramente arbitrarie, che possono cadere e sfaldarsi da un momento all’altro, distrutti dall’istinto più limpido e spaventoso.
Ma se anche The North Water si inserisce in un dibattito assai antico e già molto battuto, ha comunque qualcosa da dire. La forza espressiva con cui esprime i suoi concetti è di primissimo livello, così come la sua capacità di mostrare il velo sottilissimo che, nell’artico, separa un uomo dal vivere in una comunità sicura e protetta, al ritrovarsi da solo in mezzo a un nulla freddo, vuoto e mortale.
Non è una serie dal ritmo incalzante, specie all’inizio, e si prende il suo tempo per costruire le sue atmosfere. Quando poi le ha costruite, però, la sensazione è quella di trovarsi dentro un grande affresco che, un po’ alla Moby Dick, usa balene e balenieri per raccontare l’umanità intera, spesso facendoci sentire con forza il peso fisico e claustrofobico di relazioni e comportamenti che ci appaiono sì “sbagliati”, ma anche paurosamente umani e comprensibili.
Anche la scelta di dare al medico protagonista un passato oscuro è azzeccata: ridurre la sfida fra lui e Drax a un duello fra un cavaliere bianco e un cavaliere nero avrebbe appiattito l’intera storia. Mostrarci invece un protagonista “buono” che in realtà sta fuggendo da un passato di colpa, e farlo finire in un mondo in cui ogni possibilità di vera redenzione è cancellata dall’idea che il concetto stesso di “colpa” sia molto più sfuggente e indefinito di quanto si pensi, crea un’atmosfera di costante precarietà, in cui l’essenza stessa del nostro essere umani viene questionata e sviscerata, lasciandoci senza certezze.
Per quanto mi riguarda, una delle migliori miniserie dell’anno, con l’avvertenza di non guardarla quando avete mangiato troppo o quando avete sonno: vi ripagherà solo se saprete darle tutta la vostra attenzione.
Perché seguire The North Water: una produzione di primissimo livello per una storia dal sapore antico che ci smuove dentro cose profonde.
Perché mollare The North Water: gli episodi sono lunghi, pesanti, spesso lenti. Se non si è pronti a spenderci un po’ di impegno, meglio lasciar stare.