Mare of Easttown – HBO: una grande serie, fino in fondo di Alessandro Molducci
Mare of Easttown è una serie con tanti livelli di lettura, diversa e con un’attrice che dimostra la propria grandezza
ATTENZIONE: SPOILER SULLA PRIMA STAGIONE DI MARE OF EASTTOWN
“Kate Winslet come Anna Magnani: non ritoccatemi pancia e rughe”.
Mi son detto “Ehi! C’entra con la Mare Of Easttown di cui sto per scrivere!”, per cui clicco e leggo.
“Kate Winslet si è battuta per mantenere una scena hot nella quale si vedeva (e bene) la sua pancetta”.
È un incipit tremendo, peggio di quello che sto scrivendo io, ma mi ha fatto considerare tre cose:
Primo, l’effetto di un’opera importante e complessa come Mare of Easttown, nel marasma mainstream, si traduce nella parola “pancetta”;
Secondo, la giornalista che pensa a “pancia e rughe” non pare accorgersene, ma la notizia grezza riflette l’intelligenza, la serietà e la dedizione con cui è stata realizzata questa serie (arte, signora mia, altro che body shaming);
Terzo, citare un mostro sacro come Anna Magnani lì per lì mi pareva fuori posto, ma, tralasciando il triste parallelo del titolo, in realtà non lo è, perché anche la Winslet è un’attrice della stra-madonna.
Et voilà, tante grazie per l’incipit, Elle.com!
Tornando a noi, che Mare Of Easttown (tradotta su Sky Atlantic come Omicidio a Easttown) fosse scritta, recitata e messa in scena da dio l’avevamo capito tutti sin dal primo episodio; quello che non potevamo sapere era che a fine visione ci avrebbe lasciato un messaggio attualissimo, in controtendenza e pacificatorio, tanto più sorprendente se si pensa che ci arriva da un “crime – drama – mistery” (tante grazie, IMDb). In effetti Mare of Easttown si presenta come un giallo/noir classicissimo: una ragazza viene uccisa nella più sfigata provincia americana, detective tribolatissima indaga, si attende che vengano fuori indicibili segreti che coinvolgono l’intera comunità. È un canovaccio rodatissimo dagli anni ’30 di Faulkner, solo che alla fine, sorpresa!, il segreto è decisamente circoscritto e nemmeno troppo indicibile. Seguendo l’indagine sull’omicidio di Erin, ci vengono date ragioni non tanto per sospettare, quanto per condannare preventivamente prima il tale, poi quell’altro, poi un altro ancora, almeno uno a episodio, e si riveleranno tutti innocenti.
Ci troviamo di fronte, insomma, a una lunga serie di twist decisamentre anomali: di solito i twist si basano su qualcosa che non abbiamo notato, quasi ci fanno sentire ingenui, mentre Mare of Easttown fa leva sull’opposto ovvero i nostri pregiudizi, facendoci sentire maliziosi, anche perché al giorno d’oggi lo siamo un po’ tutti. È mezzo secolo che la narrazione crime/mistery (e non solo) continua a dirci “sveglia! Il mondo è pieno di cattiveria! Non fidarti del primo che capita!” e in effetti 50 anni fa, dopo la sbronza di ottimismo e peace&love degli anni ’60, era un messaggio quasi necessario. Oggi però di ottimismo non ce n’è quasi più, la diffidenza regna sovrana e la capacità di empatia della gente è ridotta ai minimi storici, altrimenti non si spiegherebbe come tanta gente di tale Paese possa insultarne altra che rischia la vita pur di arrivarci, in quel Paese, o come si possa pensare che persone che si amano e vorrebbero essere trattate come una famiglia vengano tacciate di voler distruggere la famiglia.
Non viviamo più l’era dell’utopia, viviamo quella del complottismo, e Mare Of Easttown, voce fuori dal coro tanto quanto Ted Lasso, fa di tutto per riequilibrare le cose, per veicolarci un messaggio di perdono piuttosto che di paura. Prendiamo quelli che, in fondo, hanno innescato la tragedia su cui si indaga: lo zio della vittima e la vittima stessa. Lo zio che si porta a letto la nipote è un uomo senza spina dorsale, un meschino in preda a se stesso, ma non è il vero assassino. Nipote minorenne consenziente, pur non avendo ancora varcato l’età del consenso, ma incastrata in un circolo vizioso di noia e drammi famigliari. Intorno a loro, a Easttown c’è anche un maniaco, un mostro che segrega in cantina ragazzine rapite e schiavizzate e di lui non ci viene raccontato nulla, muore pochi minuti dopo essere stato scoperto e non ha niente a che fare con l’omicidio di Erin. A livello narrativo il suo ruolo è ricordarci che i veri mostri esistono mentre continuiamo a vederne dove in realtà non ce ne sono. È uno dei messaggi non allineati di Mare of Easttown: ricordarci che l’orrore c’è, sì, ma di solito non sta dietro l’angolo, non è in chi ti sta affianco e di certo non pervade un’intera cittadina.
[Digressione. Mia cugina ha tanti pregi a partire dal nome, Luna; è anche una ragazza intelligente e pragmatica eppure, tempo fa, dovendo trasferirsi in un nuovo appartamento ma non avendo abbastanza soldi per l’affitto, le chiesi “ma scusa cercare un co-affittuario?” e lei mi rispose “…e se poi la notte mi viene in camera e mi sgozza?”. Non “e se rutta, scoreggia e mi piscia fuori dal vaso?”, ma “e se mi sgozza?”, cioè un’eventualità minima quanto morire perché, chessò, ti sei fatta un vaccino o sei salita su un treno. Luna non teme gli immigrati ne’ gli omosessuali ma questa paura del coinquilino che ti sgozza proprio non sono riuscito a toglierlgliela perché non ha a che fare con la razionalità ma con la paura, quella stessa paura alimentata da anni di narrazioni sia nell’intrattenimento che nell’informazione che nella politica, le narrazioni contro cui si batte Mare Of Easttown.]
A tal proposito citavo prima Ted Lasso, serie dal tono diametralmente opposto, ma dall’etica simile: lì abbiamo una serie di personaggi che sulle prime ci verrebbe da stigmatizzare ma pian piano, conoscendoli, si rivelano come persone che meritano di esser trattate come tali piuttosto che come macchiette; qui ne abbiamo una serie su cui inizialmente ci viene da diffidare nel peggiore dei modi, ma che, alla fine, si rivelano molto più umane di quel che pensavamo. L’esempio più evidente è forse Dylan, l’ex-fidanzato di cui condanniamo le azioni fino al finale, in cui scopriamo che quel che voleva nascondere era solo la sua non-paternità sul figlio di Erin per poterlo tenerlo in famiglia. Sospettati di omicidio a parte, quasi tutti i personaggi di Mare of Easttown subiscono questo trattamento: dall’amante di Mare che pare un farfallone e invece si rivela un compagno a dir poco ideale, alla madre che bolleremmo come menefreghista beona e distante e che invece scopriamo essere lacerata dalla storia col marito e da come ha cresciuto Mare.
Ovviamente Mare Sheehan, il centro della serie, è l’esempio più fulgido di questa esortazione all’accettazione. Mare ci viene presentata, passatemi il termine, come una perfetta stronza: tratta talmente male chi la circonda da renderci impossibile empatizzare con lei. Dal circuire per secondi fini il collega sinceramente ammaliato di lei, all’accusare l’adorabile ex-marito di pedofilia fino al punto di non ritorno di mettere della droga nell’auto della nuora, il numero di meschinità che compie è secondo solo al numero di persone di cui sospetta. È rarissimo trovare un drama incentrato su un personaggio talmente respingente. Eppure, Mare of Easttown è anche una storia sull’elaborazione del lutto e il suicidio di un figlio è il peggiore che possa esistere. Più ci viene raccontata la storia che lo riguarda, più capiamo quanto Mare sia una madre distrutta dal dolore e dal senso di colpa, più capiamo perché eriga muri insormontabili con tutti e perché compia gesti irrazionali e disperati. Quando, nell’ultimissima scena della serie, Mare sale nella soffitta in cui si è impiccato il figlio, capiamo che ha accettato il proprio dolore e che noi abbiamo accettato lei. Del resto l’ha perdonata pure la sua migliore amica a cui lei ha intransigentemente fatto carcerare il figlio, come potremmo non perdonarla noi?
Il miracolo di Mare Of Eastown è riuscire a passare questi messaggi senza essere troppo pesante. Intanto c’è la parte investigativa, i suoi continui colpi di scena, le sequenze mozzafiato come quella nella casa del mostro sequestratore. Poi ci sono piccole sequenze leggere e buffe disseminate qua e là, come quella in cui l’ex ragazza della figlia trova questa a limonare con un’altra, la vecchietta che chiama la polizia per i motivi più futili (tra i quali, genialmente, rientra la soluzione del caso) e quasi tutte le sequenze in cui compare la madre di Mare, sottolineate addirittura da colonna sonora comica a base di xilofono. La mia preferita? “Goodnight Mare”, col sempre ottimo Evan Peters che si morde subito la lingua.
Infine, anche a livello sociale, troviamo tanta normalità rassicurante: minoranze come afroamericani e omosessuali sono trattati da tutti come chiunque altro, senza sottotrame di conflitto o discriminazione, che in una serie di questo tipo sarebbero suonate come sermoni woke. Infatti, un altro grandissimo pregio di questa serie è riuscire a raccontare istanze parecchio complesse senza essere mai didascalica, lasciando che il suo messaggio entri nei nostri cuori attraverso la sua storia e i suoi personaggi, senza che venga sbandierato nulla e quindi in maniera molto più efficace e pervasiva… insomma, un capolavoro di scrittura.
Di serie che abbiano più di un livello di lettura ce ne stanno, ma Mare Of Easttown ne ha talmente tanti che sicuramente ne ho tralasciato qualcuno. Non ho accennato, per dire, a quella che ritengo l’unica vera colpevole dell’omicidio di Erin, ovvero l’onnipresenza delle pistole negli USA, né mi sono soffermato sul fatto che non uno, ma ben due bambini sono al centro di disperate lotte per ottenerne l’adozione in una serie che, a ben guardare, è anche piena di amore, bisogno di amore e grandi gesti d’amore (uno su tutti è quello della madre “tossica” del nipote di Mare).