Panic – Prime Video: Una serie che non sta proprio in piedi di Marco Villa
Panic è una serie su una serie di sfide tra ragazzini del profondo Texas: una serie mal concepita, senza equilibrio e struttura
Fai una serie su Blue Whale senza dirmi che fai una serie su Blue Whale. Perché lo sappiamo che è un bufala, una di quelle robe che ci fa arrivare addosso uno shitstorm che metà basta… però se la pensi come plot di serie mica è male, ‘sta storia di ragazzini che fanno cose insensate e pericolosissime per puro spirito di sfida. Per quel mix di noia e incompiutezza (e noia ancora) che a volte tocca quell’età. Lo capite bene, la questione è ghiotta, perché di materiale narrativo ce n’è, ma c’è anche un cartello grosso così che dice “se tocchi muori”. E allora sai che c’è? Ci prendiamo un libro del 2014 che parla grosso modo della stessa cosa e andiamo dritti, beati e sereni. O almeno nel mondo dei sogni, perché nel mondo reale Panic è una serie che fatica davvero molto.
Disponibile dal 28 maggio su Prime Video, è tratta dal libro omonimo di Lauren Olivier, autrice young adult che firma anche le sceneggiature degli episodi, mentre la regia è tutta di Ry Russo-Young. La storia, in breve: siamo a Carp, un paesino del profondissimo Texas. Uno di quelli con la strada in mezzo e tre negozi intorno, dove tutti si conoscono e non ci sono prospettive per il futuro. In compenso, come recita il voice over che apre la serie, c’è un segreto: il segreto – che poi lo è fino a un certo punto – è che ogni anno i ragazzi che finiscono il liceo partecipano a un gioco chiamato Panic, fatto di prove al limite. Chi vince, vince un bel po’ di soldi e il sogno di andarsene da Carp e farsi una vita diversa. O almeno provarci.
Altrettanto in breve, i problemi di Panic: non ha mezze misure e non in senso positivo. Alla serie manca totalmente un equilibrio che possa rendere non dico verosimile, ma almeno comprensibile la motivazione che muove i personaggi. Le prove del gioco sono follia: non si parte piano per arrivare a qualcosa di rischioso, perché una delle prime è camminare su un’asse traballante posta a venti metri da terra. E l’anno prima due ragazzi sono morti in modi estremi stile attraversare la statale bendati e la roulette russa. La pesantezza di queste prove stride con il contesto da cui partiamo: non siamo negli Hunger Games, in cui la posta in palio è la sopravvivenza. Siamo in Texas, negli Stati Uniti: manca, insomma, il presupposto che tenga in piedi la storia. E non bastano le backstories dei vari personaggi, talmente flebili e già viste da non necessitare nemmeno di citazione.
Arriviamo quindi all’inizio, quel senso di Blue Whale a cui vuoi rifarti, ma non puoi: una serie del genere avrebbe dovuto avere l’onestà di dire che i suoi protagonisti partecipano a questo gioco senza alcun motivo, che non sia spezzare la noia e la monotonia. Ovvero senza un motivo in qualche modo nobilitante. Però torniamo a quel cartello “se tocchi muori” e il tutto si avvita su se stesso. Il risultato finale è una serie che è senza struttura di fondo e per questo non può e non potrà mai stare in piedi, affossata ancora di più da episodi infiniti (una cura stile The Wilds con durate brevi avrebbe almeno aiutato). Insomma, lasciate stare Panic. Non ne vale la pena.
Perché guardare Panic: perché tutto quello che è young adult vi cattura
Perché mollare Panic: perché non sta proprio in piedi