Them: su Prime Video l’horror imperfetto che centra comunque il bersaglio di Diego Castelli
Them è un horror che parla di razzismo, e che sacrifica tutto in nome di una precisa esperienza di visione
Ho voluto aspettare un po’ a scrivere di Them, perché volevo essere sicuro di vedere per bene tutta la prima stagione della serie. Il motivo è una divisione abbastanza netta nella critica e nel pubblico, che ha partorito giudizi anche opposti sul primo show creato da Little Marvin e prodotto fra gli altri da Lena Waithe, attrice, sceneggiatrice e produttrice che ben conosciamo per The Chi, Westworld, e soprattutto Master of None (dove peraltro sarà protagonista della terza stagione).
Trattando un tema di prima attualità ma sempre delicato come il razzismo, e vedendo che in alcuni casi Them aveva provocato reazioni al limite dell’indignazione, volevo guardarla tutta non per avere la “verità”, che tanto non ce l’ha nessuno, ma almeno per poter dire in piena coscienza “io la penso così”.
E penso che Them sia complessivamente un’ottima serie, ma che abbia bisogno di essere inquadrata.
Protagonista è la famiglia Emory, genitori e due figlie afroamericani che si trasferiscono in un ridente paesino a totale maggioranza bianca nella California dei primi anni Cinquanta. Papà Henry (Ashley Thomas) è un ingegnere reduce della Seconda Guerra Mondiale, che va a lavorare in una ditta di soli bianchi. Mamma Livia, detta “Lucky”, è casalinga e non troppo ottimista circa il trasferimento. E poi ci sono le figlie, l’adolescente Ruby Lee (Shahadi Wright Joseph) e la piccola Gracie (Melody Hurd), che vanno a scuola e sono ovviamente costrette ad andare in un istituto dove la pelle nera ce l’hanno solo loro. Ce ne sarebbe dovuto essere un quinto, il piccolo Chester, morto però in circostanze che vengono chiarite nel corso della stagione.
E l’ultimo protagonista è il vicinato in cui gli Emory si trovano a vivere. Capitanati da Betty (la Alison Pill di The Newsroom) i nuovi vicini di casa non vogliono gli Emory con loro, per il semplicissimo fatto che sono neri: ne hanno paura, soggezione, forse anche un po’ di schifo, e temono che le loro case perderanno valore se il quartiere smetterà di essere completamente bianco.
Them è un horror perché il razzismo che gli Emory si trovano a fronteggiare non è sottile e sussurrato, ma esplicitamente inquietante: dal giorno uno, Henry e Luck devono difendere la propria famiglia da un bullismo via via più esasperato, che punta a farli trascolare e che è sempre meno disposto a compromessi.
In aggiunta a questo, entra in gioco una componente soprannaturale che pare connaturata alla terra in cui i personaggi vivono, un mondo di ex schiavismo il cui veleno spirituale si trasforma in quattro diverse creature demoniache, ognuna delle quali accompagna un preciso membro della famiglia Emory trascinandolo verso un’esasperazione sempre maggiore, capace di condurre alla follia una famiglia già segnata dal lutto devastante (e anch’esso legato al razzismo), del piccolo Chester.
Sto volutamente cercando di evitare spoiler, che facciamo più sotto, ma qual è il nucleo più rilevante delle critiche rivolte a Them?
Per dirla in modo un po’ brutale, il problema starebbe nel fatto che Them esagera. Qualcuno, in riferimento ad alcune delle scene più truci, è arrivato a parlare di “black trauma porn”, e il concetto del porno torna in molte recensioni. L’insistenza con cui vengono messe in scena le angherie subite dagli Emory supererebbe un confine non scritto e non precisabile oltre il quale non c’è più la denuncia del razzismo, o un ragionamento su di esso, ma semplicemente una sua spettacolarizzazione cruda e potenzialmente controproducente, perfino seducente. In questo senso, a mancare sarebbe anche una qualche forma di ricomposizione e riflessione finale, in grado di dare una cornice filosofica al racconto, permettendoci di inquadrare in modo più razionale la violenza che abbiamo visto fino a quel momento.
Ed è qui che a mio giudizio si sbaglia clamorosamente nel giudicare una serie come Them, perché si cerca di ritrovare nello show ciò che noi avremmo voluto vederci, e non quello che c’è.
Them si pone un unico, preciso obiettivo: farci provare l’esperienza del razzismo. Ma non un’esperienza razionale, informativa, politica. Non un “i neri sono da decenni vittime di razzismo, ok?”, bensì una sensazione palpabile, emotiva, pre-cosciente. Che poi è ciò che provano e hanno provato generazioni di neri americani.
Quello che Them mette in scena è la totale impossibilità di una vita normale e tranquilla, in un ambiente che ti è perennemente e invincibilmente ostile.
Da questo punto di vista, non c’è mai speranza per gli Emory: sia nei momenti di maggiore terrore, sia in quelli in cui prevale un desiderio di rivincita, non c’è possibilità di redenzione del “fuori”, che sarà sempre malvagio e violento.
Gli Emory le provano un po’ tutte per integrarsi, e soprattutto per non dare fastidio a nessuno (un tentativo già di per sé sbilanciato, perché i bianchi non se ne devono preoccupare), ma questo non ha alcuna importanza, perché a essere odiata e rigettata è la loro stessa natura e identità. E quello che la serie fa – sfruttando perfettamente il meccanismo seriale che consente di prolungare in maniera scientifica una certa emozione oltre i normali confini dell’audiovisivo più classico (cioè cinematografico) – è rappresentare quell’odio in tutta la sua brutalità, che non sta tanto nel singolo atto di violenza, quanto nella sua oscura determinazione, e nella sua capacità di piegare la realtà percettiva al proprio volere: ecco allora che non esiste reazione degli Emory alle angherie bianche, che non sia vista come simbolo primo e non provocato della loro bestialità.
Them è effettivamente una serie disturbante. Una serie in cui il razzismo è continuo, esplicito, violento, minaccioso, quasi fumettistico nella divisione manichea fra neri buoni e bianchi cattivi. Ma l’errore da non fare è quello di scorgere in quella semplicità un messaggio altrettanto semplice o addirittura l’assenza di messaggio, sostituita dal solo piacere perverso della depravazione razzista.
Al contrario la violenza fisica ed emotiva subita dai protagonisti di Them è così insistita proprio affinché lo spettatore (e nello specifico lo spettatore bianco) sappia cosa si provi. Senta sulla sua pelle chiara e innocente il peso di un mondo che non ha mai conosciuto.
E attenzione, si tratta di emozioni che nascono da un contesto reale e concreto, ma che oltre una certa soglia perdono qualunque carattere razionale. Il fatto che tutti i bianchi siano cattivi può spingerci (magari punti un po’ sul vivo) e dire il classico “beh ma non erano tutti così”, che è un modo per riformulare l’equivalente “io non sono così”.
Questo però non è il punto di Them: il punto non è dire che tutti i bianchi sono cattivi e tutti i neri buoni. Il succo è costruire una rappresentazione del razzismo che consenta a chi non lo prova abitualmente sulla sua pelle di immedesimarsi in personaggi a cui non sembra di avere alcuna via d’uscita.
Quando vediamo i protagonisti della serie andare in tutto o in parte fuori di testa, sentiamo quasi fisicamente che la follia è potenzialmente l’unica reazione comprensibile di fronte a quel tipo di odio così universalmente strutturato e pervasivo, che magari sarà anche romanzato, ma che trasposto nella realtà (del passato ma non solo del passato) permette di vedere in una luce nuova certi scoppi d’ira o di violenza che normalmente non sapremmo leggere.
È qui dunque l’aspetto più esplicitamente politico di Them, quello che senza troppo sforzo potremmo associare alle rivolte di cui leggiamo sui giornali a cadenza sempre più ravvicinata dai tempi della morte di George Floyd. Cioè il tentativo di mostrare come una pressione costante (e incapace di percepirsi come tale) esercitata da una parte di società su un’altra, possa far letteralmente sbroccare.
In realtà però non si arriva nemmeno alla giustificazione della violenza. Ma di questo parliamo negli spoiler
DA QUI IN POI SPOILER SU TUTTA LA STAGIONE
In cima a tutto si è parlato di horror “imperfetto”. Perché di imperfezioni ce ne sono un tot.
Da un punto di vista strettamente formale, Them rimane quasi sempre un gioiellino. A volte la gioca sul semplice, per esempio usando a profusione il contrasto fra la colorata e solare provincia americana, e l’oscurità che contiene. Un concetto tutto sommato già visto, ma utilizzato comunque con perizia.
Altre volte lo fa con maggiore eleganza, con simbologie dalla messa in scena quasi teatrale. Penso per esempio al demone che sta attaccato al collo di Henry: parliamo di un uomo nero che “indossa” una black face alla maniera di spettacoli e cartoni animati della prima metà del Novecento, quella con occhi e labbra cerchiate di bianco sparato su un volto tutto nero. Questa creatura non fa altro che istigare Henry alla violenza, spiegandogli come il sangue sia una risposta appropriata alle angherie che subisce. Nell’ultimo episodio, però, scopriamo che sotto tutto quel nero (nero dipinto e nero delle pelle), c’è comunque un bianco: in quel momento, la scena va letta come l’interiorizzazione, da parte di Henry, delle accuse di bestialità da sempre mosse dai bianchi. Per buona parte della serie, l’odio dei bianchi verso i neri è un fantasma che attizza il fuoco della rabbia nella testa di Henry, per portarlo a comportarsi come loro credono che sia: un animale selvaggio.
Da questo punto di vista, la serie ha effettivamente una buona chiusura, nel momento in cui la famiglia Emory decide si smettere di combattere. Non sappiamo (né mai sapremo) come proseguirà la trama, visto che la serie è antologica e racconterà una nuova storia nella prossima annata. Ma sappiamo che il circolo della violenza viene potenzialmente spezzato quando una delle parti vi rinuncia, fossero anche le vittime.
Ma allora dobbiamo interpretarlo come un’esortazione verso i neri a smettere di combattere, esattamente come fino a un secondo prima pensavamo che tutta la serie fosse invece un invito a ribellarsi con la forza? La risposta naturalmente non è così semplice: Them mette in scena una dinamica psicologica complessa, vecchia di secoli, e sottolinea proprio la difficoltà di spezzarla, tanto che riesce a mostrare un passo in questa direzione, ma non è in grado di portarci a un “lieto fine” che non esiste nemmeno nella realtà.
Torna tutto insomma, anche se per arrivarci la serie ha preso un po’ troppe vie traverse. Accanto alla forza di molte scene (pensiamo alla morte del piccolo Chester, roba da non dormirci la notte), ci sono altre scelte che sembrano voler mettere un sacco di carne al fuoco. Per esempio, l’elemento soprannaturale togliere paradossalmente un po’ di forza al meccanismo di fondo: se la paura, la rabbia e il disagio degli Emory vengono “anche” da una forza satanica che si annida in cantina, i danni compiuti dai vicini perdono di rilevanza. O meglio, si avanza la possibilità che l’odio verso i neri sia suggerito e amplificato da creature non umane, quando invece sarebbe meglio concentrarsi sulla piena (dis)umanità del razzismo.
Lo stesso si può dire di un certo miscuglio di generi che rischia di togliere un po’ di spinta a ognuno: thriller, drama, rievocazione storica, horror, a tratti perfino tarantiniana, Them non riesce sempre a trovare una quadra, e sembra scontentare soprattutto i fan dell’horror puro, per i quali la serie finisce con l’essere un po’ né carne né pesce.
Sembra quasi che l’urgenza creativa ed espressiva alla base del progetto abbia esondato trascinandosi dietro troppe idee, anche a costo di lasciare alcune di esse non del tutto compiute.
Resta però il fatto che Them si poneva un obiettivo principale e preciso, quello di farci provare qualcosa di forte. Il che non è cosa scontata, nel marasma di input che riceviamo ogni giorno e che finiscono col diventare rumore di fondo.
Il bellissimo film Promising Young Woman, che ha gareggiato recentemente agli oscar, dopo la sua uscita fu criticato anche da certi movimenti femministi perché mette in scena violenze contro le donne che potrebbero recare danni a chi certi traumi li ha subiti davvero. Una preoccupazione probabilmente legittima, e di certo non posso mettere becco su ciò che prova una donna vittima di violenza. Esiste però il rischio di finire in un cinema (e in una serialità) anestetizzata, addolcita, lobotomizzata, che non lascia niente dietro di sé per paura di far male a qualcuno.
Fregandosene di questo rischio, Them esagera, esonda, spinge, provoca, inciampa, si rialza e corre di nuovo. E alla fine proviamo qualcosa. Può anche essere schifo, o indignazione. Oppure può essere il grimaldello che scardina un certo buonismo bianco che preferisce non usare mai, in nessun contesto e tanto meno in una serie tv, la parola “nigger”, giusto per sentirsi a posto con la coscienza, senza pensare che forse le forme più deleterie di razzismo stanno altrove. Di certo, però, non può essere apatia. E un’emozione così forte e così espressamente ricercata, che spinge a riflettere, commentare, scrivere, dibattere ed eventualmente perfino condannare, non può che essere un grande pregio.