Zero – Netflix: È un superpotere essere vulnerabili di Marco Villa
Zero affronta un tema cruciale come quello degli italiani di seconda generazione e lo fa con una storia di superpoteri, fresca ma vulnerabile
Un superpotere è qualcosa di strano da maneggiare: c’è il famoso discorso delle grandi responsabilità, c’è tutto il gruppone degli infallibili e poi c’è quello dei tormentati, che sono sempre di più, anche perché un superpotere può essere qualsiasi cosa. “È un superpotere essere vulnerabili”, canta il buon Vasco Brondi. E ha ragionissima. E allora ha senso partire da qui per parlare di Zero, la nuova produzione italiana di Netflix, disponibile sulla piattaforma dal 21 aprile, radicalmente diversa dalle altre produzioni italiane.
Al di là della trama, Zero è differente innanzitutto perché mette al centro del racconto i cosiddetti italiani di seconda generazione, ovvero i figli degli immigrati. I loro genitori sono arrivati in Italia da un altro paese, si sono stabiliti qui, hanno messo su famiglia e fatto dei figli. Che sono nati in Italia, ma non possono richiedere la cittadinanza italiana fino al compimento dei 18 anni. Una situazione assurda, quella che si cerca di sanare quando si parla del famoso ius soli, che assegna la cittadinanza in base a dove si è nati, senza aspettare il conseguimento della maggiore età. Sono andato fuori tema – per quanto questo sia uno dei temi più importanti del nostro paese, oggi, ma nemmeno troppo. Questa condizione sospesa, di perenne attesa, è quella che rende invisibili un numero crescente di italiani, ma che italiani ancora non sono per legge.
Non è un caso che proprio l’invisibilità sia il superpotere scelto per raccontare questa storia di supereroi-antieroi ambientata nel Barrio, in Barona, zona Sud di Milano con una gigantesca struttura ad astronave a fare da simbolo e da fulcro del quartiere. Al centro della storia c’è Omar (Giuseppe Dave Seke): fa il rider per una pizzeria e sogna di andare in Belgio per provare a sfondare come fumettista. Inseguito da un gruppo di ragazzi del suo quartiere, improvvisamente scopre di potersi rendere invisibile. In breve tempo, quelli che lo inseguivano diventano suoi amici e il superpotere diventa lo strumento per raddrizzare i torti subiti dal quartiere e da chi lo abita. Siamo abituati a leggere e vedere storie in cui lo sviluppo e la progressiva conoscenza dei propri superpoteri viene usata come metafora dell’adolescenza, basti pensare a Misfits. Zero prova a fare un doppio lavoro da questo punto di vista, perché c’è senz’altro la parabola di formazione, ma c’è anche quella identitaria in senso più stretto, legata a tutto il discorso fatto in precedenza.
Sulla carta tutto giusto, compresa la scelta degli autori: il cappello sul progetto lo mette Antonio Dikele DiStefano, che in questi anni si è destreggiato in vari ruoli e in vari mondi, mentre la scrittura vera e propria è di Menotti, che aveva già assaggiato questi temi con Lo chiamavano Jeeg Robot. Il passaggio dalle intenzioni alla realizzazione, però, si prende qualche inciampo: su tutta Zero aleggia un certo spirito naif, che a volte può essere un punto di forza, ma in questo caso rende tutto un po’ traballante. È sufficiente vedere qualche sequenza per accorgersi che qualcosa non torna: i dialoghi restano appesi alla scena, faticano a entrarci e a risultare sciolti, complici un cast non sempre all’altezza, che fatica a trovare un ritmo adeguato di botta e risposta.
Seguendo la serie, c’è sempre la sensazione che le battute arrivino con una frazione di secondo di ritardo, che detta così sembra poco, ma il risultato è che lo scorrere della serie è costantemente frenato. Manca scorrevolezza, insomma, un difetto che viene senz’altro compensato dalla durata delle puntate, che non va oltre i 30 minuti. Si recupera in freschezza, ma resta comunque la sensazione di essere davanti a un’incompiuta, che non è riuscita a trovare il proprio ritmo. Zero è una serie con un obiettivo chiaro, che viene raggiunto dal punto di vista del messaggio, ma non da quello del confezionamento. È una serie sincera, ma vulnerabile. È un superpotere anche quello, in fondo.
Perché guardare Zero: per il tema e il modo in cui lo affronta
Perché mollare Zero: perché è un’incompiuta