The Nevers – Su HBO e Sky Atlantic le eroine vittoriane create da Joss Whedon di Diego Castelli
The Nevers raccoglie spunti e schemi di tanto supereroismo e li aggiorna alle istanze del 2021. Ma basta o manca qualcosa?
The Nevers, la nuova serie di HBO in arrivo in Italia su Sky Atlantic il prossimo 19 aprile, vive un profondissimo paradosso fin dalla sua prima puntata.
Si tratta infatti di una serie molto femminile e molto femminista (lo vedremo meglio fra poco), creata da un autore che al femminismo seriale ha lasciato in eredità un capolavoro come Buffy, e che però nel recente passato è andato incontro a numerose accuse di comportamenti inappropriati e forme di bullismo sul set, spesso provenienti proprio da attrici che hanno lavorato con lui. Accuse che, con ogni probabilità e nonostante le smentite di rito, sono alla base dell’allontanamento di Whedon dalla stessa The Nevers, che doveva rappresentare il suo grande ritorno alla serialità televisiva dopo i fasti cinematografici di The Avengers e compagnia, e che ora invece è stata affidata alla showrunner inglese Philippa Goslett.
Ci troviamo dunque ad analizzare un pilot che è scritto e diretto da Joss Whedon, all’esordio di una serie creata da Whedon, ma che su HBO è stato seguito da uno speciale in cui venivano intervistati membri del cast e del team creativo, senza che Whedon venisse mai nemmeno nominato.
Per la serie “sì sì, ci crediamo che hai mollato la produzione perché avevi troppo da fare”.
A parte questo paradosso, che come sempre si accompagna allo stupore nel constatare la distanza fra quello che certi autori sanno creare su uno schermo (o su una pagina, ecc) e la quotidianità del loro rapporto con le altre persone reali, The Nevers è effettivamente una serie del nostro tempo, con diversi pro e contro tipici di questi casi.
La storia è quella di un gruppo di donne (non solo donne in realtà, ma soprattutto), abitanti nella Londra di fine Ottocento e “toccate” da un potere di misteriosa natura, che le ha dotate di straordinarie abilità.
In particolare, protagoniste sono Amalia True (Laura Donnelly), capace di vedere il futuro nella forma di brevi e inquietanti flash (ma è pure una che mena come un fabbro), e Penance Adair (Ann Skelly), sua migliore amica in grado di vedere a occhio nudo il flusso di certe energie tecnologiche che, nella pratica, la rendono un’inventrice di talento fantascientifico.
Insieme, Amalia e Penance gestiscono un orfanotrofio che in realtà è un rifugio per tutte le ragazze e i ragazzi che, scopertisi “Touched”, devono nascondersi da una società che li tratta come fenomeni da baraccone.
E proprio la società e in particolare la nobiltà londinese, la cui rigidità patriarcale è riassunta nella figura glaciale di Lord Massen (Pip Torrens), è uno dei principali avversari delle due protagoniste, che però devono vedersela anche con Maladie (Amy Manson), Touched come loro ma instabile e omicida (con l’aggiunta di un vistoso problema di igiene orale), il Beggar King (Nick Frost), capoccia criminale del posto, e altre figure poco raccomandabili.
In termini di puro supereroismo The Nevers ricorda moltissimo gli X-Men: ambientazione vittoriana a parte, parliamo sempre di giovani dotati di poteri, cacciati/discriminati/ammazzati da quelli che i poteri non ce li hanno, e salvati da anime pie che li accolgono in un luogo sicuro appositamente pensato per loro. Fra l’altro, la finanziatrice di Amalia e Penance (Lavinia Bidlow, interpretata da Olivia Williams), è in sedia a rotelle: ci mancava solo che avesse un cognome iniziante per X, ed eravamo a posto.
Ma se questo riferimento pare evidente, ancora di più lo è il fuoco dichiaratamente femminile e femminista: Amalia e Penance sono innanzitutto donne che lottano per sopravvivere e trovare un minimo di serenità in una società rigidamente maschile che non vede di buon occhio sto esercito di femmine dotate di poteri speciali. In questo senso, la metafora è praticamente letterale: a spaventare i maschi di The Nevers – nobili impettiti che vorrebbero vedere mogli e figlie relegate ai soli ruoli del cucire-cucinare-partorire-allevare – è l’empowerment delle donne, che solitamente intendiamo come una sempre maggiore coscienza e consapevolezza di sé, dei propri mezzi e delle capacità di influire sulla propria vita, e che qui assume il carattere iperbolico di una vera e propria acquisizione di poteri magico/soprannaturali.
La cornice metaforica è dunque chiarissima, ma la sceneggiatura non se ne accontenta, mettendo in campo anche una serie di linee di dialogo che rafforzano il concetto per non lasciare nessun dubbio, in quello che forse è l’elemento più forzato di tutto il pilot: che una serie si porti dietro un messaggio politico anche esplicito (e peraltro condivisibile) è solo legittimo, ma se diventa abbastanza esplicito da far intravedere le persone reali che l’hanno scritto dietro ai personaggi da cui dovrebbero essere nascosti, finisce inevitabilmente con l’essere un po’ posticcio. Per quanto, a onor del vero, il breve dialogo fra Amalia e Lord Massen a teatro, in cui si misurano i rapporti di forza e le diverse ideologie dei due personaggi, resta forse il momento migliore dell’intero episodio.
Sarebbe però ingeneroso sostenere che The Nevers si esaurisca nel suo messaggio politico e culturale. Come da tradizione whedoniana, infatti, il pilot è anche un grosso spettacolone in cui non si lesina in effetti speciali, scazzottane, battute di spirito, e uno sfoggio davvero corposo di mezzi visivi, dalla ricchezza delle scenografie a quella dei costumi, passando per il colpo d’occhio di tanti scorci della vecchia Londra ricostruita.
Poco da obiettare anche sul cast: Laura Donnelly è attrice di grande intensità e pienissima credibilità anche nelle scene più action, mentre Pip Torrens (che amiamo dai tempi di The Crown e Preacher) è un caratterista che non sbaglia mai un colpo, quasi ipnotico nella sua lenta e perennemente infastidita parlata inglese (in Preacher riusciva a trasmettere carisma anche con il cranio dichiaratamente a forma di glande, giusto per dire).
Paradossalmente (aridaje), quello che a questo pilot è mancata è una direzione più netta e precisa. Il principale difetto che mi sento di trovare a The Nevers in questo primissimo sguardo (senza contare che l’approccio in sé e per sé del supereroismo vittoriano può anche non piacere, ma è un altro discorso), è proprio il fatto che nella sua grande ricchezza di personaggi, storie, protagonisti e antagonisti, minacce, detective, pugni, poteri e grandi pesci trasparenti nel cielo (mancava solo che qualcuno si togliesse una maschera dicendo “so’ Lillo”), si finisce con l’essere un po’ frastornati, senza capire dove dobbiamo davvero investire le nostre emozioni.
Forse per l’ansia di costruire un esordio che toccasse tante corde diverse e lasciasse molti spunti, Whedon ha peccato di ingordigia, dimenticandosi che all’inizio di una serie tv ci bastano anche meno storie e meno personaggi, l’importante è che quello che c’è sia centrato, ficcante, interessante.
Il pilot di The Nevers è certamente gustoso e ricco, ma così articolato da rischiare la confusione, tanto che ora, per dare un giudizio definitivo, dovremo aspettare qualche puntata in più: riusciremo a capire dove spendere al meglio la nostra ansia spettatoriale, o finiremo col non capirci una bega di niente?
Ci risentiamo alla fine (e magari nei serial moments).
Perché seguire The Nevers: il pilot è sfarzoso, divertente, pieno di spunti.
Perché mollare The Nevers: gli spunti son pure troppi, si sente la mancanza di una direzione precisa.