Shameless finale di serie: il coraggio della coerenza di Diego Castelli
Shameless arriva alla sua (controversa) conclusione e non possiamo non mandare un ultimo saluto alla famiglia Gallagher
SPOILER SUL FINALE DI SERIE
Dove fallirono alcol e droghe, arrivò il Covid.
Questo è il verdetto – uno dei verdetti – del finale di serie di Shameless, in cui il mitico Frank Gallagher, dopo aver tentato e fallito il suicidio tramite overdose di eroina, finisce con il morire in ospedale per la malattia che da più di un anno tiene in scacco il pianeta.
Una decisione che il co-creatore della serie, John Wells, ha spiegato con la volontà di rimanere ancorati il più possibile a una realtà in cui la popolazione più povera è anche quella più esposta ai rischi sanitari ed economici della pandemia. Ma anche una decisione, quella della morte di Frank, che non era imprevedibile e che ha avuto una gestazione ben più lunga, legata alla consapevolezza che una vita come quella del patriarca Gallagher non poteva non avere alcuna conseguenza, sul lungo periodo, e che anzi sarebbe stato eticamente questionabile non mostrarla. Se non vi sembra abbastanza “senza vergogna”, bisogna pure ammettere che comunque, in Shameless, le azioni hanno sempre avuto le loro brave conseguenze.
Frank però non è l’unica vittima del Covid, almeno metaforicamente parlando. L’unico motivo di delusione vera, dopo questo finale, è l’assenza di Emmy Rossum, la cui Fiona torna solo come brevissimo flashback nella mente di Frank. È sempre John Wells, intervistato da diverse testate americane dopo la messa in onda dell’episodio, a spiegare che in realtà il ritorno di Fiona era previsto, e che la stessa attrice era d’accordo. Purtroppo, però, le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria, che fra le altre cose avrebbero costretto la Rossum a due settimane di quarantena al ritorno da Los Angeles (per lei che vive a New York col marito), hanno impedito di incastrare gli impegni di tutti, facendo saltare la comparsata.
(Anche se, va detto, qualcosina ci si poteva pure inventare, fosse solo una chiamata virtuale, tanto è vero che c’è chi sospetta che le cose non fossero così lisce come racconta Wells, ma non lo sapremo mai.)
Indubbiamente un peccato, per noi che aspettavamo un’ultima chiusura del cerchio, ma questa piccola delusione non ci ha impedito di apprezzare un finale che, da un certo punto di vista, di cerchi non ne chiude manco uno, con una scelta consapevole e parecchio coraggiosa che ha generato anche numerose critiche.
Sì perché uno dei tanti temi di questo finale è quello della vita che scorre e che va avanti no matter what, e in base a questo principio abbiamo avuto numerosi indizi circa il futuro dei nostri protagonisti – Debbie andrà in Texas? Ian e Mickey avranno dei figli? Carl comprerà il bar di Kevin e Veronica? Lip venderà effettivamente la casa e diventerà padre per la seconda volta? – senza però vedere effettivamente nemmeno una di queste conclusioni.
L’obiettivo, per me centrato benché certamente rischioso, era quello di darci la possibilità di immaginare il destino di questi personaggi senza imporcelo, sapendo che probabilmente, dopo undici stagioni, qualcosa ci possiamo immaginare anche in autonomia.
In altre stagioni di Shameless abbiamo avuto finali molto più forti, legati a cliffangher perentori, ma che si riferivano a storie che andavano chiuse per forza, mentre qui il senso è che quel tipo di urgenze non c’è più, e forse si può andare avanti con una vita quasi normale. Né serviva un finale alla Six Feet Under, perché ci piace pensare che da qualche parte esisterà sempre un South Side popolato dai nostri amatissimi Gallagher, e probabilmente non ci interessa davvero vederli altrove.
Dove però Wells e soci hanno deciso di andare completamente all in è proprio nella storia di Frank. Il personaggio interpretato dal gigantesco William H. Macy è da sempre il simbolo più riconoscibile della serie, nonché il portatore delle sue più controverse (e divertenti) istanze filosofiche: un uomo a cui non frega nulla di niente e di nessuno, tranne che della soddisfazione dei propri bisogni e desideri, e che proprio per questo ha contribuito alla nascita di una pletora di figli che – come dar loro torto – vivono il padre soprattutto come un fastidio.
Il percorso, in quest’ottica, è sempre stato coerente, ma qualcuno si sarà chiesto se poteva esserlo fino alla fine. Perché diciamoci la verità, quella verità che qualunque serialminder conosce da sempre: se una serie supera le dieci stagioni, tendenzialmente vuoi il lieto fine. Non solo, vuoi che i personaggi che sei stato spinto ad amare per un decennio trovino davvero un momento di (auto)riflessione in cui riconoscano il loro ruolo, e se uno di loro muore, magari uno a cui sei affezionatissimo, vorresti che gli altri fossero lì con lui, a spargere lacrime.
Un sentimento inevitabile, diretta conseguenza del tempo passato a guardare una certa storia.
Ma sarebbe stato un finale sensato, per Shameless? Potevamo cioè avere un commosso addio collettivo a Frank, lo stesso Frank che i figli hanno passato anni a cercare di dimenticare, trovandoselo sempre tra i piedi?
No, non potevamo. Per quanto mi riguarda (e da quello che leggo in giro sono anche in minoranza, visto che questo finale si è guadagnato un bel po’ di rimbrotti), il principale pregio dell’episodio è quello di non voler rinunciare alla coerenza, cercando un equilibrio che ci restituisca la commozione che meritiamo, senza per questo tradire la sua identità.
In questo senso, la morte di Frank è gestita in modo sorprendente, ma anche molto vero: il nostro muore da solo, in ospedale, senza che i figli sappiano dove sia e senza che gliene importi granché (tranne a Liam, il più piccolo, che con Frank aveva effettivamente un rapporto particolare e aveva patito meno di altri la sua totale inconsistenza come padre). Non solo, muore dopo aver lasciato un biglietto d’addio, non letto da nessuno e pasticciato dalla nipotina Franny, in cui il nostro non aveva parole d’amore quasi per nessuno, ma anzi coglieva l’occasione per manifestare ancora una volta il suo egoismo. In modo divertente, certo, e senza nessuna conseguenza reale, ma evitando qualunque esplicito buonismo.
Salendo al cielo con in mano la sua adorata birra (e questa ascesa verso l’alto, quindi verso il paradiso, è probabilmente la concessione più grossa che viene fatta al personaggio), Frank ci regala le classiche perle della sua saggezza, parlando di una vita vissuta al massimo, senza compromessi, e dell’importanza di non sprecare il tempo, che è sempre una risorsa limitata. Poi certo, il fatto che lui quel tempo l’abbia speso quasi sempre ubriaco/fatto e trascurando i figli, cosa che l’ha portato a morire da solo, è il definitivo paradosso: ascoltiamo un’esortazione che abbiamo già sentito in altri contesti e a cui abbiamo sempre dato un certo credito, sentendola però provenire dalle labbra di un uomo che a quel consiglio ha dato un senso tutto suo, e ben diverso da quello a cui siamo abituati. Un uomo che forse se n’è pure pentito un po’: se c’è poca tenerezza nella lettera d’addio, ce n’è però nelle visioni del passato che Frank sogna durante la sua breve convalescenza in ospedale.
Ma in fondo Shameless è anche questo, cioè l’osservazione di un mondo diverso, pazzo, ribaltato, popolato da freaks abituati a sovvertire ogni regola, guardando la realtà da prospettive per molti di noi incomprensibili, ma proprio per questo di grande fascino.
Una prospettiva che, però, non vive di puro individualismo (che possiamo attribuire solo a Frank, che di quell’individualismo paga le conseguenze). In realtà, Shameless ha sempre portato avanti un preciso discorso sulla famiglia e sull’amicizia, mostrandole come strumenti di sopravvivenza, ultime spiagge in cui trovare un senso a una vita altrimenti troppo complicata e insostenibile.
Shameless è sempre stata cinica e svergognata, ma non è mai stata una serie “cattiva”, popolata di personaggi “malvagi”. Casomai sono dei sopravvissuti, persone nate e cresciute in contesti così diversi da quelli di chi guarda, da essere state costrette ad adottare approcci all’esistenza che mostrano l’arbitrarietà di tante sovrastrutture che ci portiamo dietro ogni giorno. E nonostante questo, persone in grado di trovare conforto in quella che è probabilmente la base della nostra prosperità come specie, cioè la capacità di stare insieme e farci forza l’un l’altro.
È qui che troviamo i momenti più commoventi del finale, specie quelli in cui personaggi che credevano (temevano?) di essere soli e condannati, scoprono che non lo sono. Come Mickey, intimamente convinto di non poter essere un padre migliore del defunto Terry, e poi persuaso da Ian che invece no, ha ancora tutto il tempo e la capacità per spezzare una tradizione tossica e traumatica. Ma soprattutto come Lip, che parlando col fratello alla festa per l’anniversario di nozze fra Ian e Mickey, si sente riconoscere il suo ruolo di padre sostitutivo per la famiglia, lui che in quel momento non era più nemmeno sicuro di poter essere un buon padre nel senso stretto del termine.
Insomma, i Gallagher sono una famiglia vera, magari disfunzionale, stracciona e un po’ criminale, ma capace di trovare al proprio interno una forza che non può arrivare da nessun altra parte: non da genitori assenti quando non dannosi, e non da istituzioni che si dimenticano quotidianamente delle fasce più povere ed emarginate della propria popolazione.
E visto che noi di questa famiglia abbiamo fatto parte per undici stagioni, vedendo fisicamente crescere i suoi membri dai bambini/ragazzini che erano, agli uomini e donne che sono oggi, riusciamo a comprendere perfettamente, intimamente, il senso di quel finale in cui Frank sta salendo al cielo, mentre i suoi figli finiscono di festeggiare all’aperto, intonando “The Way We Get By” degli Spoon, mentre guardano un’auto bruciare per strada.
Perché per quanto le cose possano andarti male nella vita, fintanto che hai qualcuno con cui cantare mentre guardi la macchina di un riccone andare in fumo, beh, puoi comunque ritenerti abbastanza fortunato.
PS Un post-scriptum per la scena post-credit. Dopo la morte, il corpo di Frank viene messo a cremare in un forno, ma il quantitativo di alcol nel suo sangue lo trasforma in una bomba che fa saltare la porta della sua ultima tomba. Il corpo non si vede, come sparito, ma in compenso vediamo l’urna in cui avrebbero dovuto finire le sue ceneri, sulla quale non riusciamo a leggere bene l’anno di morte. Tutto questo andato in onda nel week end dopo Pasqua.
Un’ultima beffa, eh Frank?