The Serpent – Netflix: un crime in cui è tutto, tutto, tutto giusto. Tutto. di Marco Villa
Quella di The Serpent su Netflix è la vera storia di Charles Sobhraj, serial killer che negli anni ’70 prese di mira turisti occidentali in Thailandia
Tanti anni di serie tv e film sui serial killer ci hanno insegnato alcuni punti fermi: la montatura degli occhiali dell’assassino è sempre di un certo tipo, ovvero vintage e importante; la personalità del killer è super affascinante o super ripugnante, senza mezzi termini; se fai parte di una categoria abbandonata a se stessa, è più facile diventare una sua vittima. The Serpent è una miniserie in 8 puntate che conferma tutte queste regole non scritte, ma lo fa in modo sottilmente diverso dai racconti di questo tipo a cui siamo abituati.
Co-prodotta da BBC e Netflix e trasmessa dalla rete inglese a inizio anno, The Serpent è disponibile dal 2 aprile sulla piattaforma di streaming e dimostra da subito di essere un’ottima serie, molto solida e con un racconto estremamente efficace. La storia è quella di un serial killer che opera in Thailandia a metà degli anni ‘70: individua giovani turisti occidentali che stanno facendo il viaggio hippy della vita, diventa loro amico offrendo accoglienza e ospitalità e poi li deruba. Il problema è che li ha ospitati a casa sua, quindi non può certo permettersi di lasciarli liberi e felici, quindi finisce per ammazzarli, riuscendo così anche a rubare loro i passaporti e relative identità. Tutto questo è ispirato a una storia vera: il serial killer in questione è Charles Sobhraj, fascinoso trentenne interpretato da Tahar Rahim (protagonista dell’ottimo Un prophète e più recentemente nel cast di The Eddy di Chazelle), che è stato accusato di una dozzina di omicidi, con il concreto sospetto che possano essere stati molti di più.
Scritta da Richard Warlow (Ripper Street), The Serpent racconta il modus operandi di Charles (che nella serie è presentato con diversi nomi fittizi, il più ricorrente dei quali è Alain), basato sulla manipolazione di chi lo circonda: un’abilità che gli permette di attrarre nella propria rete turisti in buona fede, desiderosi di incontrare persone del posto per vivere un’esperienza, ma anche figure che diventano complici e che non riescono a staccarsi da lui, come la partner Monique (Jenna Coleman, protagonista in Doctor Who e soprattutto in Victoria) e i due tuttofare Ajay (Amesh Edireweera) e Dominique (Fabien Frankel). Come spesso accade quando si parla di serial killer, il fascino dell’antagonista è di gran lunga superiore a quello dell’eroe buono: pur essendo freddo e distante, Charles/Alain è magnetico e Rahim è eccezionale nel rendere questi due aspetti della sua personalità. Aiutato ovviamente da una montatura di occhiali che è vintage per questioni di ambientazione, ma comunque ha il suo perché in quanto a stile pret-a-tuer.
Dicevamo: il cattivo che attrae più del buono, ma il buono ci deve essere e in questo caso risponde al nome di Herman Knippenberg (Billy Howle, MotherFatherSon), funzionario dell’ambasciata olandese a Bangkok, che si mette sulle tracce di una coppia di giovani connazionali svanita nel nulla. Un’impresa non da poco, perché tutti sembrano volerlo ostacolare: non tanto perché hanno secondi fini, ma perché di una manciata di ragazzi “capelloni” non frega niente a nessuno, proprio come succede nella classica vicenda crime di un serial killer che sceglie come vittime delle prostitute.
The Serpent procede così su un doppio binario: da un lato tutti gli affari torbidi del serial killer, dall’altro l’indagine portata avanti da Herman e dalla moglie Angela (che in seguito, nella vita reale, diventerà una diplomatica di primo piano, con il suo nome da nubile Angela Kane e che qui è interpretata da Ellie Bamber). Questo doppio racconto viene giocato con un continuo avanti e indietro nel tempo, con due piani temporali principali: il presente in cui Herman compie la propria indagine e un passato prossimo che riavvolge il nastro di qualche mese e mostra le imprese del serial killer. Questo secondo piano temporale è quello che ci permette di avere tutti i dettagli sulla formazione criminale di Alain, compreso il modo in cui ha arruolato la sua “squadra”. Se il meccanismo del flashback è uno dei più abusati nella narrazione crime degli ultimi anni, il merito di The Serpent è di portarlo all’estremo: i salti temporali sono continui, al punto da disorientare a tratti lo spettatore, che trova nel volto e nello sguardo di Alain l’unica certezza. Una condizione molto vicina a quella in cui si trovarono le vittime del serial killer.
The Serpent è una serie che funziona sotto ogni punto di vista: il racconto è avvincente e ritmato, i personaggi ben scritti e sviluppati e l’ambientazione asiatica è a dir poco affascinante. Di più: proprio la tipologia di personaggi e ambientazione la rende un titolo a suo modo unico, pur all’interno di un genere ampiamente codificato come quello crime, sottogenere serial killer. Tutto al posto giusto.
Perché guardare The Serpent: perché è un crime che funziona sotto ogni aspetto
Perché mollare The Serpent: per l’uso (volutamente) eccessivo e straniante dei piani temporali