Invincible: su Prime Video i supereroi dal creatore di The Walking Dead di Diego Castelli
Invincible nasce come fumetto di Robert Kirkman, e ora diventa una serie animata per adulti
Immagina di vivere in un mondo pieno di supereroi e in cui tuo padre, un simil-Superman venuto da un altro pianeta, è il più forte di tutti. Hai passato l’infanzia e l’adolescenza a guardare le sue imprese e ad aspettare poteri che dicevano sarebbero presto comparsi, anche se qualche dubbio t’è venuto perché tua madre è umana e quindi chissà cosa potrebbero combinare i geni. Per fortuna a un certo punto sti benedetti poteri arrivano, ma il percorso è appena cominciato: bisogna imparare a usarli bene perché l’eredità di papà è molto pesante, le tue ambizioni pure, e nemmeno sai che c’è un destino assai beffardo ad attenderti.
Questo, in soldoni, il concept di Invincible, nuova serie animata di Amazon Prime Video creata da Robert Kirkman, già padre di The Walking Dead e autore dei fumetti da cui entrambe le serie sono tratte.
Una produzione che, fin dal pilot, ci costringe a divedere la recensione in due, perché un commento “vero” sui primi tre episodi rilasciati finora non può prescindere da alcuni importanti spoiler.
Commento senza spoiler
Beh, dai, mi è piaciuta.
Commento con spo…
No dai scherzavo, diciamoci qualcos’altro.
Senza aver letto il fumetto (e vedo in giro pareri di lettori e lettrici che si lamentano di un certo scadimento della qualità, su cui al momento non ho modo di esprimermi), mi viene spontaneo separare nettamente fra la resa visiva della serie e la sua scrittura.
In termini narrativi, Invincible funziona alla grande. Ha una storia che gira senza intoppi; un approccio al tema supereroistico che sa essere fresco pur senza voler essere a tutti i costi rivoluzionario; un ritmo sostenuto in cui succedono tante cose in poco tempo; e un’attenzione ai personaggi capace di calarli in un contesto emotivo particolarmente realistico, anche se la storia, in sé e per sé, di realistico non ha niente.
È insomma una serie che si segue con gusto, e che lascia la sensazione di stare vedendo qualcosa di diverso dal solito, perfino a partire dal formato: gli episodi di Invincible durano quasi 50 minuti, una scelta davvero inusuale per l’animazione televisiva (non mi arrischio a dire “caso unico” perché poi arriva sicuramente qualcuno che mi smentisce, ma davvero non ricordo altri esempi simili), ma che ha un senso preciso: non stiamo guardando la solita animazione coi supereroi, che di base grida “bambini” quasi in automatico, bensì un vero e proprio drama animato.
Sul fronte tecnico, invece, non c’è la stessa soddisfazione. Invincible ha un’immagine proprio anni Novanta e nel complesso lascia una discreta impressione di vecchiume. Ci sono momenti di integrazione con una tecnica 3D che riesce, qui e là, a dare una buona sensazione di profondità e a rendere alcune scene d’azione (in particolare certe sequenze di volo) abbastanza coinvolgenti, ma nel momento preciso in cui i personaggi si mettono semplicemente a parlare fra loro è difficile non storcere il naso di fronte a un’immagine che ci sembra semplicemente datata e scattosa.
Certo, una giustificazione possibile c’è anche in questo caso: Invincible è un’animazione dichiaratamente per adulti, quindi non si rivolge a ragazzi che guardano assiduamente le serie animate di oggi. In questo senso, accarezzare la nostalgia di spettatori e spettatrici già cresciuti, offrendogli però anche la possibilità di vedere le profonde differenze rispetto agli show che seguivano da bambini, ha comunque il suo senso.
Ma siccome non stiamo guardando un cortometraggio o una puntata speciale di uno show live action, bensì un’intera serie costruita in questo modo, la sensazione vintage potrebbe essere comunque troppo forte.
Il bilancio, però, rimane positivo. Il primo episodio è letteralmente “stupefacente”, nel senso proprio dello stupore, e lascia una voglia immediata di proseguire. Gli altri due, per quanto meno impattanti, permettono comunque di seguire una storia che ha un suo preciso spessore, e in cui l’anima action propria di un genere come questo non annacqua mai un approfondimento psicologico da cui, anzi, quell’azione è innervata e sostenuta.
Vale inoltre la pena di citare la ricchezza del cast, nel quale troviamo le voci di J.K. Simmons (il padre-supereroe), Sandra Oh (la madre), il recente candidato all’oscar Steven Yeun (interpreta il protagonista Mark Grayson, alias Invincible), e poi Gillian Jacobs, Zachary Quinto, Seth Rogen, Walton Goggins, e chi più ne ha più ne metta.
La cosa assolutamente buffa è che, delle serie iniziate nelle ultimissime settimane, Invincible è l’unica che mi fa venire proprio voglia di attendere l’episodio successivo, insieme a Generation. Buffo perché sono due serie completamente diverse, anche se forse non così tanto: al centro c’è comunque l’idea di un momento di passaggio, in cui chi è giovane deve capire cosa vuole diventare, magari accorgendosi che gli esempi a cui si è sempre ispirato non sono necessariamente così adatti come sembravano, e che il mondo esterno alla propria infanzia e adolescenza è molto più complicato del previsto, anche per chi è in grado di volare.
Commento con spoiler (sul serio questa volta)
Non si può recensire appieno un esordio come quello di Invincibile se non si analizza con un minimo di precisione quello che accade nel primo episodio.
Nel pilot, come accennato, vediamo il giovane Mark attendere la comparsa dei poteri che dovrebbero consentirgli di seguire le orme di suo padre, un forzuto signore brizzolato – conosciuto come il supereroe Omni-Man – che sa volare, resiste ai colpi più duri e sa menare con la forza di una palla da demolizione.
Ci viene raccontato che nel mondo ci sono molti supereroi, raccolti in vari gruppi, ma Omni-Man lavora per lo più da solo, al punto che, quando aiuta altri gruppi di cui non fa parte, ci fa quasi tenerezza, perché sembra un tipo in gamba che viene emarginato non si sa bene per quale motivo.
Per quasi tutto il pilot, Omni-Man ci appare come un uomo retto, un eroe potente, un padre premuroso, un marito devoto, un insegnante severo-ma-giusto per un figlio che va formato con precisione e magari anche con polso fermo, tutto per il suo bene. Un figlio a cui viene raccontato di essere l’ennesimo rappresentante di una stirpe di difensori dell’universo, che usano i loro poteri per proteggere i più deboli in tutto il cosmo.
Questo fino agli ultimi cinque minuti.
Al termine del primo episodio, infatti, Omni-Man raggiunge il gruppo di supereroi che fino a quel momento l’avevano snobbato e che parevano quasi co-protagonisti della serie, e li uccide tutti. TUTTI.
Non solo, li uccide con una violenza esplicita e sanguinolenta: crani che scoppiano sotto la stretta delle sue mani; bulbi oculari che sprizzano dalle orbite; pugni che trapassano torsi e facce; corpi sbattuti per terra con budella che escono dappertutto.
Un bagno di sangue da cui Omni-Man esce a sua volta acciaccato, ma senza che nessuno lo ritenga colpevole: semplicemente, pensano che sia l’unico sopravvissuto di un attacco misterioso. D’altronde come puoi pensare che un eroe con una carriera così limpida alle spalle possa essere anche un assassino così spietato?
Come potete immaginare, questo twist colpisce con forza lo spettatore aprendo tutta una serie di nuove domande: dopo di esso, Invincible non è più solo una serie di crescita, di supereroismo, di rapporti padre-figlio, ma anche una storia di inganno, di tradimento, di segreti e complotti, che aggiunge improvvisamente vari strati molto adulti e molto problematici a un racconto che fino a quel momento era sembrato certamente consapevole, ma non così diverso dalle serie che guardavamo da ragazzi.
E ci tengo a sottolineare l’ottima idea di messa in scena che sottende la costruzione di quel twist. Fino a quel momento, infatti, si era visto pochissimo sangue: i supereroi combattevano, tiravano cazzotti, usavano i poteri, ma lo facevano in un’atmosfera tutto sommato “da fascia protetta”, con poche ferite “vere” e tanti colori fumettosi.
Il twist finale, dunque, diventa sorprendente non solo dal punto di vista narrativo (quello che pareva il più buono di tutti si rivela il più cattivo di tutti), ma anche da quello visivo: improvvisamente, la serie si rivela molto diversa da come l’avevamo intesa fino a quel momento, come se avesse tirato fuori un lato oscuro imprevisto che, se stessimo facendo l’errore di guardarla con un bambino, ci costringerebbe a mettergli un cuscino davanti agli occhi cominciando a cantare una filastrocca.
In questo senso, nel primo episodio la scelta dell’immagine anni Novanta si rivela momentaneamente azzeccata proprio perché ci permette di vivere con grande forza il momento di passaggio fra la nostra infanzia di trenta-quarantenni abituati a vedere quel tipo di tratto in un’atmosfera da bollino verde, e una serie che invece ci sveglia bruscamente da quel sogno bucolico, mostrandoci la paura e il sangue della vera vita adulta. Un passaggio che, a voler ben vedere, è lo stesso che compie e compierà il protagonista, cresciuto all’ombra di un padre invincibile e ora costretto a vedere la realtà per quello che è.
Questa scelta stilistica paga moltissimo sul breve periodo, mentre sul lungo mi sembra meno azzeccata: passato questo momento di “crescita improvvisa”, quello che ci resta è comunque uno show che può sembrare vecchio, in termini di messa in scena, e su questo alla fin fine non si scappa.
L’intelligenza di quel twist, però, è sufficiente a darci uno slancio emotivo potentissimo che ci costringe ad attendere con ansia i prossimi episodi. Vedremo se tutta l’impalcatura reggerà il peso delle settimane, ma al momento io sto qui buono buono ad aspettare la prossima puntata.
Perché seguire Invincibile: per il taglio moderno dato al supereroismo e, più in generlae, per una storia che funziona alla grande.
Perché mollare Invincible: questo stile di animazione sa di vecchio. Scelta consapevole e motivata, ma sa comunque di vecchio.