The Falcon and The Winter Soldier – Il pilot poteva dare di più di Diego Castelli
Dopo WandaVision, The Falcon and The Winter Soldier prosegue l’avventura seriale di Marvel su Disney+, ma l’inizio è meh
Oggi devo fare una cosa a cui non sono abituato, e che di solito è territorio del Villa, ossia scrivere in tono deluso di un pilot che è piaciuto a un sacco di gente. Di solito al massimo è il contrario: parlo bene di cose che non sono piaciute a nessuno.
Eppure non posso esimermi da quella sincerità che fa parte del patto che io e voi abbiamo stipulato tacitamente ormai quasi undici anni fa, quindi prendiamo coraggio e andiamo dritti.
Il pilot di The Falcon and The Winter Soldier mi ha abbastanza deluso. A tratti anche parecchio. Il che non significa che la serie non possa rialzarsi (ne ha certamente gli strumenti), ma per ora attendo il secondo episodio con un certo sospetto.
Vediamo perché.
The Falcon and The Winter Soldier è la nuova serie targata Marvel, la seconda a essere prodotta e resa disponibile su Disney+ dopo il grande fermento provocato da WandaVision. Racconta dell’alleanza fra due personaggi molto legati alla figura di Captain America e che abbiamo già visto al cinema, cioè Sam Wilson (Falcon, interpretato da Anthony Mackie) e James Bucky Barnes (il Soldato d’Inverno, con la faccia di Sebastian Stan).
Le due serie, incastrate in un momento particolare del Marvel Cinematic Universe, in cui la pandemia rimescola le carte di film e serie e impone aggiornamenti in corsa, erano dichiaratamente diverse fin dall’inizio, con personaggi diversi che rispondevano a logiche differenti. Perfino i generi toccati erano e sono quasi agli antipodi, con Wanda Maximoff impegnata nel suo mondo di segreti, sitcom, poteri magici, romanticismo e squilibrio mentale, mentre i due amici di Captain America ci avevano promesso una sorta di buddy comedy dai toni più action e con probabili deviazioni nella spy story, che poi è una delle anime principali delle storie cinematografiche di Steve Rogers.
È giusto sottolineare questa differenza per almeno due motivi: il primo è evidenziare il lavoro che Disney e Marvel fanno ormai da anni e che sembrano voler potenziare, cioè una progressiva specificazione dei vari brand e supereroi, con l’idea di offrire un MCU (che ora non è solo “cinematic”, ma anche televisivo) che sia in grado di offrire spettacoli diversi a pubblici diversi, o anche solo pietanze differenti a spettatori affamati, ma che potrebbero stancarsi di mangiare sempre la stessa cosa.
E il secondo motivo, più concreto, per sottolineare la differenza fra le due serie, è l’impossibilità di paragonarle nello specifico dei loro contenuti e delle modalità di messa in scena, perché sarebbe un po’ ridicolo.
C’è però un’eccezione, in questo discorso, cioè un ambito in cui effettivamente un paragone è possibile: WandaVision è stata capace di stupirci. Nel guardare la serie sulla futura Scarlet Witch abbiamo provato sorprese genuine sia perché non sapevamo esattamente quello che stava succedendo, sia perché quello che vedevamo (in primis l’architettura citazionista delle sitcom) ci sembrava nuovo, diverso, una strada mai battuta dal MCU. Un crogiuolo di invenzioni e di idee che ci faceva venire voglia di sapere cosa si sarebbero inventati la volta successiva.
Questo è un parametro che si può usare anche per TFATWS (abbrevio così che sennò è una pena ogni volta): non possiamo aspettarci “lo stesso tipo di sorprese”, ma di rimanere stupefatti sì. Da altre cose, evidentemente, dalla ricchezza e spettacolarità delle scene d’azione, dall’efficacia delle battute di spirito, dall’epica guerresca, dalla sensazione di stare seguendo una storia appassionante, più articolata e più piena rispetto a quella dei film.
Ed è proprio qui che sento mancare qualcosa di importante.
Il pilot di TFATWS inizia effettivamente con una scena d’azione che sembra voler dire “sì, abbiamo speso 150 milioni di dollari per questa miniserie”. Falcon, un uomo equipaggiato con un’armatura alata che gli consente di volare, è impegnato in una missione per salvare un soldato americano prigioniero, e finisce con scontrarsi con Georges Batroc (Georges St-Pierre), mercenario che avevamo già visto nei film con Cap (i riferimenti ai fumetti e agli altri film del MCU si sprecano in questo episodio, il che è una buona cosa per molti spettatori, ma non è questa la sede per elencarli tutti). Assistiamo quindi a una lunga sequenza d’azione in cui il nostro vola, picchia, si catapulta, usa aggeggi sofisticati come il fido compagno Redwing, porta a termine la missione e schiva la morte quante più volte possibile. Tutto bello e tutto gagliardo, magari giusto con una precisazione: se sospetti di essere inseguito da Falcon, fuggire con una tuta alare non è esattamente la mossa più intelligente del mondo. Quando ho visto i cattivi che la indossavano, mentre Falcon faceva a cazzotti in un angolo dell’aereo, ho pensato “questi si trovano di fronte uno con la mitragliatrice e vogliono combatterlo con il Liquidator”.
Fin qui tutto come ci si aspettava, nel senso buono del termine. Poi però inizia la seconda e molto più lunga parte dell’episodio, che in maniera abbastanza inaspettata diventa un drama in cui praticamente non c’è più manco una scena d’azione degna di questo nome, in cui Sam Wilson e Bucky Barnes nemmeno si incontrano, e in cui la volontà di costruire una solida backstory si tramuta in mezz’ora di dialoghi abbastanza ordinari e senza un guizzo che sia uno.
Intendiamoci subito su una cosa: parlando di WandaVision, sia qui sul sito sia in formato podcast, ci siamo detti più volte come la volontà di dare un maggiore approfondimento psicologico ai personaggi (soprattutto quelli minori) dell’Universo Marvel era insieme obiettivo e opportunità della forma seriale, che consente di lavorare con più calma sulle storie e sulle personalità.
E in effetti il pilot di TFATWS si muove in questa direzione: da una parte ci mostra la nuova vita di Sam, tornato alla vita dopo il blip, desideroso di portare avanti l’eredità di Steve Rogers (ma senza portarne lo scudo), e determinato ad aiutare la sorella in difficoltà economiche; dall’altra parte ci racconta di un Bucky Barnes non più Soldato d’Inverno, impegnato a ritrovare una minima serenità mentale anche attraverso la psicoterapia, piazzato in una vita anonima in cui ha per unico amico un asiatico anzianotto di cui probabilmente ha ucciso il figlio in una missione passata (uno dei momenti riusciti dell’episodio).
Il problema è che è un po’ troppo, e non tutto interessante. Che si voglia approfondire un po’ la psicologia e la storia dei personaggi è più che legittimo, ma a voi davvero è fregato qualcosa della sorella di Sam e della barca della sua famiglia? Ma soprattutto, non vi sembra completamente forzato il fatto che questi problemi economici esistano, con le banche che non gli fanno il prestito perché non offrono garanzie, quando Sam potrebbe letteralmente tirare su il telefono, chiamare Pepper Potts e dirle “scusa, io avrei rischiato la vita per salvare l’universo, per piacere mi dai lo 0,0000001% dei soldi di Tony Stark, così sistemo la mia famiglia per sempre?”
Un po’ meglio la storia di Bucky, che almeno piazza qualche momento divertente (la barista con cui uscirà pensa che lui faccia una battuta dicendo di avere 106 anni), e sembra coltivare una tensione interessante fra il suo passato violento, i suoi incubi ricorrenti, e un presente anonimo che sappiamo non lo rimarrà. Ma comunque niente di memorabile.
Non è che manchino le scene con un loro perché: penso soprattutto alla piccola gitarella di Sam nel museo dedicato a Steve Rogers, in compagnia di James Rhodey Rhoades (che presto sarà protagonista della serie Armor Wars). Al di là del citazionismo cine-fumettistico molto spinto, non privo di una sua epica nostalgica, si percepisce il contrasto fra la volontà di rispettare l’icona di Captain America unita a un certo disagio per aver effettivamente rifiutato lo scudo. Un imbarazzo che poi risuonerà molto potente nell’ultima scena, quando il governo mostra di aver consegnato la vibranica reliquia a un nuovo Captain America, quel John Walker che, pagine di carta alla mano, già sappiamo non sarà un buon rincalzo per Steve Rogers.
A queste scene riuscite (tre, massimo quattro) se ne uniscono però altre che lasciano poco, o che sanno di già visto. Tutte le sequenze in cui compare Torres, l’amico di Sam, sono assolutamente robetta: i loro dialoghi, la suspense praticamente inesistente, l’attacco dell’organizzazione terroristica Flag Smasher (anche questa una derivazione fumettistica, anche se là si trattava di un singolo individuo), in cui vediamo un po’ di cattivi con una maschera da orco di Saruman, che picchia della gente nell’unico (e banalissimo) momento action oltre alla scena d’apertura.
L’impressione, insomma, è quella di un episodio che pur ponendosi degli obiettivi precisi e proseguendo coerentemente un certo tipo di discorso, si dimentica di farci rimanere a bocca aperta. Il fatto che manchi una scena d’azione smaccamascella a fine episodio è deludente. Il fatto che i due protagonisti ancora non si siano incontrati (in una miniserie di soli sei episodi) mi sembra un’occasione sprecata. La mancanza (conseguenza della scelta precedente) di un po’ di sano divertimento e cazzeggio, che pure ci sono stati promessi nei trailer, è un altro elemento che lascia con l’amaro in bocca, tanto più che l’eccesso di normalissimo drama si concentra non sulla depressione di una supereroina a cui sono morte TUTTE le persone care, e che per questo se le inventa con la magia (tanto per dare il senso delle proporzioni), bensì su una sorella che forse ha bisogno di vendere una barca e che c’ha il fratello super eroe che non vuole usare i suoi molti contatti altolocati per farsi dare una mano. E anche sul fronte spy story, cos’è che abbiamo visto, a conti fatti? L’arrivo di nuovi cattivi, vestiti con maschere ben poco minacciose, che mostrano di essere forzuti. Wow, davvero una cosa mai vista.
Che The Falcon and The Winter Soldier fosse una serie destinata a inserirsi in modo più tradizionale nel racconto supereroistico Marvel, era cosa che già sapevamo e accettavamo. Ma quel racconto è sempre stato fresco, rapido, brillante, di grande impatto visivo: sacrificare troppo queste componenti in nome di un (pur necessario) approfondimento psicologico è un errore che fa terminare il primo episodio senza che ci sia alcun vero entusiasmo, alcuna voglia spasmodica di vedere la seconda puntata.
Pensate invece alla capacità di WandaVision di appassionare anche persone che non avevano mai visto un solo film Marvel: questo si deve al numero di invenzioni e di idee messe in campo, e a una costruzione della tensione che prescindeva da qualunque altra conoscenza. Con Sam & Bucky, invece, chi non conosce il pregresso non può appassionarsi sul serio, perché nell’episodio in sé e per sé c’è davvero poco che sia capace di costruire una tensione convincente.
Detto questo, e pur sapendo che ci sarà invece chi ha finito la puntata con addosso un entusiasmo fotonico (anche se non riesco a capire come sia possibile), i margini per migliorare ci sono, e sono ampi: abbiamo visto un episodio dichiaratamente preparatorio, troppo preparatorio, ma la speranza è che ora arrivi ciò che si stava preparando, cioè più azione, più divertimento, più emozione, e ovviamente una proficua interazione fra i due protagonisti, che per ora hanno vissuto storie parallele. Se andasse così, mi rimarrebbe comunque il fastidio di un pilot sprecato, ma gli altri cinque potrebbero agilmente compensare.
Ci sentiamo alla fine.
Perché seguire The Falcon and The Winter Soldier: che fai, guardi tutti i film e le serie Marvel, tranne questa?
Perché mollare The Falcon and The Winter Soldier: l’impatto (emotivo e spettacolare) del primo episodio è stato inferiore alle attese.