Consigli per recuperone: Search Party di Alessandro Molducci
Search Party è una di quelle serie dal genere indefinibile che possono schifare il 90% della gente, ma se sei nel 10% a cui piace poi l’adori
Search Party è la serie che ha mandato giù di testa la critica meno fantasiosa (cioè una sua buona fetta): abituata a suddividere tutto secondo parametri quali comedy, drama, thriller, mistery, eccetera fino a coniare termini di dubbio gusto come “dramedy”, di fronte a un prodotto come Search Party la cosa migliore che ha saputo fare è stato… incensarla. “Per fortuna!” dico io, visto che me la sto vedendo per questo motivo e con grandissima soddisfazione. A me preme solo che magari le diate una chance, perché è uno show eccezionale ma di cui si parla davvero troppo poco.
Creata da Sarah-Violet Bliss, Charles Rogers e Michael Showalter, alla quinta stagione su HBO Max, con solo la prima arrivata per ora in Italia su Vodafone TV (ma occhio: la prima è praticamente auto-conclusiva), Search Party è la classica serie di culto, cioè conosciuta da pochi che però se ne sono perdutamente innamorati. Credo che il motivo (del fatto che la conoscano in pochi) stia nel come la serie è stata presentata da chi di dovere, ovvero come una dark-comedy sui millennials, e guardate, sono il primo ad aver aspettato anni per provarla proprio a causa di questa descrizione infausta e fuorviante. Sia chiaro, i suoi protagonisti sono effettivamente dei millennials e l’intero show è pervaso da un nichilismo non da poco, ma il suo racconto è universale e pieno d’amore per i propri personaggi: come nelle migliori sit-com (anche se non è una sit-com) sono loro la vera attrazione e descriverveli è forse la maniera più efficace per incuriosirvi.
Abbiamo Dory, la protagonista, una splendida Alia Shawkat, la Maeby di Arrested Development, mostruosamente in parte: appena laureata, si guadagna da vivere come personal-shopper/quasi-badante di una miliardaria completamente fuori dal mondo e fuori di testa. Si sente inutile, non sa che fare della propria vita e tantomeno darle un senso, e per questo prende decisioni a caso, tipo mettersi in testa di ritrovare questa sua ex compagna di scuola da poco scomparsa e di cui mai le era fregato niente. Una scelta che mette in moto le vicende (e il titolo) di Search Party che, tra le altre cose, è un giallo-mistery di tutto rispetto, congegnato al millimetro e con un finale che, vi assicuro, lascia di stucco. E se già state storcendo il naso per un carattere del genere, vi do subito un twist: Dory è il personaggio più positivo della serie, perché chi l’accompagna in questa storia sono tre finte-amiche da antologia.
C’è Portia (un’altrettanto splendida Meredith Hagner), ricca e viziata, calcolatrice finto-svampita, che bianca come il latte sta raggiungendo il successo in una serie poliziesca in cui interpreta una detective latina (!). Nel frattempo, per raccontarsi che si sostiene da sé (non è vero) arrotonda nel mercato del quasi-sesso, il più assurdo di cui io abbia memoria e uno dei tanti elementi comici di Search Party. Nuovo twist: è il personaggio più normale e centrato dei quattro.
C’è poi Elliot (John Early), millantatore gay di classe AAA+++, completamente perso nel racconto falso di se stesso, al limite della mitomania, scopo il successo personale non-importa-come. Altro personaggio tragicamente comico, stavolta nella sezione “ti guardo e mi vergogno io per te”, già con lui il pubblico inizia seriamente a chiedersi che cavolo stia guardando e perché mai dovrebbe empatizzare con un soggetto del genere. Altro twist: alla fine della prima stagione, se avete qualche pelo sullo stomaco, gli vorrete addirittura bene.
Infine c’è Drew (John Reynolds), il fidanzato di Dory e probabilmente il personaggio più meschino e sfigato che abbiate mai visto in video. Ridere di lui è davvero difficile, qui l’imbarazzo si trasforma in ribrezzo e con lui, volendo, entriamo nella parte più dark di tutta la serie. Poi sì, fa anche sghignazzare, ma su un sottofondo di vero disagio, perchè tra le mille schifezze che fa se ne trova almeno una che magari una volta è balenata nella mente pure a noi come possibile soluzione a un problema. Noi ci vergogniamo di averla anche solo pensata, quella soluzione. Lui, beh, la mette in atto.
Lo so, sono vago, ma Drew è uno di quei personaggioni che meriterebbero un articolo a se stante, una finestra sui nostri impulsi più sporchi difficile da riassumere. Vi racconto giusto la seconda scena in cui compare e in cui spero non si identificherà nessuno: camera da notte, Drew e Dory sdraiati sul letto, lui si masturba con lei sconsolata accanto. Prima di venire le salta addosso, copula due secondi due e viene. Tutto contento, si rigira nella sua parte di letto e le dice qualcosa tipo “che bello fare l’amore con te”. Ultimo twist: questo è di gran lunga tra i gesti meno riprovevoli che compirà all’interno della serie. È una scena messa subito lì al quinto minuto, giusto per introdurre il personaggio. Ed è il motivo per cui è tanto difficile spiegare Search Party.
A sto punto tu, povero pubblico assalito da tanta meschinità, stai per mollare l’osso… ma i dialoghi sono scritti da Dio, le sorprese narrative una dietro l’altra, la parte mistery efficacissima, lo humor mooolto dark e british ma innegabile, e gli attori tutti encomiabilmente in parte -sì, encomio, perché come ci insegna il Joffrey di GoT il rischio che la tua carriera da attore sia rovinata da un singolo ruolo è davvero dietro l’angolo.
Forse per questo motivo mi dimenticavo Julian, l’ex di Dory. Sempre sullo sfondo, quasi il coro di una tragedia greca, Julian è una bellissima persona, la vorremmo tutti come amico e infatti ha lasciato la protagonista. Search Party non dice mai “la gente in generale fa schifo”, piuttosto si concentra sul perché siamo tutti in grado di far schifo. E Julian se ne sta lì, sullo sfondo, a ricordarci perché abbia senso seguire questa serie e quanto possiamo essere belli, volendolo; a ricordarci che non si sta parlando di pessime persone, ma di pessime scelte (a parte Drew).
Molti hanno visto Search Party come la gemella perversa di Girls, con quello stile indie e coi millennials nell’accezione “giovani newyorkesi benestanti con velleità intellettuali”. Ma, a differenza di Girls, qui non si raccontano i millennials, anzi vengono usati come paradigma della futilità giovanile, scaricandoci sopra una sceneggiatura cattivissima e spietata che, invece che sulla vostra empatia, fa leva sul vostro sadismo, e se non avete sadismo nel vostro cuoricino Search Party ve lo farà nascere.
Ma, per tornare al buon Joffrey, chi non l’avrebbe voluto vedere morire male? Il vero miracolo di questo racconto, il suo equilibrio da capogiro, è che rimane sempre molto umano, senza pregiudizi e soprattutto divertente. Non vi sentirete brutti a seguirlo, anzi, forse a un certo punto vi sentirete più saggi.
Insomma, Search Party è una serie con coraggio da vendere, una fantasia straripante e addirittura un messaggio etico molto importante su cui riflettere: non posso rivelarvelo perché sarebbe un grossissimo spoiler, ma c’è, e quando descrivere l’anima di un racconto è uno spoiler state sicuri che state per conoscere qualcosa di molto molto intelligente e che lascia il segno.
Search Party è una di quelle storie che rimangono a lungo in testa perché raccontano qualcosa di nuovo ma allo stesso tempo familiare e moralmente utile, col surplus di personaggi talmente efficaci che, da iniziale miniserie, si è trasformata con ottimi risultati in un piccolo successo arrivato alla quinta stagione. E lo so che avrò scritto dieci volte “millennials” ma vi prego, non fateci caso, non fate come me che, in quanto a pregiudizi, sono un pessimo esempio.