Firefly Lane: Katherin Heigl e Sarah Chalke nel This Is Us di Netflix (più o meno) di Diego Castelli
Firefly Lane (o, per l’Italia, L’estate in cui imparammo a volare) è un drama tutto votato all’amicizia femminile. E allo zucchero
Che in questi anni di produzioni originali Netflix abbia sviluppato una certa bulimia produttiva è sotto gli occhi di tutti, tanto che la questione è già stata oggetto di varie mini-parodie.
Se volessimo dirla nei termini scocciati dei suoi fan iniziali, Netflix “ormai produce solo roba mediocre”.
Se volessimo inquadrarla in una cornice più professionale e strategica, dovremmo dire che Netflix ha abbracciato una vocazione pienamente generalista (proprio la piattaforma di streaming dedita al binge watching, cioè l’opposto di quel tipo di visione) che potremmo riassumere in maniera molto semplice e poco poetica in un netto: “noi vogliamo avere mille miliardi di abbonati, e quindi produciamo le cose che piacciono al maggior numero possibile di persone”.
Una strategia pienamente legittima dal punto di vista commerciale (e decisamente vincente, se pensiamo ai risultati di serie come The Queen’s Gambit, Lupin o Bridgerton), che ovviamente ha come rovescio della medaglia l’insoddisfazione di chi su Netflix continua a cercare le House of Cards della situazione, sapendo che sì, ci sono ancora e probabilmente sempre ci saranno, ma bisogna cercarle con più attenzione perché sono infilate in un marasma di serie “per tutti”.
Ed è proprio in questo contesto di produttività ampia, variegata, spesso nazionalpopolare, che mi immagino le tappe della produzione di Firefly Lane, debuttata lo scorso 3 febbraio con una prima stagione di dieci episodi. Mi immagino la sua creatrice e produttrice, Maggie Friedman (che aveva già lavorato a serie abbastanza zuccherose come Witches of East End di Lifetime), andare da Netflix e dire “oh, ma lo sapete che This Is Us va un casino, e voi non avete una serie come This Is Us?”. E Netflix che subito risponde: “Ma sai che c’hai ragione? Dai, faccene una subito”.
Lo spunto arriva da un libro omonimo del 2008, scritto da Kristin Hannah, il cui titolo italiano purtroppo è diventato anche il titolo italiano della serie, che da “Firefly Lane” (la cui traduzione letterale, “la strada delle lucciole”, sarebbe pure carina) si è tramutato in “L’estate in cui imparammo a volare” (ma perché????).
E perché mai Firefly Lane dovrebbe essere considerata la This Is Us di Netflix?
Beh, presto detto. Protagoniste sono due donne (interpretate da star seriali del calibro di Katherine Heigl, ex Izie di Grey’s Anatomy, e Sarah Chalke, mitica Elliot di Scrubs) e un’amicizia che, fra alti e bassi, prosegue da decenni, partendo dall’adolescenza negli anni Settanta, passando per l’università e i primi anni lavorativi negli anni Ottanta, e arriva nel 2003. Tully (Heigl) è diventata una giornalista televisiva molto conosciuta, che conduce un programma pomeridiano un po’ gossipparo e melenso di grande successo (diciamo Barbara D’Urso, più o meno), e Kate (Chalke) è una madre casalinga prossima al divorzio, che prova a tornare nel mondo del giornalismo che aveva lasciato proprio per dedicarsi alla famiglia (il marito da cui sta divorziando, a suo tempo, era il capo suo e di Tully).
Tutti questi step della vita delle due protagoniste sono raccontati espressamente in una serie che, quindi, continua a saltare da un’epoca all’altra, ricostruendo le tappe, le sfumature e le continue evoluzioni di un’amicizia fra due persone diversissime, ma fatte per stare sempre vicine. Ed è proprio qui, in una forma di racconto cronologicamente spezzettata, i cui frammenti vengono costantemente uniti da raccordi tematici e visivi, che troviamo la somiglianza abbastanza smaccata con This Is Us. Insomma, è proprio quella cosa lì.
Ma il risultato? Cioè, ammettendo che non potrebbe mai essere sorprendente come lo fu la prima stagione di This Is Us, riesce però a essere ugualmente efficace?
Ecco, qui vale la pena di dire una cosa che lì per lì mi ha spiazzato: ho trovato i primi tre minuti di Firefly Lane di una bruttezza imbarazzante. Recitati malissimo, scritti in modo goffo e didascalico, illuminati da una fotografia lattiginosa non diversa dal modo in cui si mettevano in scena i flashback negli anni Novanta.
Capite insomma che come primissimo impatto non è stato granché. Per certi versi, la serie poi riesce a risollevarsi almeno in parte, e lo fa mettendo sul piatto sostanzialmente due pregi.
Il primo sono proprio le attrici protagoniste. Heigl e Chalke sono brave, in parte, hanno una bella chimica, e mettono la giusta energia nei loro personaggi, segnati da psicologie molto precise che fra poco vedremo. Certo, c’è qualcosa che non torna del tutto nel fatto che a Sarah Chalke sia stata affidata la parte di una sfigata cronica, visto che appena si mette un vestito decente e sfoggia un sorriso appena normale, viene fuori la bellezza particolare ma luminosa da cui era stato folgorato il buon J.D. in Scrubs. Al netto di questo, però, le due colonne portanti del cast funzionano.
E tutto sommato funziona anche il modo in cui le due donne e il loro rapporto sono stati costruiti. Tully, che viene da una famiglia disastrata, senza padre e con la madre sempre strafatta, è una bellona che ha sempre avuto tutti gli occhi addosso, e che ha usato questo fascino per diventare una star della tv. Allo stesso tempo, però, si è sempre sentita un oggetto, ha subito abusi, e si è trincerata dietro un egocentrismo psicologicamente utile, ma che le ha impedito di aprire il cuore a relazioni vere (a parte quella con Kate) che ora sotto sotto rimpiange. Kate, dal canto suo, è sempre stata la nerd occhialuta e sfigata, che poteva solo sognarsi il successo dell’amica e che si è sempre portata dietro una sostanziale insicurezza, che non le ha impedito però di costruirsi una famiglia, diventare madre di una quattordicenne complicata ma in gamba, e di provare sentimenti veri, prima per l’ormai ex marito Johnny, e ora anche per altri uomini che incontra sul suo cammino.
Nel nucleo dell’amicizia fra Tully e Kate c’è una tensione (narrativamente feconda) fra l’amore e l’affetto che le due provano l’una per l’altra, nato dalla capacità di intendere i bisogni dell’amica e adoperarsi per soddisfarli, e una malcelata invidia per ciò che l’altra ha: Kate invidia la sicurezza e il successo sessuale e professionale di Tully, e Tully è gelosa della famiglia, della gentilezza e anche dell’equilibrio mentale di Kate (che non è esattamente così stabile, ma comunque più stabile e inquadrato del suo).
Quello che la serie fa meglio è prendere questa tensione e montarci sopra pezzi di vita in cui la delusione per un ragazzo rubato, l’ingenua e dolorosa vendetta dopo un abuso, l’invidia per un successo, o la complicità nelle scoperte delle vita, diventano ingranaggi di un meccanismo abbastanza articolato da essere interessante, e da garantire un minimo sindacale di dignitose sorprese.
Insomma, è una serie incentrata su un’amicizia, e quella specifica amicizia è abbastanza solida e sfaccettata da meritarsi un interesse.
Dove invece Firefly Lane fa una fatica mondiale è nel momento in cui quelle buone intenzioni raggiungono la vera e propria messa in scena.
Dal punto di vista visivo la serie è vecchia, vecchissima, e mica solo perché mette in scena momenti del passato. Come accennato in precedenza, l’adolescenza dalla fotografia giallognola, a prova di stupido (sì, stiamo raccontando il passato), diventa presto stucchevole, e banalissima è la gestione dei dialoghi, che sia in termini di scrittura (super didascalica) sia in termini di orchestrazione visiva, ricordano una soap pomeridiana.
Qui e là la serie prova a fare qualcosa in più, soprattutto quando cerca di unire i vari tempi del racconto trovando continui escamotage per staccare in maniera coerente dal passato al futuro, che sia col movimento di un vestito indossato, con pezzi di frase che iniziano in un tempo e finiscono nell’altro, o qualche altro piccolo trucco. Ma a un certo punto (io sono arrivato al sesto episodio) la cosa è così continua e pedante, da risultare posticcia, come un esame da scuola di cinematografia in cui vuoi far vedere all’insegnante che hai afferrato bene un concetto tecnico.
Non diversa è la rappresentazione delle epoche storiche, sempre molto stereotipata e di facciata. Un pulmino Volkswagen qui, una tenuta da ginnastica alla Jane Fonda là, e una continua alternanza di acconciature che non riesce più di tanto a mascherare il fatto che attrici e attori cinquantenni cercano di interpretare i se stessi ventenni come se niente fosse (soprattutto, come se noi non ce ne accorgessimo).
Ma soprattutto, e qui credo si scavi il solco maggiore fra le varie sensibilità di ognuno di noi, Firefly Lane è clamorosamente zuccherosa. Ogni volta che Tully e Kate si uniscono per combattere le ingiustizie che il mondo riserva loro, è come se saltasse fuori una scritta al neon che dice “questa sì che è un’amicizia, nessuno potrà mai fermare queste ragazze”.
È difficile da spiegare, perché non c’è un singolo elemento che concorre a questo risultato e resta comunque un’impressione largamente soggettiva, ma Firefly Lane fa venire il diabete. Non perché sia buonista, non è Settimo Cielo, ma perché l’insistenza su smaccato&sofferto girl power diventa presto un cartello scritto con l’evidenziatore rosso.
Riguardo quest’ultimo punto, e per concludere, tocca riprendere il paragone con This Is Us. E non mi piace calcarci troppo la mano, perché i paragoni lasciano sempre il tempo che trovano, ma l’intenzione di costruire una serie che abbia quel sapore è così palese, da rendere impossibile ignorare il confronto. Da questo punto di vista, anche This Is Us può essere vista come una serie zuccherosa e lacrimevole, perché se quel genere non piace, o viene presto a noia, le sfumature contano poco. Ma se si guarda bene, This Is Us ha un’eleganza di scrittura e messa in scena che Firefly si sogna di notte.
Al di là dell’essere più corale, cosa che le consente di raccontare cose diverse senza incistarsi su un’unica relazione, This Is Us stupì fin da subito per la capacità di unire ottime interpretazioni, una messa in scena poetica e di grande impatto visivo e sonoro (il lavoro compiuto da This Is Us sulle musiche è quasi sempre perfetto) e un ritmo del racconto a cavallo fra le epoche, tale per cui non solo ci si commuoveva, ma ci si stupiva anche per le sorprese e per la sobria leggerezza con cui il destino univa i fili dei protagonisti.
In Firefly di sobrio non c’è niente: i concetti sono definiti al limite della ridondanza, i raccordi fra le epoche sono espliciti e meccanici, la cura della messa in scena molto più tradizionale, per non dire dozzinale.
Se fossimo un sito che dà voti, quello a Firefly Lane partirebbe non altissimo, ma forse dignitoso, e poi dovrebbe essere abbassato di uno o due punti per un confronto da cui L’estate in cui imparammo a volare (Gesù mio sto titolo…) esce con le ossa tutte rotte.
Perché seguire Firefly Lane: perché il nocciolo drammatico della serie è ben costruito e ben interpretato da due attrici di talento.
Perché mollare Firefly Lane: perché è un mezzo clone di This Is Us che fa quasi tutto peggio di This Is Us.