The Mandalorian 2 – Un finale che è già leggenda di Diego Castelli
Bilancio su una stagione ottima, conclusa da una scena eccezionale
ATTENZIONE! SPOILER SUL FINALE DELLA SECONDA STAGIONE DI THE MANDALORIAN
Ok, questo è un articolo che dovrebbe fare un bilancio complessivo della seconda stagione di The Mandalorian, e dopo lo facciamo, ma non si può non partire dalla fine. Bisogna per forza parlare subito di quella scena che ha preso il cuore di tutti i fan di Star Wars e l’ha messo nel microonde, scaldandolo finché non s’è completamente sciolto.
Nell’ultima scena del season finale Mando è già riuscito a riabbracciare il piccolo Grogu, rapito da Moff Gideon due puntate prima, ma insieme con i suoi compagni di avventura (anzi compagne, tutte donne tranne Boba Fett) si appresta ad affrontare l’assalto dei dark troopers, che nel resto dell’episodio avevano già mostrato di essere avversari davvero temibili, forse perfino insuperabili in così grande numero.
Per fortuna i nostri ricevono l’aiuto di un alleato insperato, un jedi che arriva in loro soccorso abbattendo da solo un plotone di soldati che Mando & Co. non avevano probabilmente speranze di sconfiggere, e rivelando la sua identità sono una volta al cospetto dei protagonisti: altri non è che Luke Skywalker, il mitico protagonista della prima trilogia di Star Wars che in questo punto della cronologia di Guerre Stellari, successivo a Episodio VI ma antecedente a Episodio VII, è ancora un ragazzo sbarbato che ha appena distrutto l’Impero Galattico e che, da ultimo jedi qual è, sta cercando di ricostruire un’Accademia raccogliendo i ragazzi sensibili alla Forza su cui riesce a mettere le mani. Poi sappiamo che questo progetto non finirà benissimo, ma per ora lui è il jedi tanto atteso che Mando aveva evocato permettendo a Grogu di lanciare un segnale di Forza nello spazio, come suggerito da Ahsoka.
Si arriva dunque al momento di cui si parla da mesi, cioè quello in cui Mando, comprendendo l’importanza per il piccolo Grogu di ricevere un’istruzione nella Forza, lascia che il piccolo venga preso in consegna da Luke per essere addestrato.
Ora, parliamo un attimo di questa scena sostanzialmente perfetta. Che il jedi di cui Ahsoka aveva parlato potesse essere Luke, aveva perfettamente senso fin da subito, e anzi era la prima cosa che c’era venuta in mente, per il motivo detto sopra: alla fine di Episodio VI, Luke è praticamente l’unico jedi rimasto nella Galassia (Ahsoka in questo senso appare come una specie di eccezione). Allo stesso tempo, l’idea che uno spinoff televisivo – per quanto nato in un mondo e in un contesto storico/mediatico diverso da quello, per esempio, della genesi di Agents of SHIELD (tanto per citare una serie tratta da una famoso franchise cinematografico) – potesse effettivamente contemplare la comparsa di un personaggio così iconico e indimenticabile, pareva un sogno troppo grande.
Eppure, quando l’X-Wing di Luke compare sulla scena si comincia a sperare, e anzi si incrociano le dita pensando che se poi a uscire da lì fosse un oscuro personaggio secondario delle Clone Wars, la delusione sarebbe veramente cocente. Subito dopo vediamo il jedi sconfiggere i dark troopers con arrembante abilità, e con una spada verde che di nuovo ci fa pensare a Luke e Yoda. E poi si arriva al momento dello svelamento, dove il volto digitalmente ringiovanito di Mark Hamill compare come una specie di sogno ad occhi aperti, chiudendo un cerchio perfetto che unisce serie e film in un’armonia totale, con il sottofondo di una colonna sonora a sua volta mitica. Non solo, arriva pure R2-D2, il cui incontro con Grogu sarà un altro momento da ricordare per sempre.
A voler essere pignoli, potremmo anche dire che il volto di Luke non è riuscitissimo, tecnologicamente parlando, e che si era fatto un po’ meglio con la Leia di Rogue One, il film di Gareth Edwards che, di fatto, è parso la principale ispirazione per questo finale: in quel caso il collegamento con i film della trilogia originale era stato dato dalla comparsa di Vader e di una giovane Leia, che insieme costruivano la scena immediatamente precedente a Episodio IV e che sullo schermo non si era mai vista. Qui, allo stesso modo, il figlio di Vader entra sulla scena sconfiggendo abilmente una pletora di nemici, per poi sfoggiare un simile ringiovanimento tecnologico al momento di mostrare il volto di un Luke ancora nel fiore degli anni.
Però insomma, nonostante quella piccola pecca, la scena è troppo grossa, troppo potente perché un simile dettaglio la possa rovinare. E stiamo comunque parlando di una serie che ha visto il ritorno di Ahsoka e di Boba Fett, due pezzi piuttosto importanti dell’universo di Star Wars, ma niente può essere paragonabile alla comparsa di Luke e R2.
In tutto questo, comunque, sarebbe anche ingiusto parlare solo di loro. L’addio fra Mando e Grogu è, infatti, un momento altrettanto emozionante: la tenerezza con cui il piccolo tocca il suo amico/padre/guardia del corpo, sfiorandogli il viso e aggrappandosi alla sua gamba al momento dell’addio, è una roba che lascia senza fiato, così come la scelta di Mando di togliersi il casco affinché Grogu possa effettivamente vederlo in faccia per la prima e forse ultima volta (ne riparliamo a breve).
Siamo a un momento di vero e proprio coronamento della narrazione iniziata l’anno scorso, e che arriva al termine di uno dei migliori episodi della stagione in termini di ritmo, azione, capacità di gestione di un alto numero di protagonisti sulla scena, scelte artistiche e visive (si veda il carisma oscuro dei dark troopers). Una chiusura di cerchio così perfetta, che poteva essere quasi un finale di serie, tanto che ora ci si chiede come potrà proseguire lo show trovando nuovi spunti e nuovi racconti: finora The Mandalorian si è retta sul rapporto fra Mando e Grogu, e l’idea che il piccolo Baby Yoda scompaia del tutto appare tanto giustificata narrativamente quando improbabile a livello commerciale. Vedremo cosa decideranno, considerando anche quello che abbiamo visto dopo i titoli di coda: l’annuncio di “The Book of Boba Fett” è sembrato, lì per lì, una dichiarazione di intenti circa la prossima stagione di The Mandalorian. Ma poi, a mente fredda, sono in molti a pensare che si tratti di un altro spinoff (film o miniserie) come gli annunciati Ahsoka e Rangers of the New Republic, che non era stato inserito nelle rivelazioni dei giorni scorsi solo per evitare spoiler.
Rimane dunque da chiedersi cosa effettivamente racconterà la terza stagione di The Mandalorian, ma a questo punto non ci resta che aspettare con fiducia.
Più in generale, la seconda stagione ha funzionato quasi sempre. Qui e là, in queste settimane, abbiamo letto opinioni e meme ora affettuosamente ironici, ora più piccati, riguardanti il fatto che la struttura della serie è più o meno sempre quella, con un obiettivo di fondo che costringeva Mando ad andare su un certo pianeta, dove il raggiungimento di quell’obiettivo veniva subordinato al compimento di qualche missione secondaria.
Ecco, alla gente che ha criticato questa scelta verrebbe solo da rispondere: benvenuti in Star Wars.
Volendo dirla un po’ più articolata, vale la pena sottolineare che la saga ideata da George Lucas ha sempre lavorato, per lo meno nei suoi momenti migliori, con la semplicità piuttosto che con la complicazione, e che The Mandalorian in particolare era chiamata a un ritorno alle origini molto richiesto dai fan scontenti dell’ultima trilogia cinematografica. Ma non solo: piaccia o no (entrambe le posizioni sono legittime, naturalmente), The Mandalorian è un western, e del western segue codici, strutture, sviluppi. Al suo nocciolo, è stato finora la storia di un burbero cacciatore di taglie che scopre la capacità di provare empatia per una creatura innocente e meritevole di protezione. Probabilmente possiamo trovare 158 film western classici con una trama molto simile.
Lasciamo quindi le complicazioni ad altre saghe o altre serie di questo mondo, ma The Mandalorian va bene così. Tanto più che, comunque, questa struttura semplicissima ha permesso di raggiungere risultati di tutto rispetto: l’inserimento di elementi di grandissima importanza per tutto l’universo di Guerre Stellari, come i già citati ritorni di Ahsoka, Boba Fett e Bo-Katan; la preparazione pulita e organica del terreno per altre narrazioni future; il dispiegamento di una potenza visiva che raramente abbiamo visto in una serie tv, in modo così costante e, mi viene da dire, costoso.
E nonostante la sua linearità e il suo tentativo di mantenere un’anima action-avventurosa mai messa in discussione, gli autori di The Mandalorian (su cui spiccano Jon Favreau e Dave Filoni, che da ieri si vedono arrivare applausi da ogni parte, ma a cui vale la pena aggiungere in questa sede il regista del finale, il Peyton Reed che aveva già diretto di due film su Ant-Man) sono riusciti nel giro di due stagioni a costruire un arco perfetto per il loro protagonista.
Ora vedremo cosa succederà nella prossima stagione, ma l’impressione è che vedremo molto di più il volto di Pedro Pascal: Mando ha iniziato il suo percorso come mandaloriano di ferro, fedele a un credo molto preciso che, fra le altre cose, gli impediva di togliere il casco in presenza di chicchessia, anche in barba alla fama del suo interprete. In due stagioni, però, l’incontro con Grogu e con altri mandaloriani di fede diversa dalla sua, hanno permesso di sviluppare un processo di cambiamento che ha messo in discussione proprio la fede granitica del protagonista, non per farsi beffe della sua superstizione, ma per mostrargli come la realtà sia più complessa rispetto ai dogmi di una vecchia religione, e richieda per questo risposte emotive più articolate.
Il passaggio non è immediato, né pacchiano: è invece una trasformazione graduale che passa attraverso il dialogo con personaggi molto diversi fra loro (come Bo-Katan e Mayfeld), attraverso la presa di coscienza che i dogmi non reggono il confronto con la necessità di proteggere chi amiamo, e che arriva alla realizzazione che quegli stessi dogmi non funzionano nemmeno quando è il momento di salutare davvero un amico, cosa che rende legittimo uno svelamento del volto di fronte a molte persone che per il Mando del pilot sarebbe stato semplicemente inconcepibile. Il bello, per noi, è renderci conto che quel processo è stato anche nostro, perché anche noi siamo passati dall’amare il mandaloriano sempre coperto, all’apprezzare anche quello che invece si scopre per le cause giuste, piccole o grandi che siano.
Come detto, a fronte di questo percorso mi viene da pensare che nella terza stagione vedremo più spesso il volto di Pedro Pascal, il cui personaggio ora sarà probabilmente meno rigido rispetto ai precetti su cui ha basato buona parte della vita.
Allo stesso tempo, la terza è una stagione al momento molto più indecidibile di quanto non lo fosse la seconda appena conclusa. Davvero faremo a meno di Grogu? E se sì, quale sarà l’avventura e la missione che sarà in grado di coinvolgere Mando con la stessa carica emotiva? E quale sarà il suo successivo percorso di crescita? Ma soprattutto, tocca ridirlo, come diavolo faremo a fare a meno di Grogu???
Domande per un altro tempo. Al momento, godiamoci il finale eccezionale di un’ottima stagione, stampiamoci nella mente il ritorno breve ma sfolgorante di Luke Skywalker, e attendiamo con fiducia l’espandersi di un universo televisivo/internettiano che per ora sta mettendo d’accordo quasi tutti, molto più di quanto non abbia fatto una trilogia cinematografica poco amata da una fetta troppo larga di pubblico (troppo per la Disney, s’intende). Ma come si dice, si può sempre imparare dai propri errori, e l’impressione è che Topolino abbia preso appunti.
PS Vogliamo dirci che forse la più potente nella forza è Ming-Na Wen, interprete di Fennec Shand? 57 anni compiuti un mese fa.