L’Alligatore – RaiPlay: ci siamo innamorati di Beniamino Rossini di Marco Villa
L’Alligatore è una serie diversa: un crime anomalo, ambientato nel profondo Veneto (quello senza traffico) e con due ottimi protagonisti
Segnatevi una cosa di peso: L’Alligatore ha uno dei personaggi più riusciti di tutte le serie tv del 2020. E non è roba da poco, per una serie italiana. Quel personaggio si chiama Beniamino Rossini ed è interpretato da Thomas Trabacchi. Trabacchi è un attore con una filmografia sterminata, che avrete di sicuro incrociato nella parte di qualche personaggio duro, tutto d’un pezzo. Una parte che senz’altro interpretava bene, perché un ottimo attore. Ne L’Alligatore si toglie di dosso anni e anni di ruoli da integerrimo e ed entra nel (quasi) mullet e nei baffi (tinti) di Beniamino Rossini, un malavitoso vecchio stampo, uscito di prigione dopo una lunga pena e già ampiamente tornato nel mondo criminale. Accento milanese spintissimo (ma non forzato), un cinismo pragmatico che è pure quello vecchio stampo e pure quello milanese e una nonchalance nel maneggiare pistole e armi automatiche quando ce n’è bisogno.
Beniamino è il socio di Marco Buratti, conosciuto da tutti come L’Alligatore e interpretato da Matteo Martari (già collega di Miriam Leone in Non Uccidere). È lui il vero protagonista, ma di fatto quella della serie (in onda su Rai2 dal 25 novembre e già disponibile integralmente su RaiPlay) è una storia di coppia, una coppia di scappati di casa che per qualche motivo si ritrova a dover ristabilire la giustizia e riparare dei torti. I due si sono conosciuti in carcere: i motivi per cui ci è finito Beniamino li abbiamo più o meno già citati, mentre l’Alligatore è stato incastrato da un poliziotto corrotto e si è fatto sette anni per non aver voluto tradire un vecchio amico. Risultato: quando esce la sua fidanzata (Valeria Solarino) se n’è andata e si ritrova pure un nemico giurato che gli promette di fargli la pelle, prima o poi.
Tratto dai romanzi di Massimo Carlotto, L’Alligatore è ambientato nella profonda provincia veneta, nelle campagne a un passo dalla laguna. Strade strette, costeggiate dall’acqua, su cui corrono la station wagon scassata dell’alligatore o il SUV ultimo modello di Beniamino. Nei primi due episodi, il caso che devono affrontare è la scomparsa di un loro compagno di prigione, la cui fuga è in realtà la punta dell’iceberg di una macchinazione che coinvolge uomini di potere della zona. Al di là della trama crime – che comunque funziona – a essere davvero efficace è la scelta e la resa di due personaggi diversi da ogni investigatore visto sullo schermo. Sono due sbandati, che non si fanno problemi a usare la forza e le minacce per carpire informazioni, due tipici anti-eroi che non vengono però messi in scena con la vestizione tipica di questi personaggi. Poi certo, l’Alligatore ha la storia d’amore tormentata e un bicchiere che si svuota sempre molto in fretta, ma siamo lontani anni luce dalla tipizzazione canonica.
Il risultato è una serie inedita per l’Italia sotto ogni punto di vista: personaggi, ambientazione, sviluppo della trama. E per questo è una serie molto godibile, che guarda in modo chiaro al modello americano (a cominciare dalle bellissime musiche di Teho Teardo, una garanzia) ma ha i piedi ben piantati nel contesto italiano. L’Alligatore non è la serie perfetta: come troppo spesso accade per i prodotti italiani (eccellenze escluse), non appena ci si allontana dal cerchio magico dei 3-4 personaggi principali, la qualità delle interpretazioni crolla immediatamente. È così anche qui, ma la centralità dei due protagonisti è tale da tenere comunque in equilibrio la bilancia. Non fosse già tratta da un’opera letteraria, verrebbe da tirare in ballo Joe R. Lansdale e i suoi Hap e Leonard. Due grandi personaggi, così come grandi sono proprio i personaggi dell’Alligatore. Uno in particolare: essere riusciti a farlo brillare così forte è già aver fatto metà del lavoro.
Perché guardare L’Alligatore: perché è una serie diversa per l’Italia e ha un personaggio da applausi
Perché mollare L’Alligatore: perché il mondo degli anti-eroi vi ha stancato