Romulus – Sky Atlantic: Una serie radicale di Marco Villa
Dieci ore in una lingua che non esiste (più), tra boschi e villaggi di 3000 anni fa: la grande sfida di Romulus
Romulus e il suo legame con Il Primo Re di Matteo Rovere, perché tutto inizia da lì. Un film che reinterpretava il mito della fondazione di Roma e lo faceva in modo sia filologico, sia creativo. È un mito, una leggenda, è normale non avere un approccio cronachistico ed è anche il suo bello. Però allo stesso tempo Il Primo Re cercava una strada quasi storica, provando a recuperare (e in gran parte inventando) la lingua parlata dalle genti che abitavano l’Italia centrale circa 3000 anni fa. Nasce così l’idea dei dialoghi in protolatino, che portano i due fratelli Romolo e Remo (Alessio Lapice e Alessandro Borghi) a scambiarsi parole che non hanno somiglianze con nessuna lingua comunemente parlata e compresa ai nostri giorni.
Il Primo Re è un film coraggioso, per questo motivo, ma anche per provare a battere una strada che in Italia è tutt’altro che usuale. Il risultato è buono, molto buono. Non un film perfetto, ma potente, che ha forse come limite principale una storia che perde compattezza nella seconda parte. Sensato, quindi, che la volontà potesse essere quella di ripartire proprio dalla storia, arricchendola e facendola esplodere sia in termini di mera durata, sia in termini di complessità. Ecco allora Romulus, dal 6 novembre su Sky Atlantic e NOW TV, diretta sempre da Matteo Rovere, con Enrico Maria Artale e Michele Alhaique.
Il mondo è sempre lo stesso, con tribù in perenne lotta tra loro, ma assoggettate al potere della città di Alba. Qui regna Numitor (Yorgo Voyagis), rispettato dalle altre popolazioni, fino a quando una lunga siccità non manda in crisi gli equilibri. Vengono consultati gli dei e il responso è chiaro: per riavere la pioggia (e quindi la vita), Numitor se ne deve andare. Il potere passa quindi ai figli Enitos (Giovanni Buselli) e Yemos (Andrea Arcangeli). I due sono i legittimi eredi, ma un gruppo di congiurati li attira in una trappola: Enitos viene ucciso, Yemos costretto alla fuga. Con in testa la parola “vendetta”, Yemos ricomincia da zero, dopo essere stato catturato da un gruppo di giovani di un’altra città. In cattività incontra Wiros (Francesco Di Napoli), un ragazzo senza famiglia e quindi senza protezione, né prospettive, ma con una gran voglia di prendersi il proprio spazio. Yemos e Wiros sono i due personaggi principali, insieme a Ilia (Marianna Fontana), una vestale della città di Alba che finisce presto in rotta con i propri concittadini, ma che è in grado di mettersi in contatto con le divinità.
Romulus è una storia di fondazione (di una città), ma anche e soprattutto una storia di formazione di tre ragazzi, che partono da posizioni radicalmente diverse per cercare di trovare il proprio posto nel mondo. Un mondo violento e spietato, in cui la vita umana conta poco più di zero e il peso della religione e della superstizione è invece piuttosto rilevante. Al netto della trama più spiccia, la scommessa di Romulus – una produzione originale Sky Studios con Cattleya, Groenlandia e l’inglese ITV Studios a curare la distribuzione internazionale – è quella di creare un universo in grado di reggere per dieci episodi nei quali si parla esclusivamente protolatino e l’azione si svolge tra boschi e villaggi arcaici. A colpire in prima battuta è proprio lo sforzo produttivo, uno sforzo di cui vi avevamo già parlato quasi un anno e mezzo fa, dopo la visita al set della serie.
Non serve mettersi a fare l’elenco delle serie di spessore prodotte in Italia negli ultimi anni, ma è un dato di fatto che Romulus si aggiunge a quella lista fin dai primi episodi, girati e interpretati con grande forza espressiva. L’impatto è ottimo, ma mai come in questo caso il bilancio andrà fatto alla fine, per capire quanto e come la radicalità del progetto sia riuscita a reggere dieci ore di prodotto. Una sfida nella sfida, che aumenta il livello di fascino.
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