Soulmates: cosa faresti se un computer trovasse la tua anima gemella? di Diego Castelli
AMC prende uno spunto alla Black Mirror e costruisce un’antologia di racconti per esplorare l’animo umano e mettere in crisi le sue certezze
Nel caso delle serie antologiche, in cui ogni episodio propone storia e/o personaggi diversi rispetto al precedente e al successivo, vale sempre la pena aspettare almeno un paio di settimane prima di esprimere un giudizio preliminare, e questa regola mi è parsa quanto mai saggia per Soulmates, nuova serie tv di AMC che, almeno sulla carta, pareva una puntata di Black Mirror replicata tot volte sempre a partire dallo stesso assunto.
Che detta così non è troppo lusinghiera, in effetti, ma diciamo che esprime bene un certo scetticismo provato al momento di leggere la trama.
Creata da William Bridges (già co-produttore di Stranger Things e sceneggiatore di due episodi di Black Mirror) e Brett Goldstein (che non è altri che Roy Kent di Ted Lasso!!), Soulmates propone infatti storie molto diverse fra loro, che partono però tutte da uno stesso setting: un prossimo futuro in cui un’azienda ha scoperto e messo a punto un test che consente di stabilire se due persone sono o meno “anime gemelle”. Se tu e la tua anima gemella (anche a distanza di tempo uno dall’altra) andate a fare il test, quello comincia a fare ding ding ding come il più preciso e perfetto dei match di Tinder, e a quel punto sta a te decidere cosa fare della tua vita con questa informazione fra le mani.
Ed è proprio nella molteplicità di scenari possibili a partire da questa semplice scoperta, che i due autori pescano per raccontare tante storie diverse, in cui il test diventa quasi più un pretesto per “mettere alla prova” i personaggi in una situazione completamente nuova nella storia dell’umanità, in cui un elemento centrale della nostra vita (cioè l’amore) passa dall’essere un mistero insondabile su cui ci si interroga da millenni, a una verità oggettiva e scientifica.
Perché questa è una cosa da sottolineare: il test funziona, funziona davvero, e proprio la sua efficacia è ciò che mette a soqquadro nei modi più diversi la vita dei protagonisti.
Un po’ Black Mirror, si diceva all’inizio. Anzi, la serie ideata da Charlie Brooker, se ricordate, aveva proprio sondato una simile possibilità nell’episodio Hang the DJ, il quarto della quarta stagione, e proprio questa somiglianza, unita al fatto che Black Mirror dà spesso l’impressione di aver “esaurito” un argomento alla fine dei suoi episodi, fa sorgere la domanda: non è che Soulmates, partendo sempre dallo stesso punto, rischia di diventare presto ripetitiva?
Ecco, lo pensavo anch’io, ma devo dire che i primi due episodi mi hanno abbastanza convinto che ci sia margine per lavorare parecchio. In primo luogo perché sono diversissimi, anche come genere: un drama romantico-familiare il primo, e un thriller morboso il secondo. Ma soprattutto perché, e lo si vede soprattutto nel pilot interpretato, fra gli altri, da Sarah Snook (la Shiv di Succession), questo “aiutino” tecnologico nella ricerca dell’anima gemella è in realtà un’innovazione che va oltre il dato meramente folkloristico, ma rappresenta una vera e propria rivoluzione nella percezione che gli esseri umani hanno di se stessi.
Nell’episodio pilota, i protagonisti sono una coppia sposata e con figli che, malgrado le difficoltà quotidiane tipiche di ogni famiglia, si dice felice della propria vita. L’esistenza del test, però, non può che instillare dei dubbi: siamo sicuri che io stia vivendo il massimo della felicità disponibile? Oppure mi sto “accontentando”, mentre là fuori c’è qualcuno o qualcuna che potrebbe darmi di più, e a cui io potrei dare di più?
Senza fare ulteriori spoiler, mi sembra molto interessante come la sceneggiatura riesca a sondare certe tensioni che nel mondo reale non conosciamo, o fingiamo di non conoscere, ma che pure esistono e spesso hanno un’influenza decisiva, per quanto inconscia, sulle nostre scelte e la nostra autoconsapevolezza.
Nello specifico, non poter avere mai la certezza che la persona con cui stiamo è davvero quella giusta per noi, è istintivamente una scocciatura, ma allo stesso tempo è ciò che ci permette di superare determinate crisi e organizzare la nostra vita intorno ad alcune certezze che tali non sono, ma che ci piace pensare come granitiche. Di fatto, il pilot di Soulmates ragiona su come gli esseri umani costruiscono le proprie convinzioni, svelando, in maniera abbastanza inquietante, il carattere arbitrario e culturare di certi costrutti (come il concetto stesso di amore) a cui spesso diamo un valore assoluto che probabilmente non hanno.
E la sensazione positiva, al termine del pilot, è che questa esplorazione non sia affatto terminata, ma possa trovare nuova linfa da episodi che piazzino quell’elemento di rivoluzione in contesti e relazioni differenti.
Proprio per questo spiace un po’, a dirla tutta, che il secondo episodio (con protagonista David Costabile, ben noto ai fan di Billions e Breaking Bad) viri molto sul thriller, perdendo qualcosa (anche se non tutto) in scavo psicologico a favore della costruzione della tensione.
Resta però la buona sensazione di una serie che non usa la forma antologica solo come un vezzo stilistico molto di moda in questi anni, ma come strumento effettivamente efficace per sondare tutti i punti di vista possibili su un discorso che, in queste prime battute, si è rivelato più fecondo del previsto.
Questo non significa che Soulmates sia un capolavoro, né che quei rischi di ridondanza non siano ancora lì a spiare dal buio. Ma diciamo che avevo aspettative piuttosto basse su questa serie e almeno in parte mi sono dovuto ricredere. Magari a fine corsa rifaremo un punto della situazione, specie se nel frattempo sarà diventata inguardabile…
Perché seguire Soulmates: nella sua semplicità, l’idea di base sembra effettivamente in grado di costruire riflessioni per nulla stupide (né noiose) sulla natura umana.
Perché mollare Soulmates: perché non sarà semplice mantenere freschi e originali una quantità di racconti che partono tutti dallo stesso punto.