Little Voice: Apple Tv+ aggiunge un po’ di zucchero di Diego Castelli
Dopo serie horror, postapocalittiche e impegnate, la piattaforma di Apple si dà alla commedia romantico-musicale super classica
Ormai è quasi un annetto che Apple ha debuttato nel magico mondo delle serie tv (e non solo) con la sua Apple Tv+. E finora tutti o quasi i suoi progetti sono stati in qualche modo molto ambiziosi. Che fosse da un punto di vista produttivo-spettacolare (come con See e For All Mankind), oppure politico-sociale (The Morning Show), o semplicemente “straniante” per un verso o per l’altro (Servant, Home Before Dark, per non parlare di Dickinson), la piattaforma ha sempre cercato di farsi notare, proponendo qualcosa che saltasse all’occhio e spiccasse almeno un po’ sulla massa.
A mo’ di eccezione che conferma la regola, però, non sembra essere questo il caso di Little Voice, ultima nata in casa Apple TV+ e apparentemente la serie più “normale” finora. Che non è detto che sia per forza un male.
Peraltro, intendiamoci, anche Little Voice è “ambiziosa”, nella misura in cui cerca ovviamente di avere il suo successo e colpire il suo pubblico. Ma al contrario di altri esempi, non cerca di togliere il pavimento da sotto i piedi degli spettatori, non cerca di mettere in crisi le loro certezze o la loro percezione della serialità. In buona sostanza, nell’offrire una storia che abbiamo visto tante volte, cercando naturalmente di darle un tocco personale, Little Voice punta all’effetto-Don Matteo: rassicurante.
La serie è creata da Jessie Nelson, già sceneggiatore di film con la loro buona dose di dolcezza come Mi Chiamo Sam e Una moglie per papà, ma soprattutto prodotta dal nostro inossidabile J.J. Abrams e da Sara Bareilles, cantautrice e attrice che ha apposto allo show un sigillo quasi autobiografico (non è un caso se il secondo album della cantante, quello che le diede la prima vera notorietà, si chiama proprio “Little Voice”).
La protagonista di Little Voice è Bess (Brittany O’Grady), una ragazza sui vent’anni che vive una vita costellata di piccoli lavoretti, con un padre buono e caro ma un po’ spiantato, un fratello disabile che Bess adora ma che ha bisogno di attenzioni particolari, e una migliore amica lesbica che non ha ancora fatto coming out con i genitori tradizionalisti.
Soprattutto, Bess ha una passione smodata per la musica, tramandatale dal padre, che la spinge a cercare di scrivere canzoni e trasportare in note il suo vissuto, a partire dal piccolo angolino in cui vive, una specie di garage a noleggio che io non avevo mai visto come soluzione abitativa, ma che nella serie tutti trattano come se fosse una cosa normalissima. Devo essermi perso io qualche passaggio sul problema del caro-affitti negli Stati Uniti.
A fare da contraltare, però, c’è anche la profonda timidezza di Bess, che cozza con il suo desiderio di emergere e crea una tensione continua fra il suo voler stare sul palco, e il suo terrore di essere mal giudicata da chi la ascolta.
Aggiungeteci non uno, ma ben due bellocci che cominciano a girarle intorno a vario titolo, e avete il quadretto completo.
Insomma, avete capito: Little Voice non punta a rivoluzionare il mondo delle serie tv. Più modestamente, ma non per questo meno legittimamente, prova a costruire il classico racconto coming of age, in cui una ragazza giovane e inesperta, ma con talento e voglia di fare, cerca di trovare la propria strada in un mondo ricco di stimoli e opportunità, ma anche irto di difficoltà, pericoli e possibili delusioni.
È una storia classica, evergreen, di quelle che funzionano sempre, a patto di saperle mettere in scena toccando le corde giuste e scegliendo le facce azzeccate. Da questo punto di vista, Little Voice gioca sul sicuro, riempiendo i primi tre episodi di musica orecchiabile, puntando sul volto grazioso ed espressivo della O’Grady, spargendo a piene mani scintille romantiche, e provandocela davvero tutta per farci amare da subito questa ragazza così buona, che un po’ di sfighe in vita sua le ha avute, e magari a sto punto si merita anche un po’ di karma positivo. E dubito che da qui a qualche settimana (al momento in cui scriviamo sono disponibili tre episodi) la serie possa partire per la tangente sorprendendoci più di un tot.
Il rischio, inutile dirlo, è il troppo zucchero. E di zucchero, in Little Voice, ce n’è proprio parecchio, a partire dal il modo in cui certe scene e perfino certe inquadrature più smaccatamente emotive sono ritagliate e cesellate per suscitare uno specifico effetto, come se chi guarda dovesse sempre sapere, in ogni momento, dove si andrà veramente a parare, con l’idea che in uno show come questo la sorpresa conti davvero poco, rispetto al tipo di viaggio che si compie.
Poi certo, a parlare potrebbe anche essere il trentottenne maschio che pensa che dopo Notting Hill avrebbero dovuto smettere di scrivere commedie romantiche, perché di meglio non si poteva fare. È del tutto possibile che spettatori e spettatrici diversi possano pensarla diversamente, a seconda della passione specifica per il genere.
A questo proposito, però, una cosa mi sento di dirla: se la commedia romantica a sfondo musicale già vi piace, è del tutto ragionevole che anche Little Voice possa piacervi (tanto o poco, poi si vedrà). Ma se invece quel genere già lo schivate, allora potreste non reggere neanche cinque minuti, perché Little Voice è la più evidente dei “quella così lì”, nella storia di “quelle cose lì”.
(e scrivendo questa cosa mi rendo conto di aver già scritto il “Perché seguire” e “Perché mollare”. Vabbè, li riscrivo)
Perché seguire Little Voice: è una commediola romantica e musicale onesta, che non cerca di strafare e gioca consapevolmente secondo le regole del suo genere.
Perché mollare Little Voice: se quel genere non vi piace, qui dentro non c’è davvero niente altro. Cioè, non ci hanno proprio provato a mettercelo.