8 Luglio 2020

Warrior Nun: su Netflix le suore guerriere di cui frega niente a nessuno di Diego Castelli

L’idea delle suore che menano ci aveva fatto sperare in una gustosa tamarrata, e invece è solo una brutta serie

Pilot

Serial Minds è sempre stato un sito completamente gratuito, ma devo ammettere che quando ho iniziato il secondo episodio di Warrior Nun, giusto per essere un po’ più sicuro in ottica recensione, ho pensato “io però devo farmi pagare per sta cosa, questa è vita che nessuno mi ridarà mai”.
Warrior Nun è la nuova serie action-fantasy di Netflix, creata da Simon Barry e tratta dal fumetto Warrior Nun Areala di Ben Dunn.
La protagonista è una ragazza tetraplegica ormai morta, che per una serie di rocambolesche vicissitudini riceve nella propria carne (sulla schiena, tipo impianto cibernetico) l’aureola di un angelo, un potente strumento di battaglia in mano alle forze del Bene, che la resuscita, la guarisce e le fornisce poteri straordinari con cui combattere le forze del Male, a cui già si oppone un ordine di suore guerriere che normalmente affida l’aureola luccicosa a loro adepte appositamente addestrate a riceverne i doni. Cosa che Ava (interpretata da Alba Baptista) non è, o non è ancora.
E vorrei fosse chiaro che tutto questo, teoricamente, ci piace: stuzzicante l’idea delle suore che menano, gustosa la trovata dell’aureola che si impianta nel corpo delle suore facendole diventare delle John Wick anti-demone; e in generale interessante il pensiero che subito corre a eroine come Buffy o Xena, donne gagliarde lanciate contro i demoni e i mostri.
Solo che il bello finisce qui.

Sì perché Warrior Nun, che sulla carta aveva tutte le carte in regola per diventare una gustosissima tamarrata piena di crocefissi da piantare nel corpo dei demoni (o almeno questo era il mio desiderio nel leggere il titolo di “suora guerriera”), ci mette davvero poco a rivelarsi una serie poverissima di mezzi e di idee.
L’effetto è respingente fin da subito. Le ambientazioni sono scure e spoglie, la regia banalissima, i costumi al minimo sindacale. L’impressione è quella di una serie amatoriale girata in una chiesa abbandonata. La recitazione è tragicomica, specie in quegli attori e attrici, protagonista compresa, che pur non essendo di madrelingua inglese sono stati costretti a recitare in una lingua non loro per rendere la serie più appetibile a livello internazionale (Warrior Nun è di fatto americana, ma la produzione, nel cast e nelle location, è molto spagnoleggiante).
Come se non bastasse, la scrittura è da prima elementare. Alla protagonista Ava è affidata una voce fuori campo tanto presente quanto completamente inutile, perché non aggiunge nulla alla storia, e si limita a ri-sottolineare cose ovvie, che già si potrebbero capire solo guardando. Cosa che peraltro fanno tutti i personaggi, sempre pronti a spiegoni privi di qualunque inventiva, piatti piatti, puramente informativi. E questo senza considerare, oltre a quello che si dice, anche quello che succede: quando Ava riceve l’aureola, nei minuti successivi attraversa luoghi e incontra personaggi in maniera completamente casuale o, meglio, nel modo più pacchiano possibile, piccole stazioni di posta in cui far vedere ora questo potere, ora questa inadeguatezza, tasselli giustapposti di una storia che in quel momento sembra quasi un elenco grezzo di scenette distinte.

Ma il problema è ancora più profondo. Da una serie così didascalica, che spiega qualunque cosa nel modo più banale possibile, ti aspetti che di ste suore guerriere si venga a sapere quanto basta per costruire un’architettura storico-fantasy che sia un minimo affascinante. Cioè, per dirla in altri termini: non sei riuscita a stupirmi in termini di atmosfera, perché le tue puntate hanno un budget di 22 euro, almeno stuzzicami con un mondo pieno di potenzialità.
Invece no, perché di ste suore guerriere non sappiamo niente. Intuiamo vagamente che c’è dietro una struttura narrativa potenzialmente importante, ma più che altro perché siamo spettatori navigati e lo “speriamo”, perché in realtà i primi due episodi ci mostrano solo un po’ di donne poveramente vestite che fanno casino agli ordini di 2-3 preti tutti antipaticissimi.

Insomma, un pastrocchio. Mal progettato, mal recitato, mal scritto, messo in scena poveramente.
Sapete bene quanto io sia di bocca buona, e quanto mi piaccia, forse per deformazione professionale, cercare sempre qualcosa di buono in ogni pilot che guardo, magari per un pubblico specifico in una situazione specifica. Qui non vedo niente, e le ultime volte che m’è capitato è stato con altre due serie di Netflix, cioè Luna Nera e Curon. Questo per sottolineare come la piattaforma continui a essere un gigante della quantità prima che della qualità, una produttrice compulsiva di serialità capace di tirare fuori, dalla stessa matrice, Dark, Bojack Horseman e Stranger Things (per dirne tre a caso), ma anche ciofeche cosmiche come questa. Un modello che riempie le giornate, ma che a volte genera vere frustrazioni.
Oh, poi magari dall’episodio cinque migliora, non lo so. Però io non vedo quattro ore orrende solo perché la quinta forse è meno orrenda. Ho una vita da vivere.

Perché seguire Warrior Nun: Il concept è carino (magari il fumetto è bellissimo, non saprei)
Perché mollare Warrior Nun: quel concept è sviluppato con una pochezza di idee e mezzi francamente imbarazzante.



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